di Marta Cutugno
“Nobilmente vivere o nobilmente morire deve l’uomo ben nato”
Tindari. Aiace di Sofocle. La tragedia presumibilmente più antica dell’ateniese è andata in scena, per la regia di Giovanni Rizzuti, martedì 20 agosto al Teatro Greco di Tindari nell’ambito del XIX Festival dei Due Mari, ed il 21 e 22 agosto al Teatro Antico di Segesta per il Festival Dionisiache. Ad interpretarlo David Coco (Aiace), Bruno Torrisi (Ulisse), Manuela Ventura (Tecmessa), Chiara Seminara (Atena), Franco Sciacca (Agamennone), Stefano Onofri (Messaggero), Alessandro Romano (Teucro), Salvo Disca (Menelao). Coro: Luca Iacono, Adriano Di Bella, Edoardo Monteforte. Con la ricerca musicale effetti sonori di Franz Vozza e le scene di Emanuele Salamanca. Una produzione Associazione Gags – Giovani attori per Giovani spettatori.
Secondo il grecista Albin Lesky, “Per nessuna delle tragedie di Sofocle, l’interpretazione è rimasta così ardua come nel caso dell’Aiace“. A vestire i panni insanguinati del re di Salamina è l’attore catanese David Coco, interprete eccezionale della solitudo e del triste coraggio di un eroe di altri tempi. Una parabola tragica lo investe. Eroe fuori di senno, afflitto e suicida che David Coco ha abilmente restituito nella sua forza delirante e nella sua disarmante fragilità.
Aiace Talamonio è hybritès dinanzi agli Dei, tracotante e violatore delle leggi morali e divine. Ed è traditore dinanzi agli uomini. Lui che, affranto per non aver ricevuto le armi di Achille, decide di vendicarsi dei suoi nemici senza perdere tempo. Ma, obnubilato da un sortilegio divino per mano di Atena, nella notte compie una “strana, inopinata cosa” e sfoga la sua furia sanguinaria contro greggi imbelli, credendoli Atridi.
Nelle atmosfere suggestive del Teatro Greco, Aiace, “capo grondante di sudore e mani sporche di sangue“, viene fuori dalla sua tenda sotto le mura di Ilio su esortazione di Atena che vuole mostrare ad Ulisse il delirio indotto, la folle febbre del suo nemico. Una volta riacquistata la lucidità e ritrovati i suoi “veri e propri sensi“, Aiace non regge alla vergogna ed all’onore offeso e decide di uccidersi scagliandosi su una spada conficcata nella terra, spada che aveva ricevuto in dono da Ettore.
“Tutto risolve in sua vicenda il tempo“. Ed è nella morte di sua propria mano che individua l’unica possibilità catartica per ottenere riscatto e restituire onore alla sua famiglia ed al figlio Eurisace, che affida alle cure del fratello Teucro. Nessuno riuscirà a fermarlo, a nulla serviranno gli accorati consigli dei suoi fedelissimi marinai e le preghiere della sua sposa Tecmessa, ottimamente interpretata dalla straordinaria Manuela Ventura. E prima della fine, lascia credere ai suoi affetti di aver superato l’istinto suicida in quello che viene definito Trugrede, il discorso ingannevole.
Nella rappresentazione al Teatro Greco di Tindari, le scenografie presentano una tenda posta alla destra, strumenti di guerra, elmi, lance, con il grande scudo di Aiace in vista. Tutto intorno è sangue, cadaveri animali e resti di una carneficina. Il disegno luci ricorre spesso ai toni del rosso mentre i suoni sono chiamati ad evocare, in apertura, versi agonizzanti di povere bestie scannate e, più in generale, atmosfere cupe e profondamente inquiete. La regia di Giovanni Rizzuti è asciutta e si muove nella sua semplicità, in accordo alla tradizione del teatro di parola che i Greci hanno concepito e tramandato alla cultura dell’Occidente. A guidare quel viaggio introspettivo che i personaggi compiono tra le maglie dell’animo umano è, dunque, essenzialmente il verso, la parola.
La scelta ultima di Aiace, seppure estrema, è quella di spegnersi e sottrarsi così alla condizione fragile dell’uomo. L’ Aiace sofoclèo, dramma antico e poco rappresentato, sicuramente non quanto meriterebbe, indaga quel contrasto, quel passaggio dalla civiltà eroica al principio di realtà, dalla fedeltà nei riguardi delle leggi arcaiche dell’onore ad una diversa consapevolezza, ed è dunque espressione di grande modernità. Per passionalità e coraggio, Aiace è eroe decisamente più vicino ad Achille, mentre Ulisse può vantare Kàirotes, ovvero quella capacità di adattamento al reale, alla circostanza favorevole. Ed è proprio grazie ad Ulisse ed alla sua pietà, al principio di giustizia ed al riconoscimento del valore anche nel nemico che, dopo la morte di Aiace e nonostante l’ostilità di Agamennone e Menelao, a Teucro verrà concesso di poter celebrare i riti funebri e dare al fratello degna sepoltura.