InVersi Fotografici VI / Il bivio, la casa e il cielo – Robert Frost Vs Gabriele Basilico

L’InVerso fotografico di oggi è viandante, percettivo, esistenziale. Percorriamo lo spazio e il tempo, passo dopo passo, giorno dopo giorno.  Gli occhi scattano ricordi e il pensiero si fa filtro di emozioni. L’ascolto della memoria e delle emozioni tra il fruscio degli alberi e lo scorrere delle nuvole nel cielo.

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In un gioco di mondi paralleli le cose accadono, sono e sarebbero potute essere o non sono state. Continuamente facciamo una scelta o scegliamo di restare immobili, scegliendo di non scegliere tra l’oblio o il rimpianto.

« Divergevano due strade in un bosco, e io…

Io presi la meno battuta,

E di qui tutta la differenza è venuta. »

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La città di Basilico è il luogo simbolico del passaggio. Un gioco di ombre sotto cielo. La luce scandita dal tempo. Lo sguardo misura del tutto. L’inquadratura come strumento di indagine interiore.

“Casa è quel posto dove, quando vuoi tornarci,

gli altri ti accolgono”

“ Avrei detto piuttosto

qualcosa che tu non hai bisogno di meritarti.”

 

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Il tempo scorre sotto i nostri passi e l’andare avanti è l’unica regola dell’universo.

 

So che significa pensare alle cose giuste da dire quando è troppo tardi!

 

 

Nell’abbandono

dalla raccolta  ” The boy’s will ”  ( 1913 )

 

Ci lasciano indietro lungo il cammino

che abbiamo intrapreso

come se in noi avessero scorto un errore,

e qui sediamo qualche volta

in disparte sul ciglio della strada

con malizioso serafico sguardo di vagabondi

mentre cerchiamo di non sentirci abbandonati.

*

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Guardando per caso le costellazioni

 

Puoi aspettare tanto, tanto tempo
prima che in cielo accada qualcosa
di più dello scorrere delle nuvole
e delle Luci del Nord,
che corrono come brividi pungenti.
Il sole e la luna s’incrociano,
ma non si toccano mai,
nè fuoriescono
fiamme, nè si scontrano violentemente.
Sembra che i pianeti s’incontrino
nei loro tragitti, ma non accade nulla,
non viene fatto nessun male.
Possiamo tranquillamente continuare
la nostra vita, e guardare ovunque
tranne che alle stelle, alla luna e al sole
perchè abbiamo bisogno di colpi
e di cambiamenti per non impazzire.
E’ vero che la siccità più lunga
finirà in pioggia,
che la pace più lunga in Cina
finirà in conflitto.
Ma verrà deluso chi restera sveglio
nella speranza di veder rompere
la calma del cielo,
di fronte a lui
nella sua vita.
Quella calma sembra proprio essere certa
fino all’ultima notte.

 

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La strada non presa

in “Mountain interval”, 1916
Divergevano due strade in un bosco
ingiallito, e spiacente di non poterle fare
entrambe uno restando, a lungo mi fermai
una di esse finché potevo scrutando
là dove in mezzo agli arbusti svoltava.

Poi presi l’altra, così com’era,
che aveva forse i titoli migliori,
perché era erbosa e non portava segni;
benché, in fondo, il passar della gente
le avesse invero segnate più o meno lo stesso,

perché nessuna in quella mattina mostrava
sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo.
Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
dubitavo se mai sarei tornato.

lo dovrò dire questo con un sospiro
in qualche posto fra molto molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco,
ed io… io presi la meno battuta,
e di qui tutta la differenza è venuta.

 

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Morte di un lavorante stagionale

da “North of Boston” (1914)

 

Mary sedeva al tavolo assorta sulla luce della lampada

aspettando Warren. Quando sentì il suo passo,

corse in punta di piedi lungo il buio corridoio

per raggiungerlo sulla soglia con la notizia

e avvertirlo: “Silas è tornato”.

Lo spinse con lei fuori dalla porta e la richiuse

alle sue spalle. “Sii gentile” gli disse.

Prese le provviste dalle braccia di Warren

e si fermarono sulla veranda, tirandolo

per un braccio lo fece sedere al suo fianco

sui gradini di legno.

“Quando non sono stato gentile con lui?

Comunque non mi riprenderò indietro quel tipo” le disse

“Gli ho detto così durante l’ultima raccolta del fieno,

è vero? Se lui se ne va, ho detto, per me finisce qui.

Cosa può combinare? Chi se lo prenderà a quell’età

e con quel poco che sa fare?

Sul suo aiuto non si può fare affidamento.

Se ne va sempre proprio quando hai più bisogno di lui.

Pensa di dover prendere una piccola paga,

abbastanza insomma per comprare tabacco,

senza dover chiedere e essere controllato.

D’accordo, gli dico, non posso permettermi

di pagare nessun stipendio fisso, anche volendo.

‘Qualcun altro può’  ‘ Allora qualcun altro te lo pagherà’.

Se le cose stanno così non dovrei essere io

a preoccuparmi per lui. Puoi star certa,

quando comincia così c’è sempre qualcuno

che cerca di convincerlo con una paghetta –

nel periodo del fieno, quando è difficile trovare aiuto.

D’inverno torna invece da noi. Ne ho abbastanza.”

“Sh! non così forte: può sentirti” disse Mary

“ Voglio che lo sappia: dovrà, presto o tardi”

“ E’ sfinito. Si è addormentato accanto al fornello.

Al mio ritorno dai Rowe l’ho trovato qui,

accovacciato contro il fienile, profondamente addormentato.

Una vista penosa, e anche paurosa –

Non ridere – non l’ho riconosciuto –

non mi aspettavo di vederlo – è cambiato.

Te ne renderai conto.”

“Dove ti ha detto di essere stato?”

“Non l’ha detto. L’ho trascinato in casa,

gli ho dato del tè e del tabacco per fumare.

Ho cercato di farlo parlare dei suoi viaggi.

Niente da fare: continuava a ciondolare”

“Ha parlato? Ti ha detto qualcosa?

“Piuttosto poco”

“Niente? Mary, avanti, ti ha detto di essere venuto per prosciugarmi il prato.”

“Warren!”

“E’ così? Voglio saperlo”

“Si, naturale. Tu cosa gli avresti detto?

Certo non puoi negare a un povero vecchio

una misera possibilità di riscattarsi.

Ha aggiunto, se vuoi saperlo,

che intende anche ripulire il pascolo più alto.

Ti sembrano cose già sentite?

Warren, vorrei che tu potessi ascoltare

come confonde ogni cosa. Ho smesso di guardarlo

due o tre volte – mi faceva sentire così imbarazzata –

vedere se per caso non parlasse nel sonno.

Nomina continuamente Harold Wilson – ricordi –

il ragazzo che hai avuto alla fienagione per quattro anni.

Ha ormai finito la scuola e sta insegnando nel suo istituto.

Silas insiste che dovresti riprenderlo.

E’ convinto che loro due sarebbero una vera forza:

potrebbero spianarla questa fattoria!

Il modo in cui ha confuso questo con altre cose.

Pensa al giovane Wilson come a un ragazzo adatto

anche se piuttosto sciocco – tu sai come loro due combattevano

contro tutto a luglio sotto quella vampa,

Silas in piedi sopra il carro a fare il mucchio

Harold di sotto su un lato a sollevarlo col forcone.”

“Si, facevo sempre in modo di tenermi fuori tiro”

“Bene,quei giorni tormentano Silas come un sogno.

Non lo crederesti. Come certe cose restano!

La certezza che Harold è studente lo ha turbato.

Dopo tanti anni ancora trova argomenti validi

che crede di poter usare.

Lo comprendo. So che significa

pensare alle cose giuste da dire quando è troppo tardi!

Nella sua testa ha associato Harold al latino.

Mi ha chiesto di dire cosa ne pensavo del fatto

che aveva studiato il latino come il violino

perché gli piaceva – che razza di motivo!

Dice che non riuscirebbe più a far credere al ragazzo

di essere in grado di trovare l’acqua con una forcella

di nocciolo-

Il che mostra quanta poca scuola abbia fatto lui.

Ma intendeva dire altro. Piuttosto si chiede

se può avere un’altra possibilità di insegnargli

come si mette assieme un carico di fieno –

“Lo so, questa è una sua specialità.

Ammucchia con cura ogni covone al suo posto,

ci mette un segno e un numero per riferimento

così può trovarlo, caricarlo e scaricarlo

più facilmente. Silas lo fa molto bene.

Li tira su a mucchio come nidi di grandi uccelli.

Tu non l’hai mai visto stare in piedi sul fieno

che sta cercando di sollevare, sforzandosi

di sollevare se stesso.”

“Lui pensa che se potesse insegnargli almeno questo,

darebbe un qualche significato alla sua vita.

Non può vedere un ragazzo consumarsi sui libri.

Povero Silas, così preoccupato per gli altri,

senza niente che meriti di essere ricordato

e nulla a cui attaccare una speranza,

così adesso e per sempre.”

Una parte di luna stava cadendo a ovest,

trascinando con sé il cielo intero verso la collina.

La luce si riversava soffusa sul suo grembo.

Lei lo vide e si riordinò le pieghe del grembiule.

Tese una mano verso l’esterno tra le corde

dell’arpa-gloria del mattino,

tese con la rugiada dal prato sino alla gronda

come se suonasse in silenzio la tenerezza

che s’affaciava in lui accanto a lei nella notte.

“Warren” gli disse “E’ tornato a casa per morire:

non devi aver paura che se ne vada questa volta.”

“Casa” la riprese dolcemente.

“Certo, dove se non a casa ?

Tutto dipende da cosa intendi per casa.

Naturalmente lui non è nulla per noi, niente più

di quel segugio randagio nel bosco,

che arrivò sfinito incollato alla sua pista.

“Casa è quel posto dove, quando vuoi tornarci,

gli altri ti accolgono”

“ Avrei detto piuttosto

qualcosa che tu non hai bisogno di meritarti.”

Warren si affacciò e fece uno scalino o due

raccolse un rametto, lo spezzò e lo lanciò.

“Pensi che Silas abbia più diritti su di noi

che su suo fratello? Solo tredici miglia

lo condurrebbero in un soffio alla sua porta.

Silas senza dubbio ne ha percorse altrettanto oggi.

Perché non è andato là? Suo fratello è ricco,

è qualcuno – un direttore di banca.”

“Lui non ce l’ha mai detto”

“Ma noi comunque lo sappiamo”

“Penso che suo fratello dovrebbe aiutarlo, è naturale.

Provvederò a questo s’è necessario. Dovrebbe occuparsene

lui, e forse lo desidera –

Forse è migliore di ciò che sembra.

Forse ha solo pietà di Silas. Pensi che

se fosse stato orgoglioso di questa parentela

o avesse cercato una cosa qualsiasi da suo fratello

sarebbe rimasto immobile tutto questo tempo?”

“Mi chiedo cosa c’è tra loro”

“Io posso dirtelo.

Silas è quel che è – noi non ci facciamo caso –

Ma è proprio il tipo di persona che la parentela rifiuta.

Non ha mai fatto una cosa veramente cattiva.

Non capisce perché non valga

come qualsiasi altro. Non vuole umiliarsi

davanti a suo fratello, anche così misero com’è.

“Non ricordo che Silas abbia mai fatto male a qualcuno”

“No, ma fa male al mio cuore il modo

in cui sta seduto e dondola la sua vecchia testa

sul bordo dello schienale.

Non ha voluto che lo mettessi in salotto.

Devi andare di là e vedere cosa puoi fare.

Gli ho preparato il letto per questa notte.

Ti colpirà vedere come è ridotto.

Non potrà più lavorare; ne sono sicura.”

“Non dirlo troppo presto.”

“No, non lo faccio. Vai, guarda, vedi da te.

Ma, Warren, per favore ricorda cos’ha detto:

è venuto per aiutarti a prosciugare il prato.

Ha un proposito. Non devi ridere di lui.

Forse te ne parlerà, forse no.

Io mi siederò qui a guardare se quella piccola nuvola

vagante raggiungerà la luna o la mancherà.”

La raggiunse.

Poi ci furono tre presenze, a filo d’ombra,

la luna, la piccola nuvola d’argento, e lei.

Warren tornò – troppo presto, le parve.

Scivolò al suo fianco, le prese la mano

e aspettò.

“Warren” chiese

“Morto” fu tutto quel che rispose.


Biografie

Robert Lee Frost (1874 –1963), poeta statunitense, nacque a San Francisco e visse in California fino all’età di 11 anni. Si iscrisse al Dartmouth College nel 1892, e più tardi ad Harvard, ma non prese mai una laurea regolare. Frost si dedicò a numerose occupazioni: insegnante, calzolaio ed editore dell’opera Sentineldi D. H. Lawrence. Nel 1895, Frost sposò Elinor Miriam White, che diventò la più grande fonte d’ispirazione per le sue poesie (poi morta prematuramente nel 1938). La coppia si trasferì in Inghilterra nel 1912. All’estero Frost subì l’influenza di numerosi poeti contemporanei britannici come Edward Thomas, Rupert Brooke e Robert Graves. Soprattutto Ezra Pound lo aiutò a promuovere e pubblicare i suoi lavori. Frost si distinse già allora per la dialettica, spesso irrisolta, tra modernismo e trascendentismo, movimenti che lo resero il poeta più popolare fra i contemporanei di lingua inglese. Incoraggiato dall’accoglienza di critica e pubblico, egli tornò in America, acquistò una fattoria nel New Hampshire (che da quel momento rimarrà al centro del suo universo poetico), si dedicò alla scrittura e all’insegnamento e, fra il 1923 e il 1947 pubblicò altre quattro raccolte, delle quali la più nota è proprio New Hampshire (1923). Morì a Boston nel 1963.

Gabriele Basilico nasce a Milano il 12 agosto 1944. Dopo il Liceo artistico, si laurea in Architettura al Politecnico di Milano. Inizia a fotografare mentre è ancora studente, ed è la fotografia sociale il suo primo interesse, nel momento della contestazione studentesca, delle lotte operaie, delle manifestazioni di piazza, del desiderio di cambiare il mondo. Ma, nonostante la gratitudine sempre dimostrata a Gianni Berengo Gardin, suo maestro, o all’’amico Cesare Colombo, nonostante la stima per William Klein, il reportage non è il genere di fotografia che realmente possa appartenere a Basilico, non del tutto interessato al racconto dell’evento nel suo svolgersi, non portato a cogliere in velocità il momento decisivo. Altri diventano i suoi riferimenti, prima Bill Brandt e le sue periferie urbane, Ugo Mulas con la sua cultura e la sua apertura intellettuale, Paolo Monti, con il suo metodo severo e rigoroso; poi il grande Walker Evans, maestro di democrazia dello sguardo, i coniugi Bernd e Hilla Becher, che hanno dedicato la loro vita all’indagine sistematica dei manufatti industriali, Lewis Baltz, fotografo delle aree  più infime e abbandonate del paesaggio postindustriale. Ma anche, sullo sfondo, le diverse idee di città di Mario Sironi e De Chirico e le periferie dipinte da Umberto Boccioni, o il cinema di Antonioni, Wenders, Tarkovskij.

Non solo la sua formazione di architetto ma anche la sua stessa indole riflessiva lo portano molto presto verso ciò che sarebbe diventato l’oggetto assoluto del suoi impegno: la forma e l’identità della città, l’insieme complesso delle architetture, dei manufatti creati dalla storia e dalla cultura degli uomini. E dalla città, poi, tutti i mutamenti in corso nel paesaggio contemporaneo nel passaggio dall’’era dell’industria alla fase postindustriale, e poi, ancora, l’urbanizzazione tutta del paesaggio, la metropoli, la megalopoli. In questo studio del legame tra luogo e identità, avrà per compagni di strada i grandi maestri della fotografia italiana di paesaggio, insieme a lui gli innovatori della fotografia italiana , coloro i quali l’hanno resa arte e impresa di impegno civile a un tempo: Luigi Ghirri, Mimmo Jodice, Guido Guido, Mario Cresci, Francesco Radino, Giovanni Chiaramonte, e i più giovani Vincenzo Castella, Olivo Barbieri,  Vittore Fossati. Ma anche, in Europa, tanti autori che come lui hanno fatto del paesaggio il centro del loro lavoro e che con lui hanno partecipato a molti importanti progetti di committenza pubblica, primo tra tutti quello della Mission Photographique de la DATAR.

Dopo il periodo sociale, la prima grande ricerca di Basilico è la notissima serie Milano. Ritratti di fabbriche, 1978-80, nella quale individua e cataloga la fabbrica come possibile emblema dell’identità della città, proprio nel delicato momento in cui l’era dell’industria si spegne. Svolta decisiva, nel 1984-85, la sua partecipazione alla Mission Photographique de la DATAR, grande progetto di committenza pubblica voluto dalla stato francese per una indagine dello stato del paesaggio di fine secolo.

Con questa esperienza Basilico entra in diretto contatto con la nozione complessa di paesaggio come fatto culturale, percettivo, esistenziale. Sicuramente decisivo per l’evoluzione del suo lavoro un altro momento, quando nel 1991 lavora sulla città di Beirut devastata dalla guerra: un’esperienza molto importante che lo porta a riflettere sulla complessità del corpo storico e fisico della città.

Mentre continua a lavorare in molte città e in molti progetti di committenza pubblica, sia in Italia sia in Europa, affronta un’altra ricerca di grande respiro metodologico con Sezioni del paesaggio italiano, insieme a Stefano Boeri, presentato alla Biennale di Venezia del 1996: si tratta del tentativo di individuare un metodo per descrivere le trasformazioni del paesaggio italiano nel suo insieme stratificato, in modo trasversale.

Con la seconda metà degli anni Novanta la sua opera procede su più livelli: da un lato continua a lavorare su Milano, la sua città sempre amata e sempre studiata, intrecciando le immagini di Milano con quelle di altre città italiane ed europee, in cerca di una ”forma della città”;  dall’altro, costruisce anno dopo anno lunghe indagini di singole città, o più vasti scenari nel quali confronta e fa convivere città diverse, sempre studiando l’estrema complessità dello spazio urbano contemporaneo. E’ il caso di Cityscapes, del 1999, o di  Scattered City, del 2005.

Il lavoro di Basilico può senza dubbio definirsi possente: tra le moltissime città generosamente e metodicamente affrontate vi sono Amburgo, Barcellona, Bari, Beirut, Berlino, Bilbao, Francoforte, Genova, Graz, Istanbul, Lisboa, Liverpool, Losanna, Madrid, Milano, Mosca, Nizza, Palermo, Parigi, Rio de Janeiro, Roma, Rotterdam, San Francisco, San Sebastian, Shangai, Torino, Trieste, Valencia, Zurigo.

Partito da Milano, la sua città, egli ha dunque allargato la sua attenzione all’Italia, all’Europa e poi in modo compatto alle città del mondo globalizzato, in un lungo percorso portato avanti per una vita.

 

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