ARB : Giovanni Renzo in “Atlas Coelestis” – La musica e le stelle

di Marta Cutugno

Anche la musica ci permette di viaggiare nel tempo e nello spazio.
Possiamo ascoltare canti gregoriani, tamburi africani, canti di balene, cori balcanici, tango argentino, suoni prodotti da computer o da conchiglie, da arpe eolie o da sofisticati sintetizzatori. Il nostro udito è una macchina del tempo” – 
Giovanni Renzo

Messina. Nel fine settimana appena trascorso, l’ARB ha proposto al suo pubblico un momento suggestivo tra musica e stelle insieme a Giovanni Renzo. Il 14 e 15 aprile, nella saletta raccolta ed accogliente di Via Romagnosi, il compositore messinese, autore di un vero e proprio atlante sonoro, ci ha accompagnato in un viaggio siderale nello spazio e nel tempo per unire la magia della percezione uditiva e visiva alle riflessioni sulla ricerca di sè stessi e del rapporto tra la piccolezza dell’uomo e l’immensità dell’infinito. L’esecuzione della composizione, infatti, è stata supportata da immagini video curate dallo stesso Renzo e da Gianluca Masi, astronomo del Planetario di Roma. Con un breve e significativo intervento in apertura, il M° Renzo ha preparato i presenti ad una più profonda e consapevole fruizione dello spettacolo, raccontando le tappe fondamentali della gestazione dell’opera che affonda le sue radici temporali nella notte del 7 gennaio 1610, notte in cui vengono definitivamente soppiantate le aristoteliane teorie geocentriche secondo cui il pianeta Terra si trovava in posizione centrale in un sistema di sfere rotanti.

La musica naviga tra le stelle già dal 1977, anno in cui vennero lanciate nello spazio le due sonde spaziali Voyager I e Voyager II che veicolano, tra i molti documenti, un’incisione di Glenn Gould del primo preludio dal “Clavicembalo ben Temperato” di Bach: il disco, in rame placcato oro, riporta suoni ed immagini selezionate a testimonianza della vita e della creatività sul pianeta Terra. In Atlas Coelestis, sono le stelle ad avvolgerci mediante un componimento di grande originalità, di introspezione sonora intima ed universale che sgorga dall’estro del compositore dopo la lettura del Sidereus Nuncius di Galileo Galilei. In riferimento alle scoperte dello scienziato, nel testo corredato di Dvd ed edito da Mesogea, Giovanni Renzo così scrive:

L’idea di comporre Atlas Coelestis mi è venuta proprio durante la lettura del Sidereus Nuncius. Immaginavo Galileo con l’occhio al telescopio, immerso nella notte siderea, che di tanto in tanto prende appunti sul suo quaderno (che anni dopo ho visto, con molta emozione, esposto ad una mostra). La precisione delle sue annotazioni fece nascere in me il desiderio di seguire su una mappa stellare ciò che di volta in volta egli descrive con entusiasmo e stupore. Allora ho ricostruito al computer l’aspetto del cielo visto da Padova il 7 gennaio 1610, all’una di notte, il momento ed il luogo, cioè, in cui Galileo vede per la prima volta le lune di Giove. Come ho potuto constatare, il pianeta era ben visibile quella sera, vicino alla Luna, tra le costellazioni di Orione e del Toro, non lontano dalle Pleiadi; in quella mappa stellare erano visualizzati tutti i corpi celesti che vengono descritti nel volumetto, e ciò mi aiutava nella lettura e mi permetteva poi di andarli a ricercare col mio piccolo telescopio. La mappa che avevo ottenuto mi sembrava interessante anche dal punto di vista grafico e, quasi per gioco, ho provato ad inserire nuovamente il foglio nella stampante e sovrapporre dei righi musicali alla carta del cielo; così le stelle si sono tramutate in suoni. Poi ho stabilito una tonalità, mettendo in relazione le ore della notte con il circolo delle quinte, che ha la forma del quadrante di un orologio. Calcolando la differenza tra l’ora del tramonto e l’ora in cui Galileo osserva il cielo in quella lontana notte del 1610, ho ottenuto la tonalità di mi bemolle. Una caratteristica importante della partitura che avevo davanti agli occhi mi sembrava la presenza della Luna, di Giove e di Urano in posizione molto ravvicinata; sul pentagramma formavano un intervallo di quinta che, trasposto in chiave di basso, costituiva un bordone da eseguire con la mano sinistra del pianoforte. La partitura cominciava ad avere un senso, ora dovevo trovare dei criteri esecutivi per i suoni che rappresentavano le stelle. Innanzitutto mi sembrava logico mettere in relazione la grandezza apparente delle stelle con la dinamica dei suoni, vale a dire: più grande è la stella, maggiore è l’intensità con cui la nota viene suonata. Per quanto riguarda la durata dei suoni, ho preferito non stabilire norme rigide ma lasciare la libertà di passare da una nota all’altra, così come, quando osserviamo il cielo, siamo liberi di guardare una stella, goderne lo splendore per poi passare ad un’altra. In questo senso anche l’esecuzione non doveva essere necessariamente lineare, riga per riga come in una normale partitura; si poteva scegliere se seguire il profilo di una costellazione, ad esempio, o suonare le stelle più importanti, o semplicemente spaziare liberamente con lo sguardo. A questo punto la composizione era pronta, non restava che mettere le mani sul pianoforte ed ascoltare se tutto questo aveva un senso musicale o se era solo un gioco, un divertente esperimento grafico”.

Sin dai primissimi suoni, dalle prime immagini proiettate sullo schermo, in sala ARB si manifesta un’atmosfera raccolta ed intima. L’impalpabilità composta ed avvolgente del preludio anticipa “Incanto”, uno sguardo attonito, stupito ed osservatore della volta celeste. Le sensazioni provocate dalla contemplazione dell’immenso si trasfigurano in sonorità astrali in “Orionis Nebula”, dedicato alla nebulosa di Orione, al cui interno la formazione giovani stelle evoca la vita, la rigenerazione. Sognante è “Pulsar”, che ricalca ritmicamente la pulsazione ritmica esatta della prima Pulsar (stella di neutroni) individuata da Jocelyn Bell nel 1967. Una corsa vorticosa attraverso l’ignoto coinvolge e sconvolge lo spettatore in “Cygnus X-1” – sorgente di raggi X nella costellazione del Cigno – alla scoperta del mistero cosmico degli astronomici buchi neri che nascono dal collasso gravitazionale di una stella massiccia. In “Astrorum nexus”, si impone l’idea  di impercettibilità dell’essere umano dinanzi l’infinito, una parentesi da sogno nell’incertezza e nell’incanto.

La presentazione di Atlas Coelestis all’ARB è anticipazione di un grande evento che, divenuto ormai appuntamento annuale dal 2010, vedrà Giovanni Renzo impegnato nel concerto di chiusura del Global Astronomy Month – vedi Trailer – eseguito in diretta streaming in tutto il mondo il prossimo 26 aprile alle ore 21:00 ed organizzato dalla Astronomers Without Borders. Atlas Coelestis può vantare prestigiose segnalazioni su riviste scientifiche di alto profilo come “Coelum” e “Le stelle” ed è stato presentato presso importanti Istituzioni scientifiche e concertistiche (Planetario di Modena, Planetario di Roma, Laboratorio di Scienze dell’Ambiente di Pontassieve, Università di Messina, Premio Pitagora di Crotone, Festival delle Scienze di Roma, Osservatorio Astronomico di Capodimonte, Festival Liszt di Bellagio, Teatro Rossetti di Trieste).

Rispondi