L’InVerso Fotografico di oggi è interrogativo e astratto, come se si potesse davvero trarre a-traverso il senso, colarlo e lasciarlo fluire in linee, punti e virgole a regolare i tempi e i modi del discorso.
Siamo “esili acuminati sensi e sussulti e silenzi” – scrive Andrea Zanzotto – rimbalzanti tra dicotomie scandite dalla luce di “soli che urtarono fili di ciglia”. Poi ci sono le onde mosse dal vento di Jean Gaumy, masse d’acqua in balia delle correnti, uomini provati dall’acqua che è la stessa che prende la forma nel bicchiere.
“che sarà di noi? (…) che sarà del libero arbitrio e del destino?”
Non si sceglie l’essere tempesta ma si sceglie la via mare, un destino d’acqua e vento. Superare il limite invisibile, accettare la sfida di domare la tempesta. Libero arbitrio.
“tutto questo che non è nulla ed è tutto ciò ch’io sono”.
da “Vocativo”
Esistere psichicamente
Da questa artificiosa terra-carne
esili acuminati sensi
e sussulti e silenzi,
da questa bava di vicende
- soli che urtarono fili di ciglia
ariste appena sfrangiate pei colli –
da questo lungo attimo
inghiottito da nevi, inghiottito dal vento,
da tutto questo che non fu
primavera non luglio non autunno
ma solo egro spiraglio
ma solo psiche,
da tutto questo che non è nulla
ed è tutto ciò ch’io sono:
tale la verità geme a se stessa,
si vuole pomo che gonfia ed infradicia.
Chiarore acido che tessi
i bruciori d’inferno
degli atomi e il conato
torbido d’alghe e vermi,
chiarore-uovo
che nel morente muco fai parole
e amori.

Da “La Beltà”
Sì, ancora la neve
“Ti piace essere venuto a questo mondo?”
Bamb.: Sì, perché c’è la STANDA”.
Che sarà della neve
che sarà di noi?
Una curva sul ghiaccio
e poi e poi… ma i pini, i pini
tutti uscenti alla neve, e fin l’ultima età
circondata da pini. Sic et simpliciter?
E perché si è – il mondo pinoso il mondo nevoso –
perché si è fatto bambucci-ucci, odore di cristianucci,
perché si è fatto noi, roba per noi?
E questo valere in persona ed ex-persona
un solo possibile ed ex-possibile?
Hölderlin: “siamo un segno senza significato”:
ma dove le due serie entrano in contatto?
Ma è vero? E che sarà di noi?
E tu perché, perché tu?
E perché e che fanno i grandi oggetti
e tutte le cose-cause
e il radiante e il radioso?
Il nucleo stellare
là in fondo alla curva di ghiaccio,
versi inventive calligrammi ricchezze, sì,
ma che sarà della neve dei pini
di quello che non sta e sta là, in fondo?
Non c’è noi eppure la neve si affisa a noi
e quello che scotta
e l’immancabilmente evaso o morto
evasa o morta.
Buona neve, buone ombre, glissate glissate.
Ma c’è chi non si stanca di riavviticchiarsi
graffignare sgranocchiare solleticare,
di scoiattolizzare le scene che abbiamo pronte,
non si stanca di riassestarsi
- l’ho, sempre, molto, saputo –
al luogo al bello al bel modulo
a cieli arcaici aciduli come slambròt cimbrici
al seminato d’immagini
all’ingorgo di tenebrelle e stelle edelweiss
al tutto ch’è tutto bianco tutto nobile:
e la volpazza di gran coda e l’autobus
quello rosso sul campo nevato.
Biancaneve biancosole biancume del mio vecchio io.
Ma presto i bambucci-ucci
vanno al grande magazzino
- ai piedi della grande selva –
dove c’è pappa bonissima e a maraviglia
per voi bimbi bambi con diritto
e programma di pappa, per tutti
ferocemente tutti, voi (sniff sniff
gran gnam yum yum slurp slurp:
perché sempre si continui l'”umbra fuimus fumo e fumetto”):
ma qui
ahi colorini più o meno truffaldini
plasmon nipiol auxol lustrine e figurine
più o meno truffaldine:
meglio là, sottomano nevata sottofelce nevata…
O luna, ormai,
e perfino magnolia e perfino
cometa di neve in afflusso, la neve.
Ma che sarà di noi?
Che sarà della neve, del giardino,
che sarà del libero arbitrio e del destino
e di chi ha perso nella neve il cammino
(e la neve saliva saliva – e lei moriva)?
E che si dice là nella vita?
E che messaggi ha la fonte di messaggi?
Ed esiste la fonte, o non sono
che io-tu-questi-quaggiù
questi cloffete clocchete ch ch
più che incomunicante scomunicato tutti scomunicati?
Eppure negli alti livelli
sopra il coma e il semicoma e il limine
si brusisce e si ronza e si cicala-ciàcola
- ancora – per una minima e semiminima
biscroma semibiscroma nanobiscroma
cose e cosine
scienze lingue e profezie
cronaca bianca nera azzurra
di stimoli anime e dèi,
libido e cupìdo e la loro
prestidigitazione finissima;
è così, scoiattoli afrori e fiordineve in frescura
e “acqua che devia
si dispera si scioglie s’allontana”
oltre il grande magazzino ai piedi della selva
dove i bambucci piluccano zizzole…
E le falci e le mezzelune e i martelli
e le croci e i designs-disegni
e la nube filata di zucchero che alla psiche ne vie?
E la tradizione tramanda tramanda fa passamano?
E l’avanguardia ha trovato, ha trovato?
E dove il fru-fruire dei fruitori
nel truogolo nel buio bugliolo nel disincanto,
dove, invece, l’entusiasmo l’empireirsi l’incanto?
Che si dice lassù nella vita,
là da quelle parti là in parte;
che si cova si sbuccia si spampana
in quel poco in quel fioco
dentro la nocciolina dentro la mandorletta?
E i mille dentini che la minano?
E il pino. E i pini-ini-ini per profili
e profili mai scissi mai cuciti
ini-ini a fianco davanti
dietro l’eterno l’esterno l’interno (il paesaggio)
dietro davanti da tutti i lati,
i pini come stanno, stanno bene?
Detto alla neve: “Non mi abbandonerai mai, vero?”
E una pinzetta, ora, una graffetta.
Nato a Pieve di Soligo, in provincia di Treviso nel 1921, Andrea Zanzotto è stato uno dei più grandi poeti e saggisti dell’ultimo secolo. Attivo durante la Resistenza, dopo la guerra emigrò in Svizzera e in Francia rientrando in Italia nel 1947.
Il suo primo volume (Dietro il paesaggio, 1951) lo segnala come poeta aperto ai nuovi linguaggi della sperimentazione post-ermetica. Seguono altri libri di versi: Vocativo (1957), IX Ecloghe (1962), La beltà (1968, primo esempio di poesia fortemente sperimentale, Pasque (1973). In dialetto trevigiano scrive Filò (1976), una raccolta nata, in parte, dal lavoro di sceneggiatura per il film Casanova di Felini.
Al centro della carriera poetica di Zanzotto vi è una trilogia di tre libri di versi, che lo accreditano tra i protagonisti della nostra lirica contemporanea: Il galateo in bosco (pubblicato nel 1978 con prefazione di Gianfranco Contini), Fosfeni (1983), Idioma (1986). Si acuiscono intanto le crisi d’insonnia e depressione, che lo inducono a un breve ricovero ospedaliero. Nel 1988 riceve il premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei, consacrazione della sua attività letteraria. Si spegne a Conegliano nel 2011.
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Nato nell’agosto 1948 a Pontaillac (Charente-Maritime) in Francia, Jean Gaumy è un noto fotografo e cineasta. Studia a Tolosa e Aurillac, prima di intraprendere la scuola di specializzazione di lettere a Rouen. Nel 1975 riceve un permesso speciale per fotografare liberamente i reparti di un ospedale francese. Da questa lunga esperienza nasce il suo primo libro: “L’Hôpital”. L’anno seguente diventa il primo fotoreporter ad essere ammesso nelle carceri francesi (da qui il libro “Les incarcérés”). Entrato in Magnum nel 1977, viaggia per il mondo raccontando attraverso i suoi reportage l’Europa, gli Stati Uniti, l’Africa e il Medio Oriente. Nel 1984 gira il suo primo film documentario, “La Boucane”, nominato nel 1986 ai César come miglior documentario, al quale seguono “Jean-Jacques”(1987), “Marcel, Prêtre”(1994) e “Sous-Marin”(2006). Ma è soprattutto grazie ai due libri “Le livre des tempêtes” (Premio Nadar nel 2001) e “Pleine Mer” ( Mare Aperto) che Jean Gaumy raggiunge la notorietà internazionale e viene soprannominato il ”fotografo del mare”. Alla ricerca degli ultimi equipaggi che solcano il mare e affrontano le tempeste, Jean Gaumy, per 14 anni si imbarca a più riprese su pescherecci d’alto mare, condividendo la vita, lo spazio quotidiano e le difficoltà dei pescatori. Attraverso un suggestivo e drammatico bianco e nero, Gaumy riesce a comporre un diario fotografico dell’esaltazione e la tragedia per la continua lotta della sopravvivenza. Nei suoi scatti traspare non solo un profondo amore per il mare, ma soprattutto la trasposizione visiva della fatica di un mestiere durissimo. Con “D’après nature”, Premio Nadar 2010, il fotografo francese esplora e interpreta dettagli di natura di vari luoghi del pianeta, dal Circolo Polare Artico alle terre contaminate di Chernobyl , passando infine per le spopolate valli del Piemonte.