Raymond Carver, poeta del disagio e della malinconia

di Giovanni Graziano Manca

Leggere o rileggere i versi di Raymond Carver è un’esperienza che non cessa mai di far riflettere. E’ come fermare il tempo per meditare sulla condizione di un’umanità negletta; come ammirare le pitture di Edward Hopper immedesimandosi nei personaggi che in esse compaiono; come stare affacciati ad una finestra, spettatori di ciò che succede nei sottani o nelle strade di un quartiere popolare qualsiasi, oppure seduti sul gradino più alto di uno scalone d’ingresso mentre oziosamente fumiamo una sigaretta che pende dalle nostre labbra e osserviamo in pensierosa contemplazione ogni piccolo evento che si verifica sotto i nostri occhi, tutto ciò che avviene in uno spazio più o meno ristretto in un tempo più o meno breve. E’, ancora, come concentrare l’attenzione su quella grande moltitudine di accadimenti minuti che di solito passano inosservati, soprattutto su quelli, perché la vita dei personaggi di Carver è fatta di quadretti di quotidianità, di cose semplici, di gesti elementari, ovvii, spesso, almeno in apparenza, banali, tutti con un denominatore comune di dolore e di malinconia.

late fragmentCarver riesce a stupirci con quel suo verseggiare da colloquio confidenziale e da confessione accorata che tende alla scrittura in prosa. La sua è una poesia che sa ‘raccontare’ in modo semplice, diretto, chiaro talmente ed esplicito da lasciarci attoniti come uno di quei personaggi raffigurati nelle sue tele proprio da Hopper e sorpresi dal pittore in stanze disadorne in momenti di malinconica solitudine e/o di stralunata, cupa riflessione. Inutile aspettarsi da Carver rivelazioni dirette sul significato dell’esistenza. Il messaggio contenuto nei suoi versi e nei suoi racconti filtra con una certa fatica da quello stile letterario scarno ed essenziale apparendo addirittura quasi monocorde: per i più, soprattutto per l’uomo della strada e i meno fortunati, la vita è disperazione, squallore, triste e disagiato vivere alla giornata. Chi legge l’opera dello scrittore originario dell’Oregon si avvicina, certo non senza dolorosa meditazione, alla consapevolezza che dietro ogni esistenza umana si trovano molto spesso malessere e angoscia (quella stessa che il poeta americano descrive, per esempio, nella poesia intitolata ‘La cabina telefonica’:

“Lei crolla, nella cabina, piangendo/al telefono. Chiedendo una cosa o due,/e piangendo ancora un po’./Il suo compagno, un tipo anziano in Jeans/ e camicia denim, sta in piedi aspettando/il suo turno per parlare, e piangere./ Lei gli porge il telefono./ Per un minuto stanno insieme/ nella minuscola cabina, con le lacrime di lui/che cadono accanto alle sue. Poi/ lei si va ad appoggiare al parafango/della loro berlina. E ascolta lui/ che prende accordi […].”)[1],

solitudine, silenzio e incomunicabilità (in Estate a Sacramento Carver scrive:

“[…] il giorno del mio compleanno il 25 maggio/abbiamo speso 60 dollari e passa/per cena vino e cocktail/più un film/ a cena non abbiamo trovato quasi niente da dirci/ anche se ci sorridevamo/ spesso […].”)[2].

Sentite poi come il poeta descrive quel momento di crisi esistenziale che paralizza l’artista della parola fino al punto di impedirgli di trovare il giusto vocabolo per esprimersi (il titolo della poesia è Allungare le mani):

“Si rese conto di essere/ nei guai quando,/ nel bel mezzo/ della poesia, / si sorprese/ ad allungare le mani/ per prendere /il dizionario dei sinonimi/ e poi il Webster/ uno dopo l’altro.” [3]

Classe 1938, morto di cancro nel 1988 ad appena cinquant’anni, Ray crebbe in una famiglia di origine umilissima, lontano dal frastuono delle grandi città degli Stati Uniti e dai grattacieli. Di lui, diventato famoso negli ultimi dieci anni della sua vita soprattutto come scrittore di racconti (Carver inizia solo oggi ad essere considerato tra i maggiori scrittori del Novecento americano; è infatti non di antica data, come la tendenza generale a considerarlo il ‘Cechov americano’, la ‘scoperta’ del grande valore letterario della sua opera), la poetessa Tess Gallagher, che il poeta sposò in seconde nozze, scrive:

“La fortuna di Raymond Carver è stata non solo quella di provenire dalla sua gente, ma di essere riuscito a portare le loro vite umili e i loro sogni in gran parte irrealizzabili al centro della letteratura mondiale”.

Riferendosi alle grandi qualità mostrate da Carver nella sua veste di docente universitario di scrittura creativa presso l’Università di Syracuse, lo scrittore statunitense Jay Mc Inerney ha detto che

“Ray ha avuto un effetto decisivo su un gran numero di studenti. Di sicuro, ha cambiato la mia vita in modo definitivo e ho sentito anche molti altri dire la stessa cosa”.

Poeta, scrittore, insegnante, saggista. L’opera di Carver, sebbene limitata alla pubblicazione di circa una dozzina di volumi, offre, al lettore che riesca ad apprezzarla, momenti di seria riflessione; le sue opere in versi e le sue storie danno spesso l’impressione di essere crudeli ma godono indiscutibilmente di grande fascino. Meritano perciò attenzione e una lettura approfondita.


 

note:

[1] R.Carver, Blu oltremare, tr.di P.Sica, Tullio Pironti 1994.

[2] R.Carver, Per favore, non facciamo gli eroi, tr.di R. Duranti, pp.49-50, Minimum Fax 2002.

[3] R.Carver, Per favore, non facciamo gli eroi, cit., p.55.

 

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