“L’isola del peccato”: la silent era di Hitchcock su musiche di Rossella Spinosa

di Marta Cutugno

“What shall it profit a man if he gain the whole world and lose his own soul?”

Si conclude oggi la Settimana del Cinema Muto al Teatro Vittorio Emanuele di Messina: sette giorni interamente dedicati alle affascinanti fusioni di suoni ed immagini in collaborazione col Gran Festival del Cinema Muto di Milano. Dopo la proiezione di alcune pellicole dei Fratelli Lumière e di Georges Méliès, accompagnate dal suono del pianoforte meccanico (16-17 novembre), e la proiezione di “The Lodger” – Il pensionante di Alfred Hitchcock, con accompagnamento dal vivo del duo pianistico a quattro mani Spinosa-Calcagnile (18-19 novembre, su partitura di Rossella Spinosa), da Venerdì 20 a domenica 22, va in scena “L’isola del peccato” per la regia di Alfred Hithcock, sceneggiatura di Eliot Stannard, musiche di Rossella Spinosa (ultima replica oggi alle 17:30).

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Girato nel 1928 in Cornovaglia (esterni) ed in studio a Elstree, il lungometraggio, dal titolo originale “The Manxman“, uscì nelle sale cinematografiche d’Inghilterra nel 1929 contemporaneamente a “Il Ricatto”, primo film sonoro di Sir Alfred e primo sonoro in Europa. “Mediocre e privo di umorismo“. Così Hitchcock, insoddisfatto ed irritato per non esser riuscito in quella occasione a sperimentare le nuove frontiere del sonoro, definì “L’isola del peccato“. Il film, ispirato al romanzo di Hall Caine, narra di due amici d’infanzia uniti da un sincero legame oltre le differenze sociali: nell’isola di Man, il pescatore Pete (Carl Brisson) e l’avvocato Philip (Malcom Keen) sono innamorati della stessa donna che si promette al primo ed invece ama perdutamente il secondo ma la sconfitta è lì che attende tutti. Ad accompagnare le immagini, le musiche composte da Rossella Spinosa ed eseguite dalla stessa al pianoforte e dall’Orchestra del Vittorio Emanuele diretta dal maestro Alessandro Calcagnile.

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Già a partire dai taglienti toni della sigla che accompagnano i titoli di apertura, lo spettacolo suggerisce le suggestioni della silent era, il periodo cinematografico precedente l’avvento del sonoro. Partono i fotogrammi e con loro anche il genio registico di Hitchcock che, nella gestualità e nella forte mimica facciale, si sposa ai tratti narrativi della musica. In questa prima parte Rossella Spinosa realizza magistralmente una sintesi perfetta tra ciò che si vede e ciò che si ascolta. Le note raccontano gli orizzonti che si ammirano dai pescherecci, la fatica dei pescatori dopo una giornata in mare, le loro speranze mentre, riuniti al molo, firmano una petizione. L’incontro e le presentazioni tra i due uomini e Kate (Anny Ondra), la donna contesa, sono come accompagnati dal battito cardiaco delle percussioni ed ogni sezione orchestrale contribuisce a rendere solido ed aderente agli avvenimenti quel nucleo che stringe audio e video.

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Prosegue il racconto e l’amore per Kate spinge Pete a cercar fortuna in terra africana, dopo averle strappato una promessa di matrimonio. In sua assenza, sulle pagine del diario e nel cuore della ragazza, il distaccato Mr. Christian cede il posto ad un più confidenziale Philip ed è amore. Quando Pete ritorna ricco, le note diventano canto dell’addio e Kate deve far fede alla promessa. Philip diviene Deemster (giudice dell’isola di Man) e i giorni avanzano ma l’inganno dura poco: la coscienza bussa alla porta, l’amore di Kate per Phil, dal quale ha avuto una figlia, rende insopportabile la vita coniugale e la donna scappa, tenta il suicidio finché non si palesa l’intreccio e Pete realizza quanto inutili siano stati gli affanni per migliorare la sua condizione.
Come idonea chiave nel discorso musicale, la composizione di Rossella Spinosa ha il merito di essere dalla parte dei personaggi, divenendone voce e canale espressivo: dalla parte di Phil quando, per conto di Pete, affronta Caesar (Randle Ayrton), oste e padre di Kate; negli occhi di Kate che, alti, osservano il vuoto del soffitto cercando le ragioni ed il coraggio per la prima notte di nozze; dalla parte di Pete quando, venuta fuori ogni verità, deve dire addio alla moglie, al migliore amico e alla piccola bimba che credeva sua figlia.

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Tuttavia, nella sezione centrale, che più o meno va dal matrimonio alla fuga della donna dal tetto coniugale, le scelte compositive della Spinosa e quelle direttive del pacato maestro Calcagnile risultano meno incisive, mono dinamiche e sconnesse, soccombendo così sotto il peso degli stimoli visivi e determinando una frattura con ciò che è stato prima e ciò che verrà dopo. Diversamente accade, infatti, per le scene che volgono al finale in cui si riscontra nuova coerenza narrativa audio-video: la musica apre spazi di opportuna desolazione e diviene stridente tormento, figlio della verità e delle sue conseguenze. Ottime le sonorità dell’Orchestra del Vittorio Emanuele che continua a misurarsi egregiamente con generi e stili diversi.

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