CONSONANZE E DISSONANZE / Apologo del non-apologo: “Le pietre” (ExOrma, 2017) di Claudio Morandini

Rispetto ai romanzi precedenti di Claudio Morandini, Le pietre si presenta come un racconto prosciugato, nella lunghezza, nella forma e, con ogni probabilità, anche per l’impronta tematico-ideologica dell’autore sull’opera. Le 187 pagine del romanzo – da contarsi però nel formato ridotto adottato dalla collana “quisiscrivemale” di ExOrma (mai nome più appropriato, in termini di psicologia negativa o, per essere più chiari, di ossimoro, rispetto all’altissima qualità dei testi pubblicati) – sono infatti quasi un’inezia rispetto alle dimensioni straripanti delle pubblicazioni precedenti di Morandini, tra le quali mi piace ricordare, oltre a Neve, cane, piede (ExOrma, 2015) e A gran giornate (La Linea, 2012), anche quella Rapsodia a un solo tema. Colloqui con Rafail Dvoinikov (Manni, 2010), alla quale avevo già dedicato una recensione appassionata e un fitto dialogo con l’autore dei quali resta traccia qui e qui.

Prosciugamento che arriva quasi fino alla pietrificazione – rasentando parimenti, a livello stilistico, una petrosità che sarebbe, piuttosto, di ambito poetico (come esplicita una delle epigrafi, e che si deve all’ormai quasi dimenticato Paolo Bertolani de Il custode delle voci) – visto che le protagoniste assolute del romanzo sono nientemeno che le pietre citate nel titolo. Sassi dall’apparizione via via enigmatica, perturbante, quotidiana, scherzosa, grottesca, tragica e di nuovo, in chiusura, enigmatica, che sconvolgono in un primo momento l’esistenza dei coniugi Ettore e Agnese Saponara e poi, in qualche modo, agitano la vita dei paesi di montagna di Sostigno e Testagno. La “movimentano”, anzi, con la loro capacità – enigmatica, appunto – di spostarsi in autonomia, apparendo qui e là e talvolta aggredendo fisicamente i personaggi.

Da questa breve descrizione di parte dell’intreccio, sembrerebbe che il lettore sia posto di fronte a una narrazione allegorica, mantenuta entro i limiti formali di un genere che sta a metà tra il romanzo breve e l’apologo. Non è così: l’allegoria dice poco, quasi niente (ma potrebbe colpire come una sassata in testa, di tanto in tanto); l’apologo sarebbe usualmente popolato di personaggi antropomorfi o zoomorfi, ma qui le vere protagoniste del romanzo, oltre agli abitanti di Sostigno e Testagno, sono le pietre, minerali che poco o nulla dicono di un possibile portato didascalico, etico o politico della narrazione.

Del resto, la capacità di rifuggire la ristrettezza del genere-apologo o della costruzione di un’allegoria ben definita appare come uno dei punti di forza del testo, spesso immerso in un’atmosfera kafkiana (nel senso di prossimità alle de-figurazioni di Kafka stesso, e non nel senso generalmente invalso nell’uso). A questa fa tuttavia da contrappeso un tono, più lieve, di “leggenda di paese”, costantemente sostenuto da una narrazione che è spesso in prima persona plurale e che, con frequenza, si dirige direttamente al lettore, come se questi fosse in ascolto di una classica storia da bar.

Un mix inusitato e complessivamente ben riuscito, dove molto di rado s’incappa in qualche elemento più stereotipato (come, ad esempio, alcuni tratti della caratterizzazione di un personaggio tutto sommato minore come don Danilo), mentre più spesso s’infiltrano, nei dettagli della narrazione, alcune preziose possibilità ermeneutiche, che sono sì deprivate della potenza (che è spesso artificiosa) dell’allegoria, ma che arricchiscono, e forse a maggior ragione, l’esperienza di lettura.

Di queste, si segnala in ultimo che la narrazione delle Pietre di Morandini, autore di Aosta, è forse una delle poche vere “storie di montagna” – sia per la specificità del contesto che per le inflessioni demartiniane usate nel racconto di una ciclica Fine del mondo della cultura popolare (che è qui anche argutamente aggiornata, poiché se ne dà una gustosa, pur se tetra, versione commercializzata) – che è senza dubbio prezioso aver l’occasione di leggere e rileggere, in un’epoca che ha visto prevalere, nel panorama letterario italiano, narrazioni per così dire “montanare”, presto risucchiate, e già sulla pagina, nel mainstream.

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