BATMAN V SUPERMAN: DOWN OF JUSTICE: Il Cinema del venerdì – di Francesco Torre

BATMAN V SUPERMAN: DOWN OF JUSTICE

Regia di Zack Snyder. Con Ben Affleck (Bruce Wayne/Batman), Henry Cavill (Clark Kent/Superman), Amy Adams (Lois Lane), Jesse Eisenberg (Lex Luthor), Gal Gadot (Wonder Woman), Lawrence Fishburn (Perry White), Jeremy Irons (Alfred Pennyworth), Holly Hunter (senatrice Finch), Diane Lane (Martha Kent).

Usa 2016, 151’.

Distribuzione: Warner Bros.


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L’uomo contro Dio, la notte contro il giorno, i pettorali contro i bicipiti, la Coca Cola contro la Pepsi, Fracchia contro Dracula, Paperino contro Topolino, ma soprattutto Dc Comics, Warner Bros e Zack Snyder uniti in esercito contro la grammatica del cinema.

Metropolis non è un paese per alieni. Prendete Superman: la senatrice Finch lo vorrebbe processare, Batman gli ha giurato vendetta eterna e lo psicotico imprenditore Lex Luthor gli rapisce addirittura la mamma. Quale altra soluzione che non distruggere tutto ciò che capita a tiro nella battaglia contro un cugino di Godzilla?

In quello che si preannuncia come il primo film di una lunga ed estenuante nuova franchise (dopo l’alba ci sarà la mattina, il pomeriggio, la sera, e perché no lo spuntino di mezzanotte…), il regista – già autore di “300”, “Watchmen”, “L’uomo d’acciaio” e altre raffinate opere d’essai – sembra essere preda di una vera e propria crisi bulimica: traumi infantili, parallelismi cristologici, riferimenti pittorici, riflessioni barthesiane sui miti contemporanei, e poi sequenze oniriche, spericolati inseguimenti, montaggi alternati, scelte fotografiche estreme (la bassa definizione di Gotham City contro la perfezione digitale del “supermondo” di Clark Kent) e naturalmente le immancabili scazzottate.

Se la traccia narrativa dell’uomo pipistrello è inizialmente meno lineare e manichea, possiamo dire più adulta per temi e problematiche estetiche rispetto a quella del kryptoniano, pure l’uso continuo di rallenty e incubi (e ancor peggio di rallenty negli incubi), la figura monolitica e totalmente inespressiva di Ben Affleck, l’ottusità di un piano di vendetta che si infrange al primo richiamo di familismo amorale, e infine l’oscenità di una tutina piena di rigonfiamenti muscolari fanno presto capire la piena e convinta volontà di riporre nell’armadio dei ricordi le interpretazioni di Burton e Nolan e di abbracciare piuttosto la caratterizzazione e gli stilemi rappresentativi della serie tv degli anni ’60 (nel corpo a corpo sembrano mancare solo le scritte onomatopeiche in sovrimpressione).

La sceneggiatura, così, nonostante alcuni blandi tentativi di attualizzazione (terrorismo, povertà, corruzione in politica), ben presto vira totalmente verso il classico della narrazione per antonomasia, uno storytelling (come si dice adesso) vecchio di 2016 anni, ovvero la Passione di Superman (forse non è un caso che il film sia stato distribuito proprio a Pasqua?) con tanto di incontro spirituale col padre, sacrificio umano con perforazione corporea, morte e resurrezione.

Tra i due litiganti, comunque, come è noto, il terzo gode: è la Wonder Woman di Gal Gadot, che sbuca dal nulla e lascia tutti (spettatori compresi) a bocca aperta, se non altro perché mostra di avere la forza e i mezzi per affrontare ogni più temibile sfida senza mai sgualcire il suo iconico corpetto.

 

La citazione: «Gli uomini sono ancora buoni».

Francesco Torre

 

UNA PARTE DI QUESTO ARTICOLO E’ STATA PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO DI SICILIA DEL 31 MARZO 2016.

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