Leoluca Orlando ossia il sindaco di Palermo per antonomasia. Leoluca Orlando lo seguo dai tempi della Rete. Lo vidi a Monza, poco dopo che un’auto con esplosivo era stata scoperta dalla polizia e il ministro dell’interno Mancino disse in tivù che era esplosivo di mafia per lui. Orlando è un personaggio arcisiciliano, nel bene e nel male, ma per quanto mi riguarda molto più nel bene. Pochi oggi ricordano che rinunciò a candidarsi nelle liste DC perché capolista era Salvo Lima e lui pose un aut-aut: o lui o me. Pochi oggi ricordano che alla commemorazione della morte di Falcone, di fianco a Borsellino, c’era Orlando, chiamato “l’amico Orlando” da Borsellino. Pochi lo ricordano perché tutti ricordano le sue polemiche con Falcone, l’esposto al CSM suo e di Mancuso e Galasso sui fascicoli tenuti nel cassetto, per i quali Falcone dovette difendersi. Orlando ha di certo creato molti dispiaceri a Falcone, e lo ha indebolito come immagine pubblica. Ma non era Orlando (né gli altri poi confluiti nella Rete) il nemico di Falcone. Non era Orlando ad aver impedito a Falcone di fare carriera in magistratura, senza la quale dovette accettare il posto alla superprocura ideata da Martelli (superprocura contro cui Orlando era contrario a prescindere da chi l’avrebbe presieduta, e su questo aveva dubbi pure Borsellino). La marea di fango contro Falcone non era da imputare a Orlando, ma alla magistratura e alla politica e agli intellettuali come Sciascia che in uno sciagurato articolo sui professionisti dell’antimafia prendeva di mira Orlando e Paolo Borsellino, accusato di far carriera con l’antimafia. La carriera che ha fatto Borsellino la conosciamo tutti. Sciascia criticava le promozioni nella magistratura per meriti antimafia e non per anzianità in quell’articolo, colpendo con ciò Borsellino, e di fatto anche Falcone, che non è stato premiato per merito e ha perso la procura di Palermo perché per anzianità gli hanno preferito Meli. Grazie a chi la pensava come Sciascia Falcone è stato isolato dalla magistratura. E lì va trovata la persecuzione di Falcone, non in Orlando, amico di tutta la famiglia Borsellino, e di Antonino Caponnetto che lo ha seguito nella Rete. Ma su internet ci sono video youtube che vorrebbero imputare a Orlando accuse a Falcone anche quando Orlando ha trovato nelle dichiarazioni di Falcone conferma dei legami tra Salvo Lima e gli esattori Salvo di Palermo. In un video, famoso in rete, con Santoro e Costanzo, si prendono di mira Orlando e Galasso come nemici di Falcone. Galasso critica la scelta di Falcone di andare con Martelli, e glielo dice in faccia, Orlando non critica in alcun modo Falcone e attende da lui conferma, che dica pubblicamente dei legami tra Lima e i Salvo: Falcone lo dice, e Orlando esclama: Ulteriore conferma. Ma chissà perché, molte persone su youtube credono che quello sia un attacco a Falcone. Orlando è stato ed è un personaggio rocambolesco, con una comunicativa spesso paradossale, a volte non chiara. Di certo ama Palermo, di certo ha rischiato la vita per la lotta alla mafia, che ha sentenziato una condanna a morte su di lui, e Orlando ha dovuto dormire per anni separato dalla famiglia nelle caserme dei carabinieri. Orlando ha il torto di non aver saputo lasciare il posto ad altri a Palermo. Ma chi c’è o c’era a Palermo oltre a lui?Chi non ha saputo creare una reale alternativa a Orlando? Fino ad allora, avercene di Orlando. LG
“Il mondo è cambiato, e chi non comprende che il mondo è cambiato rimane chiuso nella sua scatola”. Dette da uno qualsiasi sono frasi fatte di un candidato qualunque che ha evidentemente una grande consapevolezza di sé. Solo che queste parole le ha pronunciate Leoluca Orlando, rieletto sindaco di Palermo per la quinta volta in trentadue anni. Dalla prima elezione sono passati quattro decenni, tre Repubbliche, sei capi di Stato, quattordici presidenti del consiglio. Quando Orlando entrava a Palazzo delle Aquile per la prima volta – solo per fare un esempio – Michail Gorbacev veniva nominato segretario delPcus, il Verona di Osvaldo Bagnoli vinceva lo scudetto, Michael Jackson incideva We are the world e in Giappone usciva per la prima volta il videogioco.
Insomma ha ragione Orlando: il mondo è cambiato, ma Palermo no. O meglio: è vero che il capoluogo di Sicilia è praticamente irriconoscibile rispetto al 1985, ma il sindaco è sempre lui, l’eterno Orlando, evidentemente immune al tempo e unico fautore di qualsiasi cambiamento possibile. Anche perché la sua vittoria numero cinque non era certo inattesa: al contrario era stata ampiamente anticipata dai sondaggi e raggiunta anche grazie a quella legge bizantina che in Sicilia ha abbassato al 40% la soglia per evitare il ballottaggio. Per la verità l’intera campagna elettorale delle amministrative palermitane è stata praticamente orlandocentrica. Basta dare uno sguardo sempre ai dati della vigilia: tra i candidati in lizza per le comunali, il sindaco era il più criticato (non piaceva al 54% degli intervistati), ma anche il più apprezzato, con il 45% dei consensi. Insomma: mezza Palermo odia Orlando, ma l’altra metà lo ha sostenuto senza se e senza ma rieleggendolo al primo turno.
L’arte di annacarsi – Numeri a parte, però, per spiegare il contesto di questa quinta rielezione bisogna forse andare a rileggersi un libro di Roberto Alajmo, scrittore e giornalista che il sindaco ha installato al vertice del teatro Biondo stabile cittadino. Quel libro si chiama L’arte di annacarsi e parla genericamente della Sicilia. Annacarsi è un verbo del lingua siciliana, un verbo insidioso perché è difficile da tradurre in italiano. Sarebbe cullare, o meglio cullarsi, ma non è proprio la stessa cosa. L’arte diannacarsi prevede muoversi al massimo per spostarsi il minimo. “Pur restando immobile, l’Isola si muove. Non è uno di quei posti dove si va a cercare la conferma delle proprie conoscenze. È invece un teatro dove le cose succedono da un momento all’altro. È un susseguirsi di scatti prolungati, pause per rifiatare e ancora fughe in avanti“, scrive Alajmo.
Sembra di vederla quella Palermo in cui sono passati tutti – Fenici, Saraceni, Normanni – ma che dava sempre l’impressione di rimanere immobile, scolpita dallo scirocco e troppo stanca anche anche per fare un solo passo in avanti. Un’impressione, quella dell’immobilità, che non è mai svanita neanche con l’arrivo di Orlando. Eppure, solo per rimanere agli ultimi 5 anni, Palermo è cambiata: una nuova zona a traffico limitato è stata varata nel centro storico, tre nuove linee di tram collegano le periferie, inedite isole pedonali hanno ridato decoro alla città: ad una prima occhiata, però, Palermo sembra sempre la stessa. D’altra parte sono trent’anni che fa da sfondo a scatti prolungati, fughe in avanti, reazioni orgogliose che poi si schiantano sempre su qualche arenile. È a quel punto che i palermitani cominciano ciclicamente a scuotersi dal torpore. Senza sapere bene come e perché, iniziano a lamentare il bisogno di un’indeterminata novità, qualcosa di “nuovo” che faccia piazza pulita di tutte quelle scorie che bloccano in perpetuo la città. Ecco, il primo talento di Orlando è sempre stato questo: essere la novità prima che un’altra novità – magari più giovane e pop – si palesasse, essere grillino prima che i grillini stessi nascessero, essere riformista di sinistra prima che il più grande partito riformista di sinistra venisse fondato, ovvero il Pd. Già il Pd: gli odiati ex comunisti ed ex diessini che alla fine riescono sempre a farsi stritolare dal gioco orlandiano.
La sera della rielezione l’appena rieletto sindaco di Palermo è riuscito addirittura a litigare con l’inviata diEnrico Mentana, negandole l’intervista in diretta. Il motivo? In studio l’avevano definito: “il candidato del Pd“. Non sia mai: Orlando è soltanto Orlando, e quando gli chiedono commenti sul fronte nazionale risponde: “Il mio partito è Palermo, del resto non mi interessa”. Poco importa se in realtà l’Orlando del 2017 il Pd lo ha accolto ben volentieri nella sua coalizione previo diktat: “Volete appoggiare la mia rielezione? Riponente nel cassetto il vostro simbolo”. L’ultima magia del sindaco illusionista, infatti, è proprio questa: varare quella che qualcuno ha ribattezzato la “coalizione matrioska“. Il gioco è semplice: basta smontare la gigantesca effige del sindaco palermitano e dentro trovi i Democratici e popolari, lista civica che già nel simbolo rappresenta lafusione perfetta del Pd e di Alternativa Popolare, i due partiti di governo freschi di rissa a colpi di offese e retroscena. Sviti la bambola più piccola di Democratici e popolari e dentro ci trovi i dem di Matteo Renzi e Davide Faraone. Smonti anche quella e spuntano Angelino Alfano e i suoi. E poi gli uomini dell’ex ministro Totò Cardinale, ma anche quelli di Carlo Vizzini, alcuni ex consiglieri di Forza Italiadivenuti renziani ed altri ex sostenitori dell’odiatissimo Diego Cammarata, gli ex comunisti diRifondazione e i post di Sinistra Italiana: tutti fulminati sulla via di Orlando e oggi uniti nella grande alleanza No Logo costruita dal sindaco.
“È sorprendente che il più grande partito italiano rinunci alla sua identità e al suo simbolo per allearsi con Leoluca Orlando. Che senso ha? L’ultima volta che il Pd è stato con Orlando è sparito dalla scena politica palermitana: era il ’90 e prese il 2 o il 3%, andate a controllare”, ricordava maligno Totò Cuffaro, l’ex governatore della Sicilia condannato in via definitiva per favoreggiamento alla mafia. “Diciamolo chiaramente: quella di centrodestra è una coalizione guidata da un condannato per mafia”, era la secca replica del sindaco, che in fondo deve la sua quinta vittoria anche alla sostanziale assenza di avversari reali. Il Movimento 5 Stelle aveva scelto di puntare su Ugo Forello, vincitore delle comunarie e candidato con un curriculum da “giovane Orlando”: avvocato, fondatore dell’associazione antiracket Addiopizzo, incarna l’immagine di grillino moderato e istituzionale. Le faide interne ai 5 Stelle palermitani, con il gruppo di Riccardo Nuti che lo ha praticamente boicottato, ne hanno però azzoppato la corsa. Partiva male, anzi malissimo la candidatura di Fabrizio Ferrandelli : nel 2007 era stato eletto consigliere dell’Italia dei Valori e veniva dipinto come il pupillo di Orlando, dieci anni dopo si è trasformato nell’acerrimo nemico del primo cittadino. La spaccatura si era consumata già cinque anni fa, con Ferrandelli che aveva disubbidito al capo candidandosi alle primarie contro Rita Borsellino e diventando quindi il candidato sindaco del centrosinistra. Asfaltato da Orlando già nel 2012 Ferrandelli si è quindi ricandidato, abbandonando il Pd e incassando il sostegno dai nemici di sempre: Forza Italia diGianfranco Micciché, Cantiere Popolare di Saverio Romano. Una giravolta completa che ha praticamente azzerato la sua credibilità, garantendogli comunque un buon 30 % di voti.
“Che ci fa questo qui da quell’altra parte?”, si sono chiesti più volte nel Pd, dopo essere stati costretti a rinunciare al proprio simbolo pur di appoggiare Orlando. Il problema, infatti, non è tanto che a Palermo il partito che governa il Paese è costretto a camuffarsi dentro una lista fasulla per entrare in consiglio comunale. Il problema è che all’orizzonte non si vede alcun erede del primo cittadino, fino a oggi capace di azzerare i partiti e decapitare delfini senza perdere un solo voto. “Ci aspettano cinque anni di esami e di primarie per fare emergere nuovi protagonisti e per scegliere il sindaco della Palermo 2022”, dice il sindaco, rivendicando in pratica il diritto a sceglierselo da solo il successore e soltanto nel 2022, alla fine del suo quinto mandato, quando avrà superato i 74 anni. Per allora Alajmo avrà forse prodotto una versione aggiornata dell’Arte di annacarsi. Magari un saggio completamente nuovo che ci spieghi come è stato possibile che a Palermo la parola “sindaco” e il cognome “Orlando” si siano praticamente fuse: nei quartieri popolari e nei mercati storici della città lo chiamano semplicementeSinnacollanno, tutto attaccato. Come dire: l’unico in grado di tenere insieme le varie anime della capitale di Sicilia è soltanto lui, l’eterno sindaco sintesi moderna di un viceré borbonico e un califfo saraceno. Un principe di Salina che arringa in dialetto la Palermo dei salotti buoni ma anche il ventre molle della città. Resta da capire cosa ci sarà dopo. Ammesso che un dopo sia ipotizzabile, nella città che tra i tempi verbali della sua lingua non prevede l’uso del futuro.
Da https://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06/12/elezioni-palermo-la-quinta-volta-di-orlando-larte-di-annacarsi-e-nessuno-sfidante-vero-cosi-il-sindaco-ha-vinto/3643058/