InVersi Fotografici: il nero e l’azzurro ossia della rivoluzione e della nostalgia – Guy Bourdin Vs Mark Strand

L’InVerso fotografico di oggi affonda le sue radici nella nostalgia. L’esistenza scorre e ciò che resta è il ricordo di ciò che siamo stati. Poter sorridere del proprio passato è un lusso di pochi. L’arte suggerisce l’uso dell’ironia per smaterializzare il dolore e dissolvere i drammi nella metafora di conchiglie bare del vento.

«È ora. L’aria è pronta. C’è uno spiraglio nel cielo».

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Dal lungo party triste
da “The Late Hour”

Qualcuno stava dicendo
qualcosa riguardo ombre che coprono il campo, riguardo
lo scorrere dell’esistenza, di come ci si addormenti verso il mattino
ed il mattino passi.

Qualcuno stava dicendo
di come il vento muoia ma poi ritorni,
di come le conchiglie siano le bare del vento
ma il tempo continui.

Era una lunga notte
e qualcuno disse qualcosa riguardo a come la luna perdeva il suo
bianco
sul freddo campo, come non ci fosse nulla davanti a noi
oltre le solite cose.

Qualcuno menzionò
una citta in cui era stata prima della guerra, una stanza con due
candele
contro un muro, qualcuno che danzava, qualcuno che guardava.
Cominciamo a credere

che la notte non avrebbe avuto termine.
Qualcuno stava dicendo che la musica era finita e nessuno
se n’era accorto.
Allora qualcuno disse qualcosa riguardo i pianeti, riguardo le
stelle,
di quanto fossero piccole, quanto fossero lontane.

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Cos’era da “Blizzard of one”

I
Era impossibile da immaginare, impossibile
da non immaginare; il suo azzurro, l’ombra che proiettava,
che cadeva a riempire l’oscurità del proprio freddo,
il suo freddo che cadeva fuori di sé, fuori di qualsiasi idea
di sé descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia,
una macchia, un punto, un punto entro un punto, un abisso infinito
di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che
affoga in sé, qualcosa che va, un’alluvione di suono, ma meno
di un suono; la sua fine, il suo vuoto,
il suo vuoto tenero, piccolo che colma la sua eco, e cade,
e si alza, inavvertito, e cade ancora, e così sempre,
e sempre perché, e solo perché, una volta essendo stato, era…

II
Era l’inizio di una sedia;
era il divano grigio; era i muri,
il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui
i ruderi di luna le crollavano sui capelli.
Era quello, ed era più di quello; era il vento che sbranava
gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava
di stelle sulla riva. Era l’ora che pareva dire
che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti
mai più chiesto nulla. Era quello. Senz’altro era quello.
Era anche l’evento mai avvenuto – un momento tanto pieno
che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore era tanto grande
da contenerlo. Era la stanza che sembrava immutata
dopo così tanti anni. Era quello. Era il cappello
che s’era dimenticata, la penna lasciata sul tavolo da lei.
Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come
sedevo, come attendevo per ore, giorni. Era quello. Solo quello.

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Il tempo mi dice ciò che sono. Cambio e resto lo stesso.

Nascevano di notte le immagini di Guy Bourdin, nel buio di uno studio dipinto di nero. Nero come a rifiutare il lato chiaro delle cose per tuffarsi a capofitto nel nero,  il colore del delitto e della passione primordiale, anzi della violenza di tutte le passioni.

Molte delle poesie di Mark Strand sono similmente incardinate nel tema di una buia innominabile nostalgia. L’Itaca dell’uomo contemporaneo è in quella zona franca che non fa più parte della storia individuale e neanche della storia dei nostri sogni: una dimensione innominabile, intransitabile a ritroso, ma neanche percorribile in avanti, circondati come siamo da un buio fitto che non consente di riconoscere una direzione.

Maestro indiscusso della fotografia di moda e di un glamour saturo di colori e di erotismo, Bourdin attinge alle radici del Surrealismo: modelle schiacciate da oggetti di dimensioni pop o tagliate a pezzi da una fantasia affilatissima, ma a uccidere soprattutto è la voglia di provocare. Il trucco allegro di un mago.

Strand è stato paragonato a Robert Bly per il suo uso del surrealismo, ma la vera origine del suo surrealismo del quotidiano gli deriva piuttosto dalla attenta lettura iconografica della pittura di Marx Ernst, Giorgio de Chirico e René Magritte. Una poesia dunque che si nutre dell’arte figurativa, una traduzione e una riconfigurazione di quella iconografia nella poiesis.

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A uscire dalle labbra, a svuotare di ogni desiderio l’amante di una notte, è un mar rosso di vernice rossa, densa, ancora calda. (FotoBox, Contrasto)

Le poesie di Strand utilizzano un linguaggio diretto, colloquiale e concreto, una sintassi regolare, un verso ampio di origine narrativa privo di rime e di un metro riconoscibile ma non per questo meno musicale.

 «Mi sento molto una parte di un nuovo stile internazionale che ha molto a che fare con la semplicità di dizione, un certo affidamento sulle tecniche surrealiste, e un elemento narrativo forte»

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Mare nero
da “Man and camel”

Una notte chiara, mentre gli altri dormivano, ho salito
le scale fino al tetto della casa e sotto un cielo
fitto di stelle ho scrutato il mare, la sua distesa,
il moto delle sue creste spazzate dal vento, divenire
come pezzi di trina gettati in aria. Sono rimasto nella lunga
notte piena di sussurri, aspettando qualcosa, un segno, l’avvicinarsi
di una luce lontana, e ho immaginato che tu venivi vicino,
le onde scure dei tuoi capelli mescolarsi col mare,
e l’oscurità è divenuta desiderio, e desiderio la luce che approssimava.
La vicinanza, il calore momentaneo di te mentre rimanevo
su quell’altezza solitaria guardando il lento gonfiarsi del mare
rompersi sulla riva e in breve mutare in vetro e scomparire…
Perché ho creduto che saresti venuta uscita dal nulla? Perché con tutto
quello che il mondo offre saresti venuta solo perché io ero qui?

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Ciò che resta

Mi svuoto del nome degli altri. Mi svuoto le tasche.
Mi svuoto le scarpe e le lascio sul ciglio della strada.
Di notte metto indietro gli orologi;
apro l’album di famiglia e mi guardo bambino.

A che giova? Le ore hanno fatto il loro dovere.
Dico il mio nome. Dico addio.
Le parole si inseguono nel vento.
Amo mia moglie ma la caccio.

I miei genitori si alzano dai troni
nelle stanze delle nuvole. Come posso cantare?
Il tempo mi dice ciò che sono. Cambio e resto lo stesso.
Mi svuoto della mia vita e rimane la mia vita.

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Il cunicolo

Un uomo sta fermo
davanti a casa mia
da giorni. Lo spio
dalla finestra del
salotto e la sera,
non riuscendo a prendere sonno,
con la torcia elettrica
illumino il prato.
È sempre lì.
Dopo un po’
socchiudo appena
la porta e gli ingiungo
di andarsene dal giardino.
Strizza gli occhi
e geme. Sbatto
la porta e mi precipito
in cucina, poi su
in camera, poi di nuovo giù.
Piango come una scolaretta
e faccio gesti osceni
alla finestra. Scrivo
messaggi enormi sul proposito
di suicidarmi e li espongo
in modo che li legga facilmente.
Distruggo gli arredi
del salotto per dimostrare
che non posseggo nulla di valore.
Lui resta impassibile
e allora decido di scavare un cunicolo
che sbocchi nel giardino del vicino.
Separo lo scantinato
dai piani superiori
con un muro di mattoni. Scavo
come un matto e il cunicolo
è subito finito. Lascio sotto
il piccone e la pala,
sbuco davanti a una casa
e resto lì troppo stanco
per muovermi o parlare, sperando
che qualcuno mi aiuti.
So di essere osservato
e a tratti sento
la voce di un uomo,
ma non succede niente
e sono giorni che aspetto.
da “Dormendo con un occhio aperto”

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Frammento di tempesta

Dall’ombra delle cupole nella città delle cupole,
un fiocco di neve, tormenta al singolare, implacabile,
è entrato nella tua stanza e si è fatto strada fino al bracciolo
della poltrona dove tu, alzando lo sguardo
dal libro l’hai scorto nel’attimo in cui si posava. Tutto qui.
Niente altro che un solenne svegliarsi
alla brevità, al sollevarsi e al cadere dell’attenzione, rapido,
un tempo tra tempi, funerale senza fiori. niente altro
se non per la sensazione che questo frammento di tempesta,
fattosi niente sotto i tuoi occhi, possa ornare,
che qualcuno tra anni e anni, seduta come adesso sei tu, possa dire:
«È ora. L’aria è pronta. C’è uno spiraglio nel cielo».


Mark Strand nato l’11 Aprile 1934 è un canadese-americano nato poeta, saggista e traduttore.  Nel 1957, ha conseguito la laurea. Strand ha poi studiato pittura con Josef Albers presso la Yale University , nel 1959 tramite una borsa di studio Fullbright , ha studiato la poesia italiana dell’Ottocento in Italia durante il 1960-1961. Ha frequentato i workshop Writers Iowa presso la University of Iowa e l’anno successivo  ha conseguito un Master of Arts nel 1962. Nel 1965 ha trascorso un anno in Brasile come lettore. Dal 2005 al 2006 è stato un professore di inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University.

Bourdin fu uno dei più celebri fotografi di moda e pubblicità della seconda metà del ventesimo secolo. Condivise con Helmut Newtonil gusto per la provocazione e la stilizzazione, ma l’audacia formale e la forza narrativa delle opere di Bourdin superarono i limiti della fotografia pubblicitaria convenzionale. Frantumando aspettative e mettere in discussione i limiti, pose le basi per un nuovo tipo di fotografia di moda. Bourdin lavorò per Vogue ed Harper’s Bazaar, e curò le campagne promozionali di Chanel, Issey Miyake, Emanuel Ungaro, Gianni Versace, Loewe, Pentax e Bloomingdale’s.

Nacque il 2 dicembre 1928  a Parigi. Fu abbandonato da sua madre l’anno seguente e fu adottato da Maurice Désiré Bourdin. Nel 1950 tornò a Parigi, dove conobbe Man Ray, e ne divenne il protégé. Nei primi anni, le opere di Bourdin furono esibite sotto lo pseudonimo di Edwin Hallan. Nel 1985, Bourdin rifiutò “perché del tutto inutile” il Grand Prix National de la Photographie, che gli era stato riconosciuto dal ministero della Cultura francese, benché il suo nome fu mantenuto nell’albo d’oro dei vincitori. Accetta invece tre anni, dopo il premio Infinity dell’International Center of Photography di New York. A presentarlo è Annie Leibovitz. Muore nel 1991.

Alla sua morte, Guy Bourdin è stato riconosciuto come uno dei più grandi fotografi di moda di tutti i tempi, e nel 2001 suo figlio Samuel Bourdin ha pubblicato un volume contenente tutte le migliori realizzazioni del padre, intitolato Exhibit A. La sua prima mostra retrospettiva si è tenuta presso il Victoria & Albert Museuma Londra nel 2003, per poi essere allestita anche presso il National gallery of Victoria di Melbourne, ed il Jeu de Paume di Parigi.

Vedi anche

InVersi Fotografici V – Del “linguaggio originario della carne” o della perdita della ragione – Guy Bourdin Vs Artaud

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