di Vincenzo Frungillo
2.
Ivan Schiavone, con Cassandra. Un paesaggio, ripropone il personaggio mitico-letterario, sventurata figlia di Priamo, con una della opere più complesse e ricca di richiami del panorama poetico a noi più prossimo. Il testo, diviso in quattro parti, descrive la visione della sacerdotessa destinata a profetizzare catastrofi e a non essere creduta. Così il viaggio d’inverno (il Winterreise) della prima sezione del libro, richiamo esplicito al libretto di Müller scritto per l’omonima opera di Schubert, è privo di una vera meta, procediamo tra i versi a gradoni della composizione come se avanzassimo su lastre di ghiaccio frante o sul punto di spezzarsi del tutto. Basta leggere l’inizio di questa sezione per capire quanto dico:
dopo che (dopo che
neanche una parola fu
se non rotta
dopo di che neanche una parola fu retta
serrata la porta che alle tue spalle
richiuso, imboccata la via
in indistinto sfuma il contorno preciso del tuo corpo e affonda
in un paesaggio d’ombre
dal mondo giunge un’eco labile
solo a tratti percepibile
come un brusio che piange
un rumore bianco[1]
Ciò che viene cantato è la rinuncia al significante o all’illusione di una sostanza ultima delle cose, questo assunto di ascendenza surrealista, declinata tragicamente dalla parabola poetica di Celan, si traduce in un percorso di avvicinamento graduale ad un oikos irraggiungibile. Cassandra è la donna privata degli affetti familiari, privata della casa, costretta a girare il mediterraneo avendo visioni di catastrofi, il suo cammino rinnova la misura della lontananza; questo movimento ad elastico circoscrive uno spazio in cui il topos epico e il tragico si uniscono ad una sensibilità del tutto contemporanea. Ciò che è in gioco nella composizione, più che uno sfoggio delle possibilità tecniche della poesia, tanto caro ai postmoderni, è la necessità di un disegno riconoscibile del mondo, diremmo un ethos, solo a patto però che questo termine venga colto nella pienezza del suo significato. Schiavone reitera per l’intero libro le spezzature del verso tradizionale per creare un paesaggio desolato, un paesaggio geografico, ma anche psichico, biologico e storico su cui noi tutti ci incamminiamo.
cos’è che in noi che fa noi s’è rotto?
che cos’è (le parole
che cos’è che rompe le parole?
si arrestano sulla soglia
e non entrano
perché sulla soglia?
perché non entrate e state
seduti sullo scalino?
quando passò lo sciancato
ma anche prima che lo sciancato passasse
le parole erano (anche prima che lo sciancato passasse
le parole erano rotte?
sì, le parole erano
anche prima
anche ora
e in mezzo
la soror mystica venuta con calzari fenici e con voce
(tu che ascolti sai dire se fu vera agnizione?
[1] Schiavone Ivan, Cassandra, un paesaggio, Oédipus, Salerno, 2014.