Le altre lingue: Polonia – Stanisław Barańczak

Primo capitolo della rubrica “Le altre lingue” dedicata alla Polonia. Il poeta selezionato da Paulina Malicka è Stanisław Barańczak. Buona lettura.


Stanisław Barańczak (1)

Poco più di un anno fa, il 26.12.2014, si è spento uno dei massimi poeti polacchi contemporanei, nonché, come suggeriva Czesław Miłosz, uno dei più geniali traduttori di letteratura inglese, russa e lituana che la Polonia abbia mai avuto. Un traduttore che sapeva salvare l’insalvabile con una straordinaria maestria ed una disarmante audacia ed efficacia espressiva fuori dal comune. Basti pensare alle sue traduzioni di Shakespeare, Joyce, Donne, Dickinson, Heaney, Auden, Hardy, Hopkins, ma anche alla sua resa in polacco del secondo canto dell’Inferno dantesco. Di nome fa Stanisław, di cognome Barańczak. Nato a Poznań il 13 novembre 1946. Laureato in Filologia Polacca all’Università Adam Mickiewicz di Poznań. Poeta, docente universitario presso l’Ateneo posnaniense, recensore, saggista, critico letterario, intellettuale di spicco, dissidente politico, attento osservatore e commentatore della vita polacca ai tempi della Repubblica Popolare Polacca (1952-1989). Direttore letterario del Teatro dell’Ottavo Giorno di Poznań, fondatore del primo quadrimestrale clandestino Zapis, membro fondatore del Comitato di Difesa degli Operai (KOR), l’appartenenza al quale gli è costata un anno di reclusione, la perdita della cattedra universitaria e il divieto di stampa. Esponente del sindacato Solidarność e firmatario della Lettera ’59 con la quale gli intellettuali polacchi contestavano l’introduzione delle modfiche alla Costituzione che limitavano la sovranità del paese. Barańczak fu infine uno dei rappresentanti della generazione ’68, vale a dire, della cosiddetta Nowa Fala (Nuova Ondata) – una formazione poetica attorno alla quale si riunivano altri promettenti poeti quali Ryszard Krynicki, Adam Zagajewski, Julian Kornhauser, accomunati dalla stessa esperienza di vita segnata da importanti avvenimenti storici tra cui quelli del Maggio 1968 e del Dicembre 1980. Una corrente poetica il cui scopo fondamentale era soprattutto quello di raccontare la realtà, di dare sfogo all’emozione, all’espressione dell’ansia esistenziale dell’individuo invaso dal sistema, di irrompere nel linguaggio ufficiale della propaganda e di decostruirlo, di rivelare la sua asemanticità, il suo asservimento al codice politico, nonché di contrapporlo alla quotidiana esperienza di vita, alla realtà profondamente avvilita degli anni ‘70, ‘80. La poesia dei nowofalowcy entrava in conflitto con il linguaggio pubblico del regime e lo voleva trasformare in uno strumento del potere che attraverso l’accurato uso di parole, nozioni e metafore riuscisse ad esercitare sulla società un certo impatto senza ricorrere alla forza ed alla violenza fisica. Barańczak esordisce nel 1968 con la raccolta Korekta twarzy (La correzione del volto) cui seguono Jednym tchnem (D’un fiato), Sztuczne oddychanie (Respirazione artificiale), Ja wiem, że to niesłuszne (So che non è giusto), Tryptyk z betonu, zmęczenia i śniegu (Trittico di calcestruzzo, stanchezza e neve), Atlantyda (Atlantide), Widokówka z tego świata i inne rymy z lat 1986-1988 (Una cartolina dal mondo e altre rime degli anni 1986-1988), Podróż zimowa (Il viaggio invernale), Chirurgiczna precyzja (La precisione chirurgica). Nel 1981, in concomitanza con l’introduzione della legge marziale in Polonia, Barańczak accetta di ricoprire la cattedra di Letteratura Polacca presso l’Università di Harvard negli Stati Uniti e lascia definitivamente il paese. Fu uno dei redattori della rivista letteraria Zeszyty Literackie (Quaderni Letterari) pubblicata dal 1982 fino al 1990 a Parigi, nonché il redattore generale del newyorkese Polish Review e membro dell’Associazione degli Scrittori Polacchi. Poeta linguista che spinge il linguaggio al limite delle sue capacità espressive. Poeta artigiano che agisce chirurgicamente sul tessuto del testo. Giocoliere di parole, di rime e di metafore in cui risuona l’eco dei grandi metafisici inglesi. Poeta drammaticamente vero, cantore di eventi quotidiani attorno ai quali si organizzava l’esistenza dell’individuo ai tempi del regime, ma anche quella dell’io poetico straziato dal dramma personale. Fautore di una poesia etica e demistificatoria che smonta i presupposti estetizzanti di ogni possibile poetare a favore di una voce capace di svelare la verità delle cose e nello stesso tempo di diffidare della realtà circostante. In uno dei più importanti manifesti della critica letteraria nella Polonia del dopoguerra intitolato Qualche supposizione circa la poesia contemporanea (Parę przypuszczeń na temat poezji współczesnej) risalente al 1970 Barańczak scriveva:

“1. Dovrebbe essere diffidenza.

2. La poesia dovrebbe essere diffidenza, perché solo questo giustifica oggi la sua esistenza. Più ampio il raggio di un mezzo espressivo, più assiduamente si cerca di disabituarci a pensare, di inculcarci tali o talaltre verità assolute, di sottometterci a determinati sistemi di valori, di costringerci a tali o talaltri comportamenti. La poesia – come tutti sanno – ha oggi una portata limitata. Tuttavia è forse proprio qui che sta l’opportunità della sua rinascita. È dal suo “capitale sociale” che si può e si deve partire. C’è l’opportunità di fare della poesia il primo luogo di lotta contro l’immagine non falsificata del mondo in cui viviamo: proprio perché la poesia non si rivolge ad un destinatario spaparanzato davanti alla tv che sfoglia le pagine di un giornale, bensì all’individuo che a quanto pare d e s i d e r a p e n s a r e, giacché prende in mano un libro di poesie.

3. Ma non solo per questo. La poesia non è la voce non anonima dei Grandi Manipolatori, bensì la voce dell’individuo. Il pensare individuale è un pensare diffidente, critico nei confronti delle fedi collettive, dei sentimenti e delle isterie. L’individualismo innato di questo genere letterario, soffocato e di nuovo alimentato dai poeti di diverse epoche, diventa oggi per la poesia ancora un’altra opportunità di un atteggiamento attivo nei confronti del mondo.
4. Non è tutto del resto. Eppure la qualità innata (il che non significa impossibile da plasmare o trascurare) della poesia è anche la sua propensione al concreto. La poesia verifica s e m p r e, adatta i pii desideri allo stato di fatto. “Come ve lo immaginate concretamente?”. Questa è la domanda che dovrebbe porsi oggi un poeta attento ma diffidente degli slogan vuoti, dei miti saturi e delle descrizioni del mondo che ignorano le difficoltà e cancellano i conflitti.
Dovrebbe considerare tutto ciò al livello di un caso isolato e verificare su questo singolo esempio cosa resta dei discorsi generici altisonanti.
5. Allora dovrebbe essere diffidenza. Critica. Smascheramento. Dovrebbe essere tutto ciò fino al momento in cui da questa sparirà l’ultima menzogna, l’ultima demagogia e l’ultimo atto di violenza. Non credo che debba essere proprio la poesia ad arrivarci (caso mai qualsiasi cosa fosse in grado di arrivarci). Ma credo che la poesia vi possa contribuire: può insegnare all’individuo a pensare il mondo nei termini di una diffidenza razionale nei confronti di tutto ciò che lo minaccia sotto forma di menzogna, demagogia e violenza. Ciò si verificherà nel momento in cui la poesia, a cui sto pensando, diventerà di conseguenza del tutto diffidente, quando toglierà le maschere delle apparenze non solo dal mondo esterno, ma da se stessa. Quando [la poesia] sarà sia in quello che la circonda sia in quello che si cela al suo interno. Quando dimostrerà la discordia, la non omogeneità e l’ambiguità che si nasconde sotto l’apparente superficie dell’armonia, della concordia e dell’ovvietà.
6. Bisogna cominciare da qui. Dalla diffidenza che purificherà il percorso verso ciò di cui noi tutti abbiamo bisogno. Ho in mente – nulla di nuovo, sia chiaro, ma abbiamo quasi dimenticato ciò che maggiormente dovremmo tenere in conto – ho in mente ovviamente la verità”.

(Stanisław Barańczak, Parę przypuszczeń na temat poezji współczesnej, in: Wiersze zebrane, Wydawnictwo a5, Kraków 2006, ss.49-498; trad. P.Malicka)

A distanza di quasi mezzo secolo queste parole risultano sempre attuali. Ogni buona poesia non può prescindere dal vero, ma per poterlo fare deve accantonare ogni fede e riprendere a dubitare, a ripensare il già detto e rivalutare il già vissuto. È esattamente ciò che è accaduto con la poesia polacca degli anni ’90 la quale, nonostante l’iniziale dichiarazione di un deciso allontanamento dalle premesse e dalle soluzioni formali della Nuova Ondata, ritorna a diffidare del presente ricorrendo alle tematiche sollevate da Barańczak già negli anni ’60 e ‘70. Basti pensare al linguaggio colloquiale, all’atteggiamento antiromantico, alla democratizzazione della poesia, al suo inserimento nella realtà quotidiana, all’ironia, alla beffa, alla critica del linguaggio del potere. Tornare a diffidare per poter continuare a scrivere – ecco il “capitale sociale” di Stanisław Barańczak con il quale la poesia contemporanea polacca deve pur sempre fare i conti.


Stanisław Barańczak, Wiersze zebrane, Wydawnictwo a5, Kraków 2006

Tryptyk z betonu, zmęczenia i śniegu
Śnieg IV

Należy go oglądać z autobusu “Jelcz”
starego typu, w którym okna całkiem czyste
nie są nigdy, z zasady; i należy mieć
miejsce siedzące z dermy pociętej żyletką
przez chuligana, z nudów; i należy lekko
mrużyć oczy, by twarze stłoczone, bezkrwiste
(mgliście znane, z widzenia) pokrywały wszystek
szarawy obszar szyby jak lustrzana śniedź;

i trzeba jechać w tłoku; i trzeba daleko,
na drugi koniec mózgu, ten, który ma przystęp
bezwiedny i swobodny do świata, danego
raz na zawsze, i z łaski; i przy sobie mieć
w tym autobusie to, co najbardziej dolega,
ludzką woń, asymetrię, odroczoną śmierć
(wsuwany – z góry, z wolna – do kieszonek serc
paszport z trwałą ważnością, ale w czasie przyszłym)
także kaszel, gderanie, łokieć, nikły śmiech –

dopiero wtedy można znieść ten ból puszysty,
tę biel przeszywającą, ten zbyt czysty śnieg.

*

Trittico di calcestruzzo, stanchezza e neve
La neve IV

Occorre guardarlo dall’autobus “Jelcz”
di vecchio tipo, in cui i finestrini non sono mai
tanto puliti per principio; e occorre avere
un posto a sedere di ecopelle tagliata con la lametta
da un teppista, per noia; e occorre socchiudere
—————————————————————————————[lievemente
gli occhi, affinché i volti ammassati, esangui
(conosciuti vagamente, di vista) ricoprano il tutto
della superficie grigiastra del vetro come il verderame
—————————————————————————————[speculare.

e bisogna andare nella folla; e bisogna andare lontano,
fino all’altra estremità del cervello che ha accesso
inconsapevole e libero al mondo, dato
una volta per tutte; e per grazia; ed avere con sé
su questo autobus quello che duole di più,
l’odore umano, l’asimmetria, la morte rinviata
(infilato – dall’alto a poco a poco – nelle tasche dei cuori
un passaporto a scadenza permanente, ma al tempo
————————————————————————————————–[futuro),
anche la tosse, il brontolamento, il gomito, una risata
————————————————————————————————[fievole –

solo allora si può sopportare quel dolore soffice,
quel biancore lancinante, quella neve troppo pulita.


 

Jeżeli porcelana, to wyłącznie taka

Jeżeli porcelana, to wyłącznie taka
której nie żal pod butem tragarza lub gąsienicą czołgu,
jeżeli fotel, to niezbyt wygodny, tak aby
nie było przykro podnieść się i odejść;
jeżeli odzież, to tyle, ile można unieść w walizce,
jeżeli książki, to te, które można unieść w pamięci,
jeżeli plany, to takie, by można o nich zapomnieć
gdy nadejdzie czas następnej przeprowadzki
na inną ulicę, kontynent, etap dziejowy
lub świat:

kto ci powiedział, że wolno się przyzwyczajać?
kto ci powiedział, że cokolwiek jest na zawsze?
czy nikt ci nie powiedział, że nie będziesz nigdy
w świecie
czuł się jak u siebie w domu?

*

Se la porcellana, solo quella

Se la porcellana, solo quella
che non fa pena sotto la scarpa del facchino o il cingolo
———————————————————————————————-[del carro armato,
se la poltrona, non troppo comoda che
non dispiaccia alzarsi e andarsene;
se l’abbigliamento, solo quanto si riesce a portare nella
—————————————————————————————————–[valigia,
se i libri, solo quelli che si possono portare nella memoria,
se i progetti, solo quelli di cui ci si può dimenticare
quando arriverà il momento di un altro trasloco
in un’altra via, continente, tappa dei vecchi tempi
o mondo:

chi ti ha detto che è lecito abituarsi?
chi ti ha detto che qualsiasi cosa è per sempre?
nessuno ti ha detto che non ti sentirai mai
nel mondo
come a casa tua?


 

Zwierzęta

Umieją być najszybsze. To tylko chwilowy
stan, to ich przypłaszczenie. Wiedzą,
jak zwęzić się pionowo w prędki wyrzut i
skoczyć. Ich przyziemność gotowa,
by zwinąć się w sprężynę, słuchając tylko
świtu powietrza za uszami. Oczy,
tak łagodnie brązowe teraz, są otwarte
na przyjęcie skaczących do gardła obrazów.
Nie dają nam się bać, są płaskie tak,
że tym łatwiej je przybić do ziemi
spojrzeniem, nigdy równoległym. Wiele
nam wybaczyły; lecz trwa przyszły pęd
w ciałach wciąż skłonnych do stania się ostrzem.

*

Gli animali

Sanno di essere i più veloci. È soltanto uno stato
momentaneo, quel loro appiattimento. Sanno
come stringersi verticalmente in uno slancio veloce e
saltare. La loro superficialità pronta
per avvolgersi in una molla, ascoltando solo
un fischio dell’aria dietro le orecchie. Gli occhi,
così delicatamente marroni adesso, sono aperti
ad accogliere le immagini saltanti alla gola.
Non ci permettono di avere paura, sono piatti così
che è ancora più semplice colpirli a terra
con uno sguardo, mai orizzontale. Ci hanno perdonato
molto; ma continua il futuro impulso
nei corpi sempre propensi a diventare lama.


 

Pusty

Kiedyś ja sama w ciebie wejdę, niczym ręka
w rękawiczkę. Jak ona, zaplanuję twoję
kształty i poruszenia. I przez twoja skórę
ledwie wyczuję żwir i popękany granit.

Ty, tak opustoszały pomieszczeniem dla mnie,
po stokroć przypuszczonej; ja, tak nieobecna
w twoich półmrocznych przejściach, zakamarkach tajnych,
w ich pustych odebrzmieniach, gdy uderzyć głucho.

W mroku rozszerzyć siebie, rozmnożyć na wszystkie
strony w tobie. Dopiero kiedyś. Jeszcze wierzysz,
że jest i instrumentem wewnątrz futerału.
To ja dopiero bedę twoimi słowami.

*

Vuoto

Un giorno io stessa entrerò dentro di te come la mano
nel guanto. Come lei, progetterò le tue
forme e mosse. E attraverso la tua pelle
sentirò a malapena la ghiaia e il granito screpolato.

Tu, così disabitato di ospitare me,
cento volte presunta; io, così assente
nei tuoi passaggi semioscuri, nei cantucci segreti,
nei loro tonfi vuoti se si dà un colpo sordo.

Nel crepuscolo dilatare se stesso, moltiplicare in tutte
le direzioni dentro di te. Soltanto un giorno. Credi ancora,
che ci sia pure uno strumento all’interno di una custodia.
Sarò io soltanto le tue parole.

(Traduzione delle poesie Paulina Malicka, consulenza per l’italiano Gerardina Antelmi)


In copertina: Stanisław Barańczak, Venezia, 1994 (ANNA JANINA BARANSKA).

 

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