Guido Ceronetti: poesie per vivere e non vivere

guidoceronetti

4.

Come un uscio che aspetti e fuori è il male
Quest’uomo vedi e le staccate mani
Il tormento vitale senza fine
E un dolore di vita vesperale
E il suo languore di vuoto intestino
Stringere e a piedi e visi s’attaccare
E una lampada messa sul malore
Notturno le miserie senza nome
Tra i segni della camera evocate
Torcere arroventare dilatare

Lividezza di grazia lapidata
E’ dappertutto nell’immaginata
Violenza dei misteri delle vite
E la canaglia umana sui teatri
Del suo a rompere rovine darsi
Emette una colomba senza ali

Un bagno vivo di vita distrutta
Una miseria su tutte affacciata
Risposte oscure di vita scavata
Di male proprio nel male di tutti

Viso illunato in un velo sanguato
Stringendosi alla bocca di ogni buio
La luce dentro i corpi torturata
Disegna un malinconico bel viso
Col lungo sangue della sua ferita
E tu eri il suo rantolo infinito
Un gesto oscuro e vago della vita

La tortura di essere la vita
In una carne breve e sciagurata
Tutto il diabolico viso velato
In una camera senza uscita
E i testimoni delle solitudini
Gli occhi di tutto avulsi e sanguinosi
E le vesti sporcate e senza vita
Della bellezza e del terrore umano
Eccoli grande muta testa farsi
Il viso triste che patisce sparso

Tra i sigilli e gli arcani dolorosi
Col suo sangue alla bocca sempre nuovo
Per rovesciarlo in quei silenzi un uomo
Vedi da inutile zelo prostrato;
Dentro il cuore vivente delle ciglia
E’ una lettura di come cucite
Labbra che persero il cielo notturno
E il loro tendere parola muta
Tanto è pensiero d’abisso chiuso
Che lo vedi tramare, essere corpo

Tra le mute ali del contatto umano
Il suo letto d’amore e di tortura
Si disfà si rifà sotto la luna
E il curvo ho sete del piantato umano
Grida alla terra sciagura sciagura

Tu che vortichi vortichi sul piano
Ahi come dentro a con quanto dolore
La luce sfanga nel segreto umano
Vieni al mio espiante anelito creatura o creatura
Vieni inginòcchiati al mio tormento umano


10.

Con quali azioni invece di canzoni
Chiara faremo la tua notte nera
Terra che bruci, terra che dolori
Tristezza d’uomo, malattia d’uomo?
Fare dolore è tutto il vostro fare:
Se tu hai guardato in una faccio d’uomo
Non fare niente; fare bene è non fare


13.

La specie umana miserabile è matura
Da sempre per non essere mai chi suona
Stanotte nella carne – divino archetto
Su una schiena di cane ti strofini
Battuta a morte, magnetico ne sanguini –
Chi nella casa morta non muore?
Io, pietà e lutto dell’inconoscibile
Torso che lotta muto
Tra una ringhiera e uno steccato stretto
E ruota in un olivo livido
Che non ha rive, il cuore.


39.

Questo peso implacabile che attrista
Adorata vergogna di ciascuno
(La tua essenza nascosta è un lazzaretto
Una faccia rinchiusa di colpito)
La piaga sordida dell’io umano,
Gravezza di voragini in un solo
Scarso e solitudine di un nome,
Ricorderai che mai apriva il pugno?

Il grande orrore della faccia umana
E’ questa faccia dentro conficcata
Che con demoni e angeli si bacia;
L’ulcera lamentosa e sconosciuta
Nei corpi i cieli della tenerezza
Incide e slabra, un rigagnolo stinto
Sulla notte dell’anima sfinita
Testa le luci sacrificate

Ricorderai come era stretto il cuore?
In un’arida gola naufragata
Dall’alto era gettata una misura
Di chiaro e crudelmente si rompeva
Sul fondo che non toccano occhi umani.
E piangerai sul tuo feroce grumo
Quando avrai la le dita la strettura
Che è stato, ombra di un’ombra senza cosa?


71.

La porta era chiusa e nera. Dall’interno veniva
Un affannare d’anime che avvolgeva. Qualcuno apriva.
– chi vuol piegare alle lacrime, creatura
Inattesa? Perché ne torchi senza misura
Dai tuoi più di due occhi per darmi pena
E sudario, su un lenzuolo muto di cena? –
Tra un fitto fogliame di vecchie foto, nuda
La nullità erotica, la nostra vita cruda
Si spiava come una sete d’amare in un lenzuolo;
E palpebre fatte mute vidi in un tiepido scolo
Fare parlante il muro.

Nacque un dolcissimo benedire furtivo
Le stanze abitate da tanti accesi
Movimenti di carne e luce, e sognarli
Tutti morti non ne calmava il segreto
Agire di portatori d’impuro
A tutto, in cui era bello fermarli
Nella più misteriosa delle pitture.
E mentre benedicevo mi stupivo
Della mia voce che su tante nuche cadendo
Di dolorose bambole era attratta
In un combattimento senza fine
Tra gli emblemi del vivere e morire:
Lamettina di cataclisma sottile
Una carezza uscita dal grido
Li scorporava dell’apparire.

Oh inducible, suscitata
Da viste pure e impure
Vertigine rara del chiaroscuro!
Sul collo dell’anima cade, la testa vola
Felice, il filo bianco e il filo nero
Con presa di voragine inflessibile

Tra le sue labbra. Non era che una lampada
Su un tavolo, su abisso puro,
E il niente che chiede pane
Di nomi ancora alle sfinite mani
I polsi con più mistero mi succhiava.


72.

Vedo un canino stampo di colèra
Sul viso umano prosciugato, padre
Contratto che guarda fisso
Se c’è pietà, e lo sfregio divino
Brilla sul buio; a quel corpo di vinto
Portatore e cloaca di misteri
Una parola dilla, svegliata
Nelle vie della gola come un medico
Notturno, una foglia tenera
Di pianta umida sul passato
Suo turpe cada.


Rispondi