Spazio inediti: Giovanni Ibello, poesie

giovanni ibelloGiovanni Ibello, napoletano, 25 anni, fa il giornalista pubblicista ed è tesista in Diritto Ecclesiastico alla Federico II di Napoli. Lavora come cronista in veste di inviato, redattore ed editorialista in materia di sport, ambiente, arte e letteratura. Ha pubblicato poesie e approfondimenti critici, facilmente reperibili sui principali lit blog italiani.

“È immorale la bellezza
che ci rende soli
e il silenzio più lungo
è sempre quello
che sta per essere infranto
nel momento sbagliato.”

***

Quando tutto sarà finito
sarà il sonno a irrigidire
gli occhi le braccia il torso
che spasima
perché capita
che sia dura riconsegnarsi alla materia
o relegarsi alla quiete
quando la schiena
è incollata alla parete
e una scia celeste e bianca e luminosa
ricongiunge il pensiero
al giorno precedente, l’anno prima:

si sta fermi mentre tutto
procede e non procede.

*

A separarci fu l’incoscienza
la resistenza delle unghie nere
la tensione di una smorfia, le vene
dilatate nella mano a reggere
il peso del corpo che cede.
Ci ha separato l’incoscienza
perché il distacco non ha memoria:

il pensiero è troppo vile per restare
mentre il corpo, ancora vivo, si abbandona.

*

Anche questo silenzio è colpevole
e dei corpi rimane sempre un’ombra
discreta ai margini della stanza.
Volevo interrogarla
ma era senza testa
eppure ero certo che mi stesse scrutando.
Così le ho detto “parla”
e una voce greve mi ha scosso il ventre
come un vuoto d’aria.

“Si viene al mondo in un tramestio di voci
ma il commiato è un rito quieto
che si celebra per sottrazione.
Quando ci siamo guardati negli abissi
sapevamo di scontare il prezzo della luce
che s’incunea
sotto la coltre muta delle acque
perché gli occhi sono l’ultimo confine dell’esistere
perché gli occhi resistono
alla pietà del respiro che stenta.”

*

Quando saremo morti
il solleone inciderà
il nostro nome nuovo
nei rigagnoli ai lati delle strade
uno sfolgorio di sinapsi
nei pomeriggi arrochiti
dall’estate.
E sarà bellissimo
come un’idea
il graffito di Dio
e il fango e i piedi nudi dei fanciulli
e il mondo fuori, la terra dei fuochi
l’aria cinerina
non sarà che un parlare ozioso.

*

Quando con la mano
cercherò le gore del tuo pianto
la fiamma sarà il silenzio
di una cattedrale
e la cenere ci occluderà il petto
con la boria delle false promesse:

“Le nostre voci sono l’aria che manca
ma so che non avrai paura”.

*

Dopo la morte resta solo il nome
e un silenzio inquieto
lo sfrigolio del corpo che si decompone.
Ma le unghie sono spade lucenti
ancora troppo legate alla vita
brandite dalla mano che cede
all’ombra adunca dei tulipani.
Il prete si guadagna da vivere
i fedeli delirano sui loro tormenti,
ma la bocca che pregava
non era pronta a baciare le tempie
e le mani strette sul petto
sono quelle del feto
che per istinto, si difende.

*

C’è una luce nella stanza
che divide l’attesa
il corpo è impaziente
come la mela che annerisce
o l’insetto caduco di maggio
che ha fretta di morire.
È immorale la bellezza
che ci rende soli
e il silenzio più lungo
è sempre quello
che sta per essere infranto
nel momento sbagliato.
Nessun luogo
ci appartiene veramente
e mentre il sacro discolora
nell’occhio tumido,
un dio minore se la ride
alle nostre spalle.

*

Il tuo corpo ha radici profonde
nelle feritoie del costato.
Il tuo corpo s’intreccia
nello spazio bianco
che separa i feti
destinati a morire:
perché davvero non è questo
il tempo di piangere gli anziani
ma di scrivere al figlio
che mi verrà in sogno
a cauterizzare le ferite.
Piangere i morti di domani
è la nostra condanna.

*

Non si oscura una luce
che non trova spazio
non esiste un’ombra
che non si distenda
ma conosco un luogo
dove non c’è il peso dell’assenza
e si sta bene
perché quello che manca
è tutto ciò
che ci appartiene.

*

L’orgasmo è un traguardo che ci insegue.
Come la morte ci coglie stanchi
e sdraiati in un campo di papaveri
aspettiamo il rovescio delle faglie
coperte da un silenzio inascoltato:
così un’onda che non ha memoria ci redime
e striscia orizzontale lungo il ventre
poi risale seguendo la sua ombra
mentre il corpo cede all’incoscienza.
Dieci, cento, mille trasparenze
sovrapposte appariranno ai nostri occhi.
Una scimmia che ci farà il verso
sarà la sagoma riflessa da uno specchio
e trame d’oro intrecciate sulla schiena
fino a stringere i fianchi in una morsa
per rendere l’aria, le mani, le vene,
la bocca, le ossa e tutto il resto.

***

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