TENNIS, TOPOGRAFIA, TRIGONOMETRIA, TORNADO. Il cosmo matematico di David Foster Wallace – di Loredana Di Pietro

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David Foster Wallace

 

TENNIS, TOPOGRAFIA, TRIGONOMETRIA, TORNADO. Il cosmo matematico di DFW

Ithaca, New York, Philo e Urbana-Champaign, Illinois, Amherst, Massachusetts; Yaddo, New York, poi ancora Amherst e Urbana-Champaign; Tucson, Arizona, Boston, Massachusetts, Syracuse, New York, Bloomington, Illinois, e Los Angeles, California. David Foster Wallace è stato uno scrittore statunitense ed ha vissuto in molte città, in territori assai diversi degli USA: nato sulle dolci colline a nord di New York, cresciuto nel Midwest che sarà sempre casa sua, in tournée in tutti gli stati, e in particolare nella colta New York, insegnante nelle università cosmopolite della West Coast. Da adolescente, era stato un promettente tennista, dotato della capacità di “giocare a tutto campo”, ovvero di tenere a mente in ogni momento le proprie coordinate, quelle della palla e dell’avversario, tenendo conto della variabile del vento (ci scrisse su il formidabile racconto di cui si parlerà in seguito) e di pensare al campo e alla vita intera come uno spazio matematico da coprire a colpi di racchetta. In un racconto scritto a ventidue anni, Piccoli animali senza espressione[1] (aveva già scritto un romanzo a ventuno, La scopa del sistema[2]), fa costruire alla sua protagonista mondi interi fatti di linee che compaiono graficamente sulla pagina scritta; per la sua tesi di laurea in letteratura inglese e filosofia scelse un argomento che sconfinava, in realtà, nel campo della matematica (la logica modale). Questa acuta percezione vettoriale che ha caratterizzato la sua vita e nutrito la sua scrittura mi fa immaginare una linea che unisce le città in cui ha vissuto, che costituirebbe un poligono irregolare da cui si protendono lunghi segmenti (sulla East e sulla West Coast). Di questo tracciato, David Foster Wallace predilesse sempre il cuore, il suo amato Midwest, dove trascorse infanzia, adolescenza e parecchi anni della giovinezza, in particolare lo stato dell’Illinois che, nell’immaginario wallaciano, diviene lo spazio cartesiano originario, come racconta in Tennis Tv Trigonometria Tornado: “Il terreno, visto dall’alto, fa pensare decisamente ad una scacchiera: quadrati di una precisione maniacale di terra coltivata [..] tutta tagliata da strade asfaltate dritte che sembrano fatte con filo a piombo”[3]. Questo territorio, geografico e immaginifico, diviene per lui la base (in senso metaforico ma forse anche letterale, ovvero base geometrica) di una poderosa immaginazione, capace di contemplare un numero elevatissimo di variabili e di giungere a grandezze vertiginose, esponenziali, infinite. Accadde così che la nostalgia di casa, negli anni dell’università nella collinosa Amherst, Massachusetts, rinfocolasse la passione per la matematica: “per uno del Midwest, la matematica del college produce un’evocazione catartica della nostalgia di casa. Io ero cresciuto in mezzo a vettori, rette, rette che intersecano rette, griglie”[4] e ancora, che la cartesianità dell’orizzonte della cittadina dell’infanzia Champaign, spazio piano, indifeso e percorribile, fosse sconvolta da un evento meteorologico devastante (e l’Illinois è realmente sede abituale di tali sconvolgimenti) il tornado che alla fine del detto racconto solleva l’autore, l’avversario, le reti del campo e la palla nel corso di una partita di tennis – e nessuno di loro sarà mai più lo stesso.
Ancora luoghi ben noti – la Boston dove DFW visse lunghi anni dopo la laurea, in preda a una crisi creativa che lo costrinse a svolgere i lavori più disparati e nel frattempo accumulare idee, spunti, materiali – in quel mastodontico, singolare romanzo (oltre millequattrocento pagine nella prima edizione italiana) che lo sparerà come un proiettile nell’establishment letterario, facendo di lui uno scrittore noto in tutto il mondo. Infinite Jest[5] (lo scherzo infinito), in cui la geografia locale, e quella mondiale, sono liberamente ricomposte e Messico, Canada e Stati Uniti fanno parte di un’unica entità politica: l’Organizzazione delle Nazioni dell’America del Nord (Organization of North American Nations), il cui acronimo è, allusivamente, O.N.A.N., mentre il territorio del nord est statunitense è diventato la grande discarica del Canada. Ed è rilevante che nel romanzo della maturità, Il re pallido[6] (che sarà anche il suo ultimo, pubblicato postumo), la dimensione spaziale privilegiata sia quella del labirinto, in cui la possibilità (matematica) degenera in limite (fisico). Ambientato nuovamente in Illinois, nella cittadina di Peoria, racconta la quotidiana routine e gli avventurosi episodi delle vite di un gruppo di contabili impiegati nel Centro Controlli Regionale per il Midwest dell’Agenzia delle Entrate. Come la città è un assurdo urbanistico – circondata da una superstrada che vorrebbe essere scorrevole ed è invece mortalmente intasata, per i semafori, per le corsie ridotte in prossimità dei punti più trafficati, per il comportamento scorretto degli automobilisti esasperati -, così il Centro Controlli è un assurdo architettonico: il retro si affaccia sulla strada principale ed è costituito da due blocchi edilizi collegati tra loro solo da “tunnel sopraelevati”[7] in “carbonato di vetronite verde”[8] che li rende torridi d’estate e gelidi d’inverno, praticamente impraticabili, ed il piano seminterrato è strutturato secondo una imprevedibile planimetria radiale. Le vicende biografiche degli impiegati, le più improbabili da associare all’attività ragionieristica: un’adolescente cresciuta in un ambiente degradato che si finge morta per sfuggire al brutale assassino della madre, uno studente universitario dedito alle droghe che perde il padre in un tragicomico incidente, un commercialista abilitato il cui talento segreto è “la veggenza dei fatti”, ecc.).
La condizione di romanzo pubblicato postumo pone una serie di questioni per Il re pallido: l’apparente incongruità del libro vuole trasporre, in proiezione geometrica, quella della vita contemporanea? DFW voleva dare voce a quel dubbio che lo assillava da studente universitario, “che fosse vero il contrario di ciò che pensano i paranoici: e cioè che niente sia collegato a nient’altro”[9] e che la vita sia solo caos? Non è dato saperlo. Nel 2008 DFW lasciava questo pianeta, passando a noi lettori questo e altri interrogativi, trovando la sua personale soluzione al gioco meraviglioso di variabili e possibilità. Così lo scherzo finisce.

Loredana Di Pietro

Note

[1]   Piccoli animali senza espressione, in La ragazza dai capelli strani, Minimum Fax, 2011.
[2]   La scopa del sistema, Einaudi 2008.
[3]   Tennis, tv, trigonometria, tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più), Minimum Fax, 1999, p.9.
[4]   Ibid., p.5.
[5]   Infinite jest, Einaudi 2006.
[6]   Il re pallido, Einaudi 2011.
[7]   Ibid., p.345.
[8]   Ibid., p.345.
[9]   Lipsky David, Come diventare se stessi. David Foster Wallace si racconta, Minimum Fax 2010, p.388.

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