Recensione di Felicia Buonomo
«il bene diviso dal male
e la vita ha inizio dal niente».
Basterebbero anche solo questi versi per comprendere l’universo in cui Franca Alaimo, con il suo “Sacro cuore” (Giuliano Ladolfi Editore), vuole accompagnarci: il mondo di un’infanzia – dal principio – dove ancora ci è dato il privilegio di sentirci protetti (discernendo il bene dal male, perché qualcuno porta per noi avanti questo compito), di avere tutto, dove ogni tocco è una scoperta che vale la pena di essere vissuta, ma che – nel tempo – la bruttura di certe condizioni ed esperienze ci porta via.
Ma si fa presto a fare i conti con la vita adulta, in un anzi-tempo che dovrebbe sempre esserci negato, che manda «in frantumi il sacro delle cose», ci rivelano i versi dell’autrice, parlando dell’incapacità materna di comprendere e accogliere il gesto dell’amore infante, «e di colpo mi sembrò di capire / il male delle rose sgualcite dall’afa».
L’ingenuità che si fa verità, nella iconoclasta rappresentazione dell’amore cristiano, fa di Franca Alaimo maestra dell’immagine poetica.
«Mamma, perché ha il palmo della mano trafitto,
perché ci mostra il cuore?
Ma lei non sa che dire, se non:
è stato per amore, per amore nostro.
E io le dico: ho deciso, non amerò nessuno.
Non voglio che mi strappino
il cuore ancora tutto vivo dal petto».
La “colpa” di crescere, di essere donna, in un tempo che sembra non appartenerci, non al passo con il sentimento rispetto alla geografia dei sentimenti e della mentalità, di un’educazione che si reputa inadeguata rispetto alla “sapienza del cuore”.
Sembra di sentire la voce dell’emancipazione, nei versi della Alaimo, ma dolce, mai urlata. Un attraversamento che passa anche dalla paura della carne, probabile reminiscenza dell’educazione, anche religiosa: «So che la mia bocca è diventata / come una rosa penetrata / da un avido pungiglione, / un’umida stanzetta dove piove».
E poi la consapevolezza dell’essere donna di sensi, «adesso non ho più paura / quando sento lievitare il desiderio / oltre la decenza», «Mio Dio, mi pento e mi dolgo / di tutti i miei peccati…” – ma non / di quelli d’amore (pensavo) –.».
Franca Alaimo ha il pregio suo proprio di portarci con lei, maneggia il verso ricorrendo all’immagine tipica del verso poetico. Ma non è mai esercizio di virtuosismo il suo dire, che chiude la poesia in sé stessa. La poetessa ci prende per mano come farebbe una prosatrice, e poi ci lascia liberi di abbandonarci alla figura disegnata dalle parole. Dà al lettore la libertà di insinuarsi negli anfratti che reputa più confortevoli. E allora noi leggiamo, meditiamo, abbracciamo questo suo dire come dono, che viene e arriva al suo/nostro sacro cuore.
Felicia Buonomo
Le minigonne appena sotto
il pube, lo zainetto
firmato sulle spalle,
leggevamo il libretto
di Mao, la maglietta
con la faccia barbuta di Che Guevara,
e si faceva il libero amore
nelle aule occupate
della Facoltà di Lettere.
Mio padre diceva: che indecenza
questa generazione!
Io nascondevo la mini-gonna
nella borsa per indossarla nei camerini
dei grandi magazzini
e camminavo tra gli sguardi degli uomini,
i fischi, i complimenti, le parole oscene
come un animale superbo e ferito.
Disobbedivo, mentivo,
nascondevo sotto il cuscino
i libri della Belotti,
di Kerouac e della Morante.
Avevo letto il Capitale
però non mi era piaciuto
come le poesie di Lorca.
Aderivo al nuovo
ma solo di fianco,
volevo la rivoluzione,
ma faticavo ad estirpare
le radici borghesi dalla testa
ed ero costretta a vomitare
i sensi di colpa, la morale comune,
i giudizi, la storia recente di me stessa.
Mio padre era militare dell’esercito
e proclamava l’ordine,
mia madre una maestra elementare
nata agli inizi del Novecento,
mi mostrava le sue foto
di ragazza: il cappello enorme
con la veletta calata sugli occhi,
le gonne a metà polpaccio.
Dietro i suoi genitori
quasi sull’attenti, piccoli soldati
nella caserma della vita.
Franca Alaimo
Da “Sacro cuore” – Giuliano Ladolfi Editore