Carteggi Inediti: quattro poesie di Antonio Bux

Per Carteggi Inediti, proponiamo quattro poesie di Antonio Bux.

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Troppo facile

È troppo facile dirti
hai un bel volto, sorridi così,
troppo facile accarezzarti i capelli
o muovere le tue labbra.

Così facile che saresti già morta
se ti dicessi non fare, non ridere non
vivere
come te stessa.

Ma qualcosa più che un bacio,
o una mano dove sfiora, qualcosa
più della mia vita

ti fa felice, e non è mio,
non è facile a dire, non è il nostro
amore, così felice.

Ma è troppo facile, allora ti guardo,
dico cose che non sono,
faccio progetti sulla tua schiena, colori
morbidi, colori come il vento.

E se troppo facile ti guardo, allora
tu mi dici che non sono facile,
perché ti guardo con l’occhio molesto,
e non so vedere
veramente chi sei.

È stato fin troppo facile amarti, così,
con l’occhio tagliato e la bocca
già aperta. È stato facile, sì, che ora

è così difficile odiarti, o perdere
la facilità di quando ero felice,
ed è per questo che ti scrivo poesie.

***

Giardino che muore

Giardino che non sei più, e sei qui
o lo eri, giardino che si vorrebbe.
Giardino che muove, dietro i miei
piedi cresce, i piedi dicono strade
e strettoie, con le braccia senza più ossa,
e le braccia da sole stringono
i maglioncini piegati, la mente.
Questo l’osso questo il corpo, il fiume
della fatica e dei giorni, non poteva
che essere rumore. E strani alberi
intorno, come fossero sogni cresciuti
dentro altri sogni, senza più alberi.
Così mi è stato detto, di vedere nel legno
il taglio che verrà fatto, e la pioggia
dove imprimerà fango. Il giardino
diventerà lamiera, e poi cemento
e poi catena stretta alle porte.
E sarà vero, non muoversi mai più, sarà
vero sempre, sopra la terra e poi sotto.

***

È poco scrivere è poco vedere

Anima, è poco scrivere e poco vedere
se per anima non si arrende il fiato
o se nel fiato poi non spegne l’occhio.
Così ti dico, Anima, e non è un gioco.

Anima, io ho visto poco dal centro
di questo foglio. Le conifere
spaccarsi da un solo lato,
e dromedari senza bere, bere
acqua, dalla brina del prato.

E ho visto gli elefanti sparire
ad uno ad uno, con gli abitanti
presi per mano dall’astronave
aliena. Io ho visto solo questo,
anima, ed è tanto, se per tanto tempo

si lascia, se a lasciare che bruci
sia solo il bruciare che non è stato,
che non è qui, ma è qui la fiamma
proteina vegetale di un porco,
anima, del maiale chiuso dentro
di te, e la mia gabbia è vuota.

***

Dicono che questa sia una pagina,
e le parole la forma di una pagina.
Lo ha detto un signore, poco formato,
un uomo coperto con l’occhio scuro.
Così io anche mi sono pensato
dentro una pagina, col volto e la forma
di una pagina, e le parole che non ci sono.
Una donna qui si è spogliata, ha stretto
i suoi grandi capezzoli attorno al rumore
per scrivere piano, un fiore immenso, un dito
che non toccherà niente. Lo ha visto
sulla pagina un bambino, aprendosi la mano
qui dove muore, dove la vita vuole.
(Su questa pagina che ora è un bambino
e la sua forma ancora parola).

Antonio Bux (Foggia, 1982) ha pubblicato vari libri, sia in italia no, tra i quali Trilogia dello zero (finalista premio Lorenzo Mon tano, vincitore premio Minturnae), Kevlar (vincitore premio Ali nari), Naturario (selezione premio Viareggio), che in spagnolo (23 – fragmentos de alguien, El hombre comido, Saga familiar de un lobo estepario). Suoi lavori sono stati tradotti in varie lingue e antologizzati in opere collettive come InVerse: Italian poets in translation, a cura della John Cabot University. Ha tradotto numerosi autori di lingua spagnola, su tutti Leopoldo María Panero. Ha fondato e dirige il blog Disgrafie, oltre che una collana per la casa editrice RPlibri e due collane per le Marco Saya Edizioni.

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