Hidden Gems (a cura di Alessandro Calzavara) – 48) 800 Cherries

Nessuno dovrebbe mai fare i conti con una pagina vuota, una di quelle che anche a guardarle con attenzione rimangono vuote, e bianche d’un bianco aggressivo e silenzioso. Attorno abbiamo creato le condizioni perfette affinché dal candore qualcosa germini, e la perfetta umidità increspi l’intensa omogeneità della sovraesposizione, facendo scaturire un piccolo bocciolo di concetto. Eppure niente: il silenzio s’erge a giudice e, nel suo soave contemplarsi, ostacola la propria sospensione. Silenzio; pensateci bene: dove, quando? L’esperienza della quiete robotizzata tende ormai farne a meno. Il tempo o è riempito (in qualche modo, per qualche motivo) o il terrore è in agguato. Ogni attimo di nulla si percepisce come sottrazione, furto, occasione persa, derelizione. O come stanchezza; e nella stanchezza, occorre ricordarlo, operano segretamente tessuti che si nutrono di ripartenza, che bramano altra attività, che ardono di desiderio di bruciare. Ma il nulla, il prezioso dono d’un corpo che si assenta e si sorregge, che si svincola dai lacciuoli dell’intenzionalità per celarsi ai capricci d’ogni scopo; e il silenzio, suo abito e scudiero: chi mai oggi li incontra? Chi mai oggi vorrebbe incontrarli?

Uno dei segni più profondi della mutazione antropologica imposta dalla “Mobilitazione Totale” (die totale Mobilmachung) che già  Ernst Jünger vedeva all’opera a partire dal primo conflitto mondiale, è lo stravolgimento del rapporto dell’uomo con il tempo. Il tempo non è più il naturale sacello della vita, bensì la misura in cui essa deve essere alterata, manipolata, sfruttata, spremuta, sezionata, violentata, messa a coltura. Un demone implacabile incalza e punzona ogni uomo sulle chiappe, istigandolo al raggiungimento di obiettivi prefissati che, a meta raggiunta, perennemente e ulteriormente avanzano di un tot meccanizzato, come uno scatto di lancetta. Non c’è dunque una meta. Non c’è niente che noi possiamo raggiungere in cui dolcemente risiedere: il demone tiene la carota legata al bastone, in modo che la fame sembri ricattarci di per sé. La filosofia dello svanimento penetra nella vita d’ogni essere vivente sin dalla più tenera età; il moto forsennato, quando raggiunge l’acme, appare quasi in quiete. La vita, vissuta come battaglia di tutti contro tutti, fissa il suo livello di provvisorietà ad alti gradi; si tende a godere di piaceri scadenti e preformati come di momenti eccezionali. Il pensiero non attecchisce sulla morbida terra, non si dirama, non scava. Informazioni base + mansioni specifiche, that’s all.

800 cherries

E la pagina resta bianca, ma è un bianco svanito, il non-colore del burn out, della depressione, della schiacciante certezza della vanità di tutto.
Me ne accorgo mentre cerco di scrivere due righe che disperatamente accalappino sobriamente l’attenzione d’un lettore e vorrei scrivere:

Attenzione, lettore che passi per questa pagina! Sono un non-più-giovane scribacchino che al tempo dei suoi studi terrorizzava l’occidente con un 60 (e lode) e poi un (110 e lode). Ora mi tocca strillare in mezzo a questa via, indosso un vestito appariscente d’arguzia e una truffaldina vacuità retorica. Uso concetti semplici, in modo che non ti spaventi, e veloci, in modo che tu non perda tempo. E aggiungo qualcosina in più: un sottotesto di volontà di potenza e spocchiosità ben celata. Uso eufemismi a iosa, immagini di presa immediata. A capriccio faccio vincere tesi deboli, sol perché so legarle ad argomenti forti. Adulo coloro che è facile adulare e trascuro ciò che implicherebbe un mondo migliore. Le posizioni di principio sono poco pratiche (a meno che non servano nell’immediato); vince solo ciò che si conforma a ciò che già è. Ciò che dovrebbe essere è soltanto ciò che funziona: e se funziona non occorre che cambi. Trasformo gli argomenti complessi in poche parole a effetto, e su quisquilie posso disquisire per pagine intere. Purché sia almeno un po’ morboso, o implichi la partecipazione di coloro che costituiscono il gran numero. Nel tempo il gran numero si trasformerà nel totale. Il totale vuole il presente, vuole la notizia del momento, vuole rispecchiarsi nell’unità definitiva dei pensatori a reazione: favorevoli e contrari, bianco e nero, 0 o 1. Mi lamento che tutto sia così, ma solo per rinforzarlo, in modo che sia da tutti ben saputo. E sapete la cosa pazzesca? Nessuno me lo ha insegnato! Sono una persona sveglia. Basta poco per capire cosa funziona e cosa no. Sta in basso: è il numero delle visualizzazioni. Non c’è bisogno di ipotizzare complotti: il programma-base funziona bene. Basta solo stargli un po’ dietro, con i corsi d’aggiornamento. Frodare il prossimo 3.0. E fare in modo che ti ringrazi. E ora, via con la recensione, di fretta. La deadline incombe.

romantico back

Gli 800 Cherries sono un duo di Tokyo Manami Marufuji (nome femminile) e Masayuki Takahashi (nome maschile) attivo dal 1994 al 2000. Nel 1999 hanno inciso un dischetto dal titolo italiano, “Romantico”, che io tendo a considerare un capolavoro. È un dischetto-giocattolo, dai suonini elettronici di tastierine che sembrano provenire da una playstation portatile, dalla vocina (femminile) esile-esile che canta qualcosa di simile a nursery rhyme bisbigliate per Tamagotchi solitari. Qualche tocco glitch, qualche tocco dream-pop e la formula funziona a pieno regime: canzoni di consolazione per pomeriggi piovosi di enormi metropoli orientali negli anni ’90, anzi, uno dei distillati più puri del suono sognante e cripto-adolescente di quel decennio. Gravido di spleen, di rimembranze perdute, di abbracci lanosi. Così vi poetava il prode Fabio Russo su indiepop.it:

Elettronica dalle pareti, umide, che proiettano e assorbono particolari, immagini. Carezze di strumento che portano lontano, oltre; forte e medesima è l’intensità di ogni incontro, di ogni impatto con essa. […] Musica fatta di gravide emozioni, disperazione e dolcezza avviluppate insieme, amplificate in una maniera drammaticamente romantica; un romanticismo viscerale, uno struggimento possibile mai concepito prima in altro lavoro di genere, che la memoria ricordi. 


In copertina: “Romantico” (front cover, 800 Cherries, 1999)

 

 

 

Rispondi