Qualche sera mi sono trovato a parlare con Luca Rizzatello, deus ex machina della Prufrock spa, e Bernardo Pacini, di un autore che meriterebbe un maggior studio e risalto a prescindere da questo piccolo flash. Mondadori ha pubblicato nella scorsa primavera la raccolta completa delle opere di Luigi Ballerini. Forse siamo abituati a parlare troppo di altri “ini” tralasciando geni poetici come questo, nella solita trita considerazione che ormai il “nome” vale più dell’opera e qualsiasi sputo letterario viene elevato a somma magnificenza scribacchina a seconda della firma.
Se m ‘ha del tutto oblïato Merzede,
già però Fede – il cor non abandona,
anzi ragiona – di servire a grato
al dispietato – core.
05 E, qual sì sente simil me, ciò crede;
ma chi tal vede – (certo non persona),
ch’Amor mi dona – un spirito ‘n su’ stato
che, figurato, – more?
Ché quando lo piacer mi stringe tanto
10 che lo sospir si mova,
par che nel cor mi piova
un dolce amor sì bono
ch’eo dico: – Donna, tutto vostro sono – .
Questa “rima” di Guido Cavalcanti funge da motore e chiave interpretativa del libro bilingue del 1988 di Ballerini – Che figurato muore – pubblicato per L’insegna del pesce d’oro. Il libro che seguiva a distanza di sedici anni Eccetera.é è un gioco di specchi in cui l’Io è impossibilitato a trovare una voce ed in cui nell’esplosione di una sintassi sgretolata, la morte alla fine è l’unica forma imitativa per la poesia. Giuliani nell’introduzione compie un accostamento azzeccato, paragonando alcuni passaggi balleriniani alle kenningar dei poeti scaldi. In realtà ci vedo anche una giosità amara ed ellittica, uno sdopppiamento del doppio, in cui l’autore “sfigura” il senso della parola nell’enigma, reale o inventato, del discorso poetico.
ma tu davanti a me non sei nessuno, né animale
né uovo, né pianta, in te non c’è riparo dalle frecce
degli Apaches. La tua lingua non è di fuoco, il tuo seme
inopportuno: sei come il pane quando ce lo danno
vestito da soldato o da sirena, o in sagoma di casa
o di pesce
se a bruciapelo un angelo di tigre
mette in gioco la calza, il guanto duro
dell’inseguimento, e scolma dai piovaschi
l’accaduto, la cenere dispersa, il burro
scampato all’alibi, alla scena madre,
il grido si fa più identico, più oscena
e magra la ribalta: ma io nella carne
ho già scritto la mia vocazione indiscussa,
la scheggia che abbaglia, la selvaggina
che ingabbia la recita dei versi. O da noi
mille volte umiliata sirena dei mari del sud,
o allarmata sutura, o miele impareggiato,
risponde alla tua voce un impervio equinozio,
un disguido, alla tua pelle un intrico
di azzurre altalene: ma io mi sarei fatto
vedere da te sano di mente, ellittico, immortale,
intonsurato cavaliere errante
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