Presuntuoso, borioso, serioso, oso e oso. Altezzoso, sprezzoso e iroso. Dall’alto dei cieli osserva, discrimina e pontifica. “ Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze metriche, con dolore partorirai poesie. Verso la letteratura sarà il tuo istinto, ma il sacro furore ti dominerà”. “Perché dunque siamo tutti così seri ? “ si chiedeva Eliot. L’ironia, la dissacrazione, il grottesco. Tre caratteristiche che sembrano scomparse dal mondo poetico ridotto troppo spesso a mondo petico. La lezione futurista ? “esisto soltanto me” L’Io non è un altro l’IO sono io. “Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino al terzo e al quarto libro, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.”. Adepti prostratevi. Chiudete i vostri sorrisi, non usate l’ironia. Sprecate il vostro tempo riempiendo pagine inutili. Quest’anno è il cinquantesimo anno della scomparsa di uno dei più grandi dissacratori della poesia italiana Omero Vecchi, alias Luciano Folgore. Ricordiamolo con il suo capolavoro, La pioggia sul cappello, caricatura dannunziana, dove il comico si sposa con l’eccesso e la parodia tocca vette altissime anche grazie all’”originale” di cui mantiene il ritmo e la spasmodicità delle immagini. Il rimando della memoria è automatico. Dovremmo recuperare un po’ tutti il lato giocoso e gioioso della poesia ma piove, piove, piove sui nostri volti silvani.
Silenzio. Il cielo
è diventato una nube,
vedo oscurarsi le tube
non vedo l’ombrello,
ma odo sul mio cappello
di paglia,
da venti dracme e cinquanta
la gocciola che si schianta,
come una bolla,
tra il nastro e la colla.
Per Giove, piove
sicuramente,
piove sulle matrone
vestite di niente,
piove sui bambini
recalcitranti,
piove sui mezzi guanti
turchini,
piove sulle giunoni,
sulle veneri a passeggio,
piove sovra i catoni,
e, quello ch’è peggio,
piove sul tuo cappello
leggiadro,
che ieri ho pagato,
che oggi si guasta;
piove, governo ladro!….
L’odi tu? Non è di passaggio
come l’acqua
di maggio,
che sciacqua la terra e la monda.
Sgronda terribilmente;
si sente il blasfemo
di un polifemo ambulante,
si veggono ninfe e atalante
fuggire in un angiporto;
Plutone più vivo che morto
si pone una nivea pezzuola
sul feltro che cola;
Dïana s’accorcia la tunica
fin quasi all’altezza del femore,
e Dedalo immemore e Marte
con toga a due petti e speroni
s’impalano ai muri con arte
per evitare i doccioni.
Cibele fa segno all’auriga
che incurva il soffietto alla biga,
e monta sul cocchio
mentre la furia di Eolo
le palpa il malleolo
le morde il polpaccio,
si sfibia
d’intorno allo stinco e alla tibia.
Bagnati dal coccige al collo,
dal naso al tallone d’Achille,
fradici fino al midollo,
cugini alle anguille,
nubili d’ombrello,
col solo cappello,
sentiamo che l’essere anfibî
sarebbe un superbo destino,
te biscia,
io girino,
e liscia la piova del giorno
ci colerebbe d’attorno,
non come a Issïone
che fece la ruota a Giunone,
ma pari al Tritone
cui Teti concesse
– regalo di nume –
di potersi fare
un ampio palamidone
di schiume di mare.
E piove sempre,
sul càmice mio,
sul peplo tuo
colore oramai dell’oblio,
piove sul croceo e l’eburno
del tuo moccichino di seta,
piove sul cromo del mio coturno
che s’impatacca di creta,
piove sopra il cinabro
che t’impomidaura il labro,
piove sui tremuli tocchi
che t’anneriscono gli occhi,
e andiamo d’androne
in androne,
con facce di mascherone,
squadrandoci obliquamente
se qualche pozza lucente
ci specchia e ci invecchia
per farci morir di furore,
Narcisi
dai visi colore
di colla di paglia,
di succo di nastro,
d’impiastro di minio,
di guazzo assassino
di cipria e di cartoncino.
E piove a dirotto
da tutte le nubi,
piove dai tubi
sfasciati
dell’acquedotto
del cielo,
piove sui cani spelati,
piove sul melo e sul tiglio,
piove sul padre e sul figlio,
piove sui putti lattanti
sui sandali rutilanti,
su Pègaso bolso,
su l’orïolo da polso,
piove sul tuo vestitino
che m’è costato un tesauro,
piove sulla salvia e sul lauro
sull’erbetta e sul rosmarino,
piove sulle vergini schive,
piove su Pàsife e Bacco,
piove persin sulle pive
nel sacco.
E piove soprattutto
sul tuo cappello distrutto
mutato in setaccio,
che ieri ho pagato
che adesso è uno straccio,
o Ermïone
che scordi a casa l’ombrello
nei giorni di mezza stagione.