Ricordando Francesco Rosi

Ad agosto Carteggi Letterari si prende una pausa e sospende la programmazione ordinaria. Riproporremo post apparsi nel secondo anno di attività. Marco Olivieri ricorda Francesco Rosi (pubblicato il 2 aprile 2015).


Un linguaggio visivo innovativo per raccontare con impegno civile momenti decisivi della storia italiana. Tra le pieghe, la ricerca di una verità irraggiungibile. Come amava ricordare lo sceneggiatore e poeta Tonino Guerra, il cinema di Francesco Rosi si confronta con un metaforico labirinto, nel quale si intravede una realtà complessa. Nato a Napoli nel 1922 e morto lo scorso 10 gennaio a Roma, il regista di “Salvatore Giuliano” (1962) e del film “Le mani sulla città”, Leone d’oro alla Mostra di Venezia del 1963, è stato celebrato all’ultimo Festival di Berlino, nel mese di febbraio, con la proiezione di “Uomini contro” (1970). Tratto dal romanzo “Un anno sull’Altipiano” di Emilio Lussu, il film scelto dalla 65esima edizione della Berlinale è interpretato anche da Gian Maria Volontè e descrive l’inumana condizione nelle trincee della I guerra mondiale. Con Volontè, Francesco Rosi ha firmato pure “Il caso Mattei” (1972, con la consulenza del giornalista Mauro De Mauro), “Lucky Luciano” (1973), “Cristo si è fermato a Eboli” (1979) e “Cronaca di una morte annunciata” (1987).

Compagno di liceo di Giorgio Napolitano (presente alla cerimonia di commiato alla Casa del Cinema), Rosi è stato aiuto di Luchino Visconti per “La terra trema” (1948) e amico dello scrittore Raffaele La Capria (sceneggiatore in cinque suoi film). Con la moglie, Giancarla Mandelli (morta nel 2010), nel loro salotto, ha ospitato scrittori premi Nobel, come Gabriel García Márquez, e uomini di cultura, condividendo pezzi di vita appassionata. Quando si è spento, nella sua casa romana, erano presenti i registi Giuseppe Tornatore, Marco Tullio Giordana e Roberto Andò, chiamati dalla figlia, l’attrice Carolina Rosi. Non a caso, in un’intervista con Valerio Cappelli (sul Corriere della Sera dell’1 settembre 2012), il maestro aveva individuato in Andò, Giordana e Mario Martone i suoi eredi, mentre lo stesso Tornatore lo ha intervistato nel libro “Io lo chiamo cinematografo” (Mondadori, 2012) e Paolo Sorrentino lo considera “un esempio non solo di cinema politico, ma anche di grande esplorazione umana”. Per Roberto Saviano (la Repubblica del 16 novembre 2014), “il suo modo di raccontare suggerisce ancora come osservare la realtà”.

Il suo viaggio cinematografico come autore era cominciato con “Kean – Genio e sregolatezza” (diretto con Vittorio Gassman nel 1956) e con “La sfida” nel 1958, Premio speciale della Giuria al Festival di Venezia, seguito da “I magliari” (1959) interpretato da Alberto Sordi. Un percorso destinato a una svolta grazie a “Salvatore Giuliano” (Orso d’argento per la regia a Berlino) e a “Le mani sulla città”, con la speculazione edilizia napoletana come emblema di un Paese divorato dalla corruzione, per poi proseguire con “Il momento della verità” (1965) e la parentesi divertente di “C’era una volta” (1967) con Sophia Loren e Omar Sharif.

Grazie alla sua filmografia lunga venti titoli, Francesco Rosi è stato celebrato con l’Orso d’oro alla carriera (2008) a Berlino, con la francese Legione d’onore (2009) e il Leone d’oro sempre alla carriera (2012). Appare invece grave la dimenticanza alla cerimonia dell’Oscar 2015, lo scorso 22 febbraio. Questo il commento di Carolina Rosi, riportato da numerose testate: “Mi è sembrata una doppia gaffe perché mio padre è apprezzato da molti cineasti statunitensi e perché, avendo ricevuto una nomination all’Oscar per il suo Tre fratelli del 1981, risultava anche tra i giurati dell’Academy. È più importante, comunque, che registi di fama mondiale come Kubrick, Scorsese e Stone abbiano sempre manifestato la loro stima per il suo lavoro, dichiarando di esserne stati influenzati”.

Rosi è un autore dal respiro internazionale, capace di innovare il linguaggio cinematografico mettendo in scena le contraddizioni della storia italiana: dal mistero di Stato sull’omicidio di Salvatore Giuliano alla ricostruzione della morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei, intrecciata con la scomparsa di Mauro De Mauro. Da ricordare pure lo sguardo profondo su un potere che assume caratteri metafisici in “Cadaveri eccellenti” (1976), dal romanzo “Il contesto” di Leonardo Sciascia. “Ho cercato di realizzare film utili per la conoscenza del Paese e di una certa realtà, sforzandomi di rappresentare personaggi e ambienti in maniera veritiera”, ha sottolineato il cineasta nei suoi recenti interventi in pubblico. Da instancabile novantenne, non ha smesso di dare prova di una profondità di pensiero mantenuta fino alla fine, come testimoniano le registrazioni su YouTube.

Un altro elemento centrale è il rapporto con la Sicilia, raccontato da Roberto Andò nel documentario “Il cineasta e il labirinto” (2002). Un viaggio tra set speciali come il monumento ai caduti di Portella della Ginestra e il cortile dove venne ritrovato Giuliano. In quell’occasione, Rosi e Andò hanno reso omaggio a Sciascia, sulla sua tomba a Racalmuto, e a magistrati come Giovanni Falcone, al Palazzo di giustizia di Palermo. Tra sequenze di film – come “Carmen” (1984) – e riflessioni, il grande regista definisce la morte “una resa dei conti con qualcosa che non si conosce e alla quale non si possono porre domande”. Per Andò, suo assistente in “Cristo si è fermato a Eboli”, “Rosi ha dimostrato di essere un civilizzatore, come fu definito Picasso, e un poeta della realtà”.

I suoi ultimi film sono “Dimenticare Palermo” (1990), “Diario napoletano” (1992) e “La tregua” (1997), da Primo Levi, mentre dal 2003 al 2008 ha firmato tre regie teatrali da Eduardo De Filippo. Lo stesso Rosi ha spesso ricordato il suo intento cinematografico “di esprimersi in un modo diretto che può sembrare documentaristico, ma che è solo la ricerca di uno stile con un intento funzionale: la forma non deve intromettersi in modo pesante tra l’interesse mio e una verità che esiste esternamente. In tutto ciò è riscontrabile una costante ricerca formale”. La costruzione di un mondo creativo necessario per cogliere una verità più intima, profonda, correlata alla natura umana.

 Marco Olivieri

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