Hidden Gems (a cura di Alessandro Calzavara) – 17) Dino Valente

Dino Valente

valenti fotor

Quando m’avvicino con voglia di narrazione al mondo “maggiore” della storia del rock, un significativo senso d’insofferenza si fa largo. M’accorgo, nel gesto stesso dello scrivere, di muovermi in un terreno già abbondantemente seminato e catalogato, a cui è possibile aggiungere sensibilmente poco e in cui ogni slancio personale ha troppo poca action per garantirsi causa sufficiente. E per quel poco occorrono mezzi ermeneutici fuori dal comune. Altrimenti v’è sempre la possibilità della solita tesi compilativa (oggi caduta sotto il dominio del taglia-e-incolla telematico): e tutto sta a mettere le cose in ordine alfabetico in maniera più wikipedica possibile.
Chester (Chet) Powers (aka Dino Valenti o Dino Valente) con la storia grande ha più di un qualche legame casuale.
Marginalmente, è all’origine del moniker d’una delle più importanti band musicali che la razza umana abbia mai prodotto: sembra infatti che Gene Clark abbia tratto il marchio Byrds adattandolo da “Birdses”, pezzo di Valenti a lui particolarmente gradito.
“Get together”, il celebre inno hippie, registrato – tra gli altri – da Jefferson Airplane e Youngbloods, è a sua propria firma, anche se i diritti ne furono svenduti per racimolare qualche soldo per spese legali, in seguito alla solita inutile detenzione per uso di stupefacenti nei sordidamente puritani States.
Tale assenza ebbe come prima conseguenza l’assentarsi di Chet dalla sua vera e propria band di fondazione: i Quicksilver Messenger Service, che, nel frattempo, privati d’un songwriting “forte” sfornarono tutti i loro acclamati capolavori lisergico/svisativi (sul primo omonimo lp spicca comunque la sua pregevole “Dino’s Song”). Tornerà con Duncan e Cipollina solo nel 1970, per “Just for love”, ma non sarà più lo stesso di mai. Bene, avendo assolto l’aspetto compilativo dell’articolo, passo subito a sdilinquirmi per il disco che vi propongo.

Uscito a firma (e con titolo) Dino Valente (con la e finale) nel 1968, l’unico lp solista di Chet Powers mette in fila 10 gemme (12 a partire dalla versione ristampata su cd del 1998) che meglio d’ogni altro titolo al mondo potranno catapultarvi spazio-temporalmente in quella temperie presumibilmente mitica della San Francisco peace and love. Emotivamente, esteticamente e, soprattutto, sfigatamente: tra tutti gli ingressi possibili questo è il più defilato e –contemporaneamente- il più centrato.
Lo strumento guida è la chitarra acustica a dodici corde, guidata con sapiente maestria nella produzione di sofficissimi accordi folk/jazz – attorno ai quali, come una pianta rampicante, getta rampini infestanti la voce di Chet, sgraziata e piagnucolosa ma fortunatamente imbottita di riverbero fino all’overdose (come la chitarra, d’altronde). Quest’effetto di “pienezza” armonica fornito dallo strumento, unito alla “dilatazione” onnipresente del riverbero – costituisce innegabilmente gran parte del fascino dell’opera. Ma non sarebbe sufficiente a spiegarne la forza attrattiva: Dino/Chet accoratamente seduce, prolissamente melodizza, cercando di vantare le sue doti di bell’essere umano in un gran bel periodo storico a una fortunata corteggiata. A ciò aggiunge spezie cannabinoidi in qualche sparuto arrangiamento d’archi (vedi l’epica –ma sfigata- “Tomorrow”) e di basso/batteria.
Ampie spiagge, sole soffocante ovunque, rifrazioni di vibrazioni quasi mistiche nella nudità d’un canto tanto consapevole nell’intessere trame melodiche (“Time”, “Something New”) quanto ingenuo (“Everything is gonna be ok”) nell’esprimere concetti e immagini.
Quella naïveté funziona bene ancora, tanto incapaci siamo nel 2016 di riprodurla.
Come la poesia “naturale” di cui ci dice Leopardi scomparire al sorgere del vero, “Dino Valente” si lascia cogliere come densa testimonianza di un’anima e di un’epoca inquiete e ansiose di libertà (materiale e spirituale) ma destinate, fatalmente, alla cancellazione da parte della controffensiva della ratio capitalistica.
Ma se la storia è veramente ciclica, da lì può ancora provenire una qualche solida ispirazione.

Alessandro Calzavara


In copertina: Dino Valente (front cover, Dino Valente, 1968).

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