“Sicilia favolosa”. Quattro narratori e un racconto che manca

di Alfredo Nicotra “E già entriamo nei neri sobborghi di Catania, tra le case di Ognina costruita sul fumo rappreso di una lava in tempesta, ed eccoci nella nera Catania costruita di fumo. Saliamo alla stazione su una vecchia carrozza sgangherata, dai neri cuoi consunti e dal nero mantice chiuso, tirata a gran corsa da un vecchio cavallo nero; e per lunghe, diritte strade popolari affumicate sbocchiamo nel centro, tra le meraviglie della città del Settecento”.

Attraverso queste parole, scandite da una cadenza allitterante e ritmata, intenta a percorre lo spazio rappresentato, Carlo Levi fece il suo ingresso nella “città dalla pietra nera”, in uno dei suoi primi viaggi in Sicilia. Conservate tra le pagine di un numero speciale che “L’Illustrazione Italiana” dedicava all’Isola nel dicembre 1952, esse trovano oggi una collocazione organica, insieme ai testi di altri notevoli scrittori, nella silloge E. Patti – C. Levi – G. Comisso – C. Sofia. Quattro scrittori, quattro Sicilie, per la cura di Dario Stazzone, grazie a un lavoro puntuale di disamina e di analisi critica e filologica dei testi.

Il numero monografico sulla Sicilia comprendeva, in realtà, sedici contributi di varie personalità della politica e della cultura di formazione e estrazione eterogenee, tutti però accomunati dal desiderio di una “riscoperta e conoscenza dell’Italia, nella fattispecie delle sue propaggini eccentriche e meridionali”, lacerante in quel momento storico (si pensi al Pasolini delle Ceneri di Gramsci). Testimonianza dell’interesse che la cultura italiana e gli scrittori in particolare rivolsero un tempo al territorio e al paesaggio nazionali, agli aspetti cangianti di un’Italia plurale e dalle mille regioni, vivendone lo spazio come il luogo privilegiato della conoscenza e dell’immaginario. Attenzione oggi scemata. Oggi che il mainstream sembra esercitarsi sempre meno in queste descrizioni, mentre il paesaggio continua a mutare irreparabilmente, spesso fuori dalla coscienza dei suoi cittadini e dei romanzieri, disfacendosi sempre più in una periferia mostruosa, estensione di un eccentrico non-luogo che rende tutto degradato e uniforme.

Da queste quattro voci, di cui due provenienti da regioni diverse, e tutte accomunate da un intento antinarrativo, si eleva invece inattesa una “complessa sinfonia letteraria”, dentro cui risuona l’eco di una “Sicilia favolosa”, autentica eterotopia e spazio-altro che trasporta come una nave nel Mediterraneo un inesauribile carico di simboli.

L’impressione che cattura il lettore percorrendo le pagine del libro è il riproporsi nei testi di un unico canovaccio, la ricorrenza di un tòpos che ripete le stesse tappe, varca le stesse soglie: l’attraversamento dello Stretto, la descrizione del traghetto, la corsa sul treno, l’Etna, la lava, Taormina, per poi discendere verso gli inferi o l’eden delle città: Catania, Siracusa, Agrigento, Segesta, Selinunte, Bronte, Randazzo e i paesi etnei… Tappe di un cammino che caratterizza l’iter siculum di tutti i viaggiatori e che ha spesso i tratti di un “simbolico regressus ad uterum”. Un “motivo topico” in cui si cela di volta in volta “una sorta di rito”, “di anabasi” o di “trapasso”.

In Arrivo nell’Isola di Patti la scrittura è dominata dal desiderio di trasporre le sensazioni e gli umori che accompagnano il suo fugace passaggio in treno. Tutto è colto di volata, con un’attenzione che registra i colori, gli odori (tra tutti lo spandersi della zàgara sul manto nero della lava), i suoni che mano a mano si aprono ai sensi, come a pregustare nell’attesa, con piglio mondano, i piaceri che le città, Catania coi suoi caffè nouveau o Taormina, schiuderanno. È una descrizione cronachistica ma insieme sensuale e percettiva, traboccante di avverbi modali e di prolessi aggettivali, che sembra voler eccedere come la vegetazione circostante dominante e selvaggia. Una natura a cui fa subito da contrasto il parossismo edilizio delle attività alberghiere che sovrastano le colline brune di Taormina. Vessilli di un progresso già incipiente che presto si rivelerà catastrofico in tutta l’Isola.

In Levi la Sicilia appare invece nella sua forma più vitale e arcaica. Attorno all’Etna, testo che spicca tra tutti, custodito per 63 anni nelle pagine de “L’Illustrazione Italiana”, è rimasto sconosciuto nel corpus delle opere dell’autore. Esso rappresenta, come ricorda Stazzone, “nel sessantesimo anniversario della pubblicazione de Le parole sono pietre” (1955), l’“essenziale avantesto” del libro reportage dei suoi viaggi in Sicilia, i cui temi verranno riproposti e sviluppati.

Qui edito finalmente, ci mostra come il paesaggio e il suo racconto possano diventare attraverso la scrittura lo strumento di una volontà etica e conoscitiva degli uomini e delle loro speranze. Avvicinandoci a quella “dolcezza sociologica” che Levi riservava (e riversava) all’Altro.

Un testo in cui prevalgono innanzitutto l’“ambiguità, la connotazione e la polisemia che per l’autore sono contrapposte al senso univoco della ragione, della religione e della storia borghesi”. L’umanità che in Patti restava di contorno al suo viaggio simile a figure indistinte di cartapesta, in Levi compare in una meraviglia mitologica, “una cosa sola con la terra, il paesaggio e il mare”.

Attraversando la città di Catania, di cui traccia una intensa e partecipata descrizione delle strade, degli edifici e della popolazione in fervente attività, Levi ci conduce presto nella sua periferia, lungo la “sciara di Curìa”, sulle pendici dell’Etna, tra i paesi che si arrampicano in un deserto di pietra. “È un meraviglioso e terribile paesaggio nero e viola e grigio di lava nuda o coperta di licheni, morsa da un vento antichissimo in onde increspate o bizzarre”. Dove gli elementi di una “eterna natura” si confondono in un unico paesaggio primordiale. Tra “il fumo pietrificato dell’interno incandescente del mondo, un nero mare ondulato, increspato, raggrinzito, affumicato, il nero latte della mammella dell’Etna sceso in neri ruscelli nella verde indifesa campagna”. È una soglia che prepara però una discesa agli inferi. Fuori dalla “folla innumerevole” della città, che parla con “la greca chiarezza e la greca sofistica”, si accampano le masse dei contadini e degli sfruttati che vivono da secoli in condizioni di schiavitù. “C’è nell’aria un feudale terrore”. Sono i contadini di Bronte che, come i personaggi di Furore di Steinbeck, lottano per le terre e per la loro occupazione. Eppure in tutta questa miseria è l’“umana vitalità” a scolpirsi nelle parole di Levi che ascolta partecipe i “difficili tentativi dei contadini per esistere come uomini” e affrancarsi dall’“eterna servitù”.

Tra sensazioni pittoriche e riflessioni condotte sua scia delle sue impressioni la sua prosa tellurica muta insieme al paesaggio. La sua voce si fa corale, abbandonando l’io del sogno e della visionarietà per il noi, fino a ridursi a una voce impersonale. Impaziente di scoprire anche la realtà più marginale e indifesa per farsi insieme cammino tra le macerie della realtà. Una scrittura tesa ad attraversare fuori dai luoghi comuni gli spazi che percorre.

Templi e vestigia greche del solariano Comisso ci riporta attraverso una scrittura visionaria e ipermetaforica in una Sicilia irreale, e ormai irrecuperabile, dentro un paesaggio “come uscito dal tempo”. Il libro si chiude con il racconto memoriale e aneddotico di Sofia La masseria siciliana. Nostalgico ma non meno rappresentativo delle condizioni arcaiche dei suoi lavoratori.

Eppure raramente, come in questa silloge, si può cogliere in una sola volta la percezione delle visioni mutevoli e contrastanti che hanno caratterizzato il racconto della Sicilia e dei suoi aspetti contraddittori, e assistere più che a una sinfonia a un contrappunto di voci e di stili. E, adesso che quel paesaggio sembra lontano e inesistente, percepire insistentemente il racconto che manca della Sicilia e del suo presente, per augurarsi che venga qualcuno a raccontarci verso dove stia naufragando questa terra, magari per ritrovarla.

 

Dario Stazzone, E. Patti – C. Levi – G. Comisso – C. Sofia. Quattro scrittori, quattro Sicilie, pp. 104, € 12, edizioni le farfalle, Valverde (Ct) 2015

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