Coltivo sempre i segni del disastro. E qui ci sono arrivato di corsa, come nei vent’anni di vent’anni fa, spedito, tutto d’un fiato correndo in salita per Via Ripida e Via Giordano Bruno, scartando i sassi sconnessi dell’acciottolato e quanto di urticante possa nascondersi tra le erbe spontanee di viuzze sempre meno battute, su, di corsa, fino all’icona in pietra cimino di Sant’Antonio Abate, dove anziane e giovani facevano tanto curtigghio all’ombra.
Ci sono tutti, i segni, qui allo Zorio: le case si sono svuotate nel tempo. Tutto è ruzzolato giù verso la marina, da Rina fino alla fiumara. Come un sasso che staccandosi e cadendo tira via il successivo e uno dopo l’altro fanno valanga, il quartiere, come il resto del paese, è rimasto una roccia polverosa e nuda. Oggi ci arrivo con il mio disastro. Le case sono vuote ed anche la mia casa è vuota. Sia quella in cima al vicolo, di fronte al vecchio calvario, la casa dei miei, di mio padre da ragazzo e poi da vecchio, dei Sorbara, sia la mia casa dentro, inabitata forse da sempre, con fantasmi transitori a illuderla di essere davvero una casa.
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NOTIZIA: lo Zorio è un antico quartiere, assai panoramico (di fronte allo Jonio e allo Stretto), di Casalvecchio Siculo.
L’ha ribloggato su natalia castaldi [esilio e desnacimiento].