Adriana Lecouvreur al Bellini di Catania: il capolavoro di Cilea al tempo dei Florio

di Marta Cutugno 

 

Catania. Massiccia l’affluenza di pubblico che ha gremito il Teatro Bellini nelle sette recite dell’Adriana Lecouvreur dal 25 marzo al 2 aprile. L’ultima produzione del Teatro Massimo Bellini è il capolavoro di Francesco Cilea diretto dal M° Fabrizio Maria Carminati ed ambientato a Catania per volere dei due registi Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi.

Le parole del sovrintendente Giovanni Cultrera di Montesano: “Il melodramma è maestro di vita. L’abnegazione di Adriana verso il teatro è lo specchio del nostro lavoro quotidiano. Anche noi siamo umilmente – ma anche orgogliosamente – al servizio delle partiture, del pubblico, dello spettacolo. Siamo i custodi della grande bellezza della musica e del tempio in cui si esegue. Dopo lo straordinario riscontro delle Nozze mozartiane, il Bellini realizza un altro allestimento importante che conferma le capacità di un ente approdato nelle ultime stagioni a numeri record quanto a produzioni e presenze. Anche la risposta massiccia degli spettatori conferma che l’opera lirica è sempre viva e affronta temi sempre attuali, sui quali l’umanità si interroga da millenni”.

Scrive Cilea: «Fra i tanti lavori che lessi in quel tempo, mi colpì quello di Scribe e Legouvé. La varietà dell’azione che potevano offrirmi situazioni nuove ed eleganti, la fusione della commedia e del dramma nella cornice dell’ambiente settecentesco (che conoscevo bene), il passionale amore della protagonista toccarono il mio cuore e accesero la mia fantasia». Partitura straordinaria dalla scrittura sobria e delicata, annoverata tra i capolavori del patrimonio operistico italiano, Adriana Lecouvreur è un dramma in quattro atti su libretto di Arturo Colautti ispirato alla Adrienne Lecouvreur del 1849 di Scribe e Legouvé. Nel 1899, dopo il successo milanese de “L’Arlesiana”, Cilea era pronto a dedicarsi ad una nuova avventura compositiva. Siglò, quindi, un impegno con l’editore Sonzogno e il 6 novembre del 1902 l’Adriana venne rappresentata per la prima volta al Teatro Lirico di Milano. Al tempo, il Cilea insegnava armonia e contrappunto all’Istituto Musicale di Firenze.
In questo allestimento catanese, le scenografie, firmate da Leila Fteita (direttore degli allestimenti scenici Arcangelo Mazza) sono ben articolate, elegantissime e richiamano prepotentemente lo stile Liberty delle case Florio, trasferendo di fatto l’ambientazione temporale della Parigi di Luigi XV alla Sicilia degli anni ’20. L’idea di una struttura teatrale dinamica e in movimento è data dalla presenza di un piano inclinato, la cui pendenza suggerisce la forma di un palcoscenico nel palcoscenico. Un luogo sacro, il Teatro, che Canio cantava diverso dalla vita nei Pagliacci di Leoncavallo e che in Adriana accoglie pienamente la parabola dell’esistenza. Su quelle tavole, infatti, il personaggio dell’attrice – che ricalca l’omonima primadonna della Comédie-Française realmente esistita – vive, recita, si consuma di gelosia, ama e muore.

L’opera principia dietro le quinte di un teatro che da lì a poco ospiterà una rappresentazione. Lo spettatore si trova, dunque, immerso in una dimensione a lui solitamente celata, in cui i lavoratori dello spettacolo si muovono frementi. In ogni cambio di scena, si mantiene uno stile ricercato, con i floridi rampicanti a parete nel giardino della Duclos, la lussuosa galleria dei ricevimenti al palazzo dei Bouillon che accoglie il divertissement coreografico curato da Giusi Vittorino sotto i possenti lampadari o nel salotto di casa Lecouvreur dove Adriana troverà la morte. Attenta e ben organizzata è la regia che è riuscita a porre l’accento sul contrasto emotivo tra le due donne, sulla gelosia celebrata come passione regina del dramma e su una particolare attenzione al fruitore, al suo punto di vista. Belli, adeguati e curati nei dettagli i costumi firmati da Nicoletta Ceccolini.

Sul podio uno straordinario M° Fabrizio Maria Carminati che con poetico rigore ha guidato l’Orchestra del Teatro Massimo Bellini in stato di grazia. È palese la ricerca attenta di un suono che appassioni, che costantemente danzi tra la freschezza e l’impeto. Eccellente, come sempre, il Coro del Teatro Massimo Bellini diretto egregiamente dal M° Luigi Pretrozziello, formazione la cui cifra è la puntualità degli interventi.

Rebeka Lokar, che è apprezzata interprete di livello internazionale, purtroppo non convince nel ruolo del titolo. Non è efficace la prova nei panni dell’eroina che il compositore calabrese dipinse in tutto il suo splendore e la vocalità sembra non prestarsi bene all’umile ancella del genio creator.

Altrettanto claudicante è l’interpretazione di Marco Berti nei panni del Conte di Sassonia Maurizio, che l’amor fa poeta, tante sono apparse le forzature e gli eccessi vocali esercitati sulla complessa partitura.

Incantevole nel ruolo della Principessa di Bouillon è Anastasia Boldyreva che vanta una notevole presenza scenica unita ad un timbro vibrante. Una lucida interpretazione la sua, autentica e giunonica, pregna della gelosa passione che anima il suo personaggio e che innesca l’amaro conflitto tra donne che condurrà alla morte di Adriana.

Lo spasimante inconfessato di quest’ultima è interpretato dal baritono Devid Cecconi, un Michonnet espressivo e sensibile, che manifesta il suo amore con la dolcezza della maturità. Senza mai scadere nel patetismo ed assicurando una interpretazione vocale e scenica di alto livello, Cecconi offre al pubblico la purezza, ma soprattutto l’umanità di un modesto direttore di scena, mosso da un sentimento che non è destinato a compiersi.

Gianfranco Montresor è un ottimo Principe di Bouillon, credibile nel suo ruolo. Splendida, frizzante l’interpretazione di Blagoj Nacoski come l’Abate di Chazeuil, ottima la prestazione vocale unita alla spigliata verve scenica.
Ai già citati artisti si unisce l’efficace e puntuale quartetto composto da Angelo Nardinocchi (Quinault), Marco Puggioni (Poisson), Tonia Langella (Dangeville), Elena Borin (Jouvenot) che hanno regalato al pubblico della sala del Sada un tripudio di finezze vocali e sceniche.

In chiusura, il pubblico ha salutato in maniera entusiasta il cast con ripetuti applausi ma il momento di massima commozione era già arrivato alla fine del terzo atto. Nonostante mancasse ancora un ultimo atto per portare a compimento il melodramma, la recita si è fermata per rendere omaggio a tre coriste e lavoratrici dello spettacolo, Maria Teresa Migliarese, Giuseppina Piscopo e Maria Grazia Calderone che dopo anni di onorata carriera sono ormai prossime alla pensione. “Un doveroso fuori programma – ha affermato il Sovrintendente Cultrera – il Teatro Massimo Bellini a nome di tutto il personale artistico tecnico ed amministrativo esprime ogni gratitudine alle signore Migliarese, Piscopo e Calderone per l’eccellente carriera lavorativa prestata al Bellini, tre generosissime artiste che hanno dedicato una vita all’Arte, alle produzioni del Bellini e all’eccelso intero Coro del Bellini. Il pubblico ed il cuore del Bellini vi dice Grazie”.

 

Foto Giacomo Orlando

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