CROSSINGS di Francesco Totaro: in mostra a Messina dal 24 maggio al 4 giugno – presentazione critica di Maria Teresa Zagone

FRANCESCO TOTARO

CROSSINGS

Foyer Teatro Vittorio Emanuele 24-5/4-6/2019

MESSINA

Per la rassegna di arti visive “L’OPERA AL CENTRO”, del Teatro Vittorio Emanuele di Messinacurata da Giuseppe La MottaVenerdì 24 maggio, alle ore 18,30, avrà luogo il vernissage di CROSSINGS, opere di Francesco Totaro, presentazione critica (qui di seguito) e catalogo a cura di Mariateresa ZagoneOrari di apertura: 10,00-13,00 / 16,00-19,00. Chiuso il lunedì.

di Mariateresa Zagone

Troppe mostre sono pensate come eventi mediatici e commerciali a partire dalla scelta deltitolo, sul quale si confeziona l’evento “a misura” delle aspettative del pubblico. Come critico, mi sono sempre sottratta a questo tipo di operazioni cercando di evitare che una mostra potesse diventare motivo di svago, seppur falsamente percepito come culturale. Credo infatti che, in questo mestiere (includendovi critici, galleristi, artisti, curatori), l’ethosconsista nella chiarezza del criterio metodologico e nella coerenza del progetto. Ancor più considerando che il varco attuale delle storie individuali e della macrostoria, troppo spesso fatta di nani e ballerine, forse ce lo impone.

Nei decenni primo e secondo del nostro millennio (vuoi per la possibilità di replicare all’infinito e con grande sofisticatezza qualsiasi immagine, vuoi per la sconfinata produzione giunta fino a noi) l’arte si è ritrovata a fare i conti con una quantità di immagini e di pixel tali da indurre l’occhio ad una straniante bulimia, in cui aver visto e aver la possibilità di vedere tutto e di tutto, paradossalmente ha annientato la capacità retinica del discernimento, quindi della comprensione ottica. Tale situazione risulta essere la più sfavorevole a trasformare l’opera d’arte visiva in un dardo avanguardista, sistematizzato da teorie e manifesti, proprio per la labilità di qualsiasi confine ontologico in una società paradigmaticamente liquida e babelica. L’opera d’arte sembra non irridere più alla tradizione, in nome della novità a tutti i costi assunta come dogma.

L’idea vasariana di progresso, che ci si è portati dietro almeno fino agli anni Settanta del secolo scorso, è finalmente morta o, quantomeno, sembra aver subito un arresto, liberando l’arte dalla visione evoluzionista darwiniana che non consentiva di valutare il suo sviluppo reale, punteggiato, fatto di scarti e di scatti.

Ho pensato che il progresso non esiste, che si tratta di un’idea nociva per la nostra salute, poiché impedisce un maggiore contatto con la realtà…” scriveva profeticamente René Magritte nel 1946.

All’arte in generale non sono sufficienti la corsa verso la tecnologia e la ricerca ossessiva dell’ultimo ritrovato tecnico. L’arte dei due decenni in questione, in particolare, non sembra ricercare uno stile esteticamente definito che non corrisponderebbe alla cultura contemporanea, quanto piuttosto delle idee che definiscano la realtà (ogni tipo di realtà psicologicamente percettibile dall’individuo e dall’artista). Idee sviluppate in opere in cui l’immagine o il testo-immagine sono sempre impliciti traducendo spesso la semiotica della comunicazione e dei mass media e interpretando, quindi co-creando, la cultura storica del momento.

…Arte è ciò che diventa mondo, non ciò che è mondo…” (Karl Kraus).

Nella contemporaneità da “fine dell’impero” in cui tutti i linguaggi si mischiano e si sovrappongono senza gerarchie di sorta, è stato in parte abbandonato il modello estetico modernista fondato sul loro perpetuo rinnovarsi. Paradossalmente, in un momento mai così privo di verità universali e di riferimenti, in Italia e in Europa sembra preponderante il ritorno del colore, della pittura, della narrazione, del mestiere, della figura.

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Da questa necessariamente breve introduzione epistemologica, dalla coerenza progettuale della mostra e dallo stato attuale della ricerca di Francesco Totaro finalmente propheta in patria, nasce Crossings. Un lessema, oltre che un titolo, che ne è il motore generatore, laperifrasi, il concetto che racchiude il percorso umano, estetico e spirituale dell’artista.

Totaro proviene da una fattualità non dogmatica che ha indifferentemente usato, negli anni, fotografia, scultura, pittura, ma anche grafemi di derivazione cinematografica, senza che nessuno di questi medium visivi diventasse mai un fine.

Quello che invece è sempre stato saldo nel suo percorso, ad ogni incrocio, ad ogni attraversamento dell’esistenza è stato l’interesse, direi neo-umanistico, per l’ανθρωπος, per il corpo reale, seppur parcellizzato in scatti fotografici o trasformato dall’alchimia di resine e reso tale da non essere immediatamente riconoscibile. Corpo e deformazione di esso che hanno accompagnato il tempo in cui l’artista ha epifanizzato immagini di ciò che non è cartesianamente spiegabile e che riflette una dimensione parallela a quella tangibile, immagini astrali che dovevano ancora trovare i propri “guardiani della soglia”.

Il progetto Crossings raccoglie il testimone, il bisogno di interiorità, l’esigenza che la vita esteriore e quella intima non occupino più dimensioni separate e ha inizio, a ritroso, proprio dalle due figure di guardiani, da quei “viaggiatori” i cui abiti scuri pesanti e  senza tempo aprono la mostra. Sono i nostri padri, coloro che ci hanno preceduti nel cammino e ci indicano la strada. L’energia che si respira è  fortissima e nasce dalla dolorosa consapevolezza individuale che impone di ripartire dall’humanitas, di abbandonare la maschera, di spogliarsi degli orpelli. La marcescenza dei frutti della contemporaneità, per sua stessa natura non compiuta, il volgere al termine, il punto zero di umanità, a cui sembra si sia giunti, spinge l’artista ad un rush finale. Dalla percezione netta di una dicotomia ineluttabile, nasce la scelta fra il fenomeno e il noùmeno che chiede il conto. Il primo passo è chiamare le cose col proprio nome. La globalizzazione, il miraggio che essa prometteva, si sono manifestati per quello che erano: le ultime e più aggressive fasi del capitalismo che, più che combattuto, va compreso per poter scegliere un percorso altro e abbandonare i suoi feticci. Chiarezza semantica che parla di potere e di divisione –divide et impera, diceva una massima latina- ma anche di luce e unione. Totaro avverte tutto ciò e si prepara ad un nuovo inizio che abbisogna di altri bagagli linguistici per essere affrontato, un “salto quantico” adatto a captare frequenze più alte che permettano il passaggio al mondo interiore.  Ai più, questa narrazione sembrerà un viaggio fantascientifico, ma accade spesso che l’arte e gli artisti accompagnino o precedano i cambiamenti di portata epocale. Si pensi, per noi europei, alla fine dell’impero di Roma, con l’espressionismo tardo-antico. O ancora a quella dell’universalismo cattolico e del suo indiscutibile impianto teologico, nel momento in cui Lutero pubblicò le novantacinque tesi, dividendo l’Europa in due e con essa il pensiero alle cui soglie, dopo più di mille anni, si affacciava di nuovo, e per fortuna, il dubbio come metodo (tradotto dal linguaggio della deformazione onirica manierista).

Una più lucida coscienza non può che essere affiancata da una maggiore consapevolezza degli strumenti. Così Totaro riscopre la tela e la tavolozza, ritorna al mestiere civile della pittura che gli urgeva dentro. Sceglie senza enfasi e senza esigenze ecumeniche di proselitismo. Narra con costruzione paratattica e senza affabulazione oratoria. Cosìcche le quattordici tele, come singoli fotogrammi, risultano ognuna compiuta in se stessa.

Quattordici acrilici su tela di formato rettangolare, privi di titolo. Frames che inquadrano un unico protagonista su sfondi ora rosso cupo, ora verde-ottanio, ora di un azzurro chiarissimo e quasi abbagliante, costruiti con pennellate larghe. Sfondi caleidoscopici che annullano le declinazioni del tempo con le loro riflessioni multiple e imprevedibili.

Il personaggio cammina lentamente, abbagliato da una sfera luminosa, inizia il suo percorso avendo chiara la meta. A volte si ferma, si volta indietro, rivolgendoci uno sguardo gentile e privo di giudizio, quasi un invito a seguirlo. Porta con se un bagaglio in cui presumibilmente ha inserito tutto ciò che occorre, la propria esperienza, il proprio vissuto, in cui ansima e sussulta la naturale e umanissima paura del distacco. Altre tele lo vedono di spalle concentrato sul suo focus. In altre ancora, avviene l’ incontro ravvicinato e l’energia si sdoppia in una canalizzazione che sembra attraversare il corpo, da una mano all’altra, fino ad arrivare al primo vero contatto fra la materia e lo spirito. La scomposizione da qui in avanti comincia a parcellizzare anche il volto e gli abiti. Il corpo, ancora riconoscibile, è sfrangiato da filamenti di luce e l’energia diventa tangibile, quasi un poliedro scomposto in piani geometrici, costruito da un fitto reticolo di sottilissime pennellate bianche. Una pietra filosofale, mostrata come il frutto luminoso del difficile cammino che nelle ultime tele arriva a materializzarsi in lame di colore, dato per campiture piatte, che traducono la solidità di un oggetto concreto. Totaro, in moltissimi punti di questa  iconografia multidimensionale, inserisce il gioco del suo metalinguaggio, con messaggi indiretti che attirano l’emozione di chi osserva e inconsapevolmente riconosce il dettaglio, fino a ricomporne il significato in una migrazione inconscia di immagini e di simboli. Come nel caso della mano protesa dal personaggio a proteggere la sfera di luce, memore delle tantissime mani protese da Madonne e Sant’Anna, a protezione del fulgido capo del piccolo figlio di Dio. Il percorso della mostra invita, attraverso il suo protagonista, ad attraversare un portale, quella dimensione spazio-temporale già percorsa da chi, viaggiatore dell’anima, ci ha preceduti.

Francesco Totaro, messinese classe 1961, finalmente propheta in patria, non ha mai esposto nella sua città natale, essendosi trasferito a Modena dall’età di diciannove anni. Crossings è un lessema, oltre che un titolo, che ne è il motore generatore, laperifrasi, il concetto che racchiude il percorso umano, estetico e spirituale dell’artista.

Totaro proviene da una fattualità non dogmatica che ha indifferentemente usato, negli anni, fotografia, scultura, pittura, ma anche grafemi di derivazione cinematografica, senza che nessuno di questi medium visivi diventasse mai un fine.

Quello che invece è sempre stato saldo nel suo percorso, ad ogni incrocio, ad ogni attraversamento dell’esistenza è stato l’interesse, direi neo-umanistico, per l’ανθρωπος, per il corpo reale, seppur parcellizzato in scatti fotografici o trasformato dall’alchimia di resine e reso tale da non essere immediatamente riconoscibile. Corpo e deformazione di esso che hanno accompagnato il tempo in cui l’artista ha epifanizzato immagini di ciò che non è cartesianamente spiegabile e che riflette una dimensione parallela a quella tangibile, immagini astrali che dovevano ancora trovare i propri “guardiani della soglia”.

Il progetto Crossings raccoglie il testimone, il bisogno di interiorità, l’esigenza che la vita esteriore e quella intima non occupino più dimensioni separate.

                                                                                

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