Poesia: il libro Muraiola di Francesca Panarello

Presentazione del libro di poesie Muraiola di
Francesca Panarello
Eretica Edizioni 2018
Lunedì 28 gennaio 2019 ore 18
La Feltrinelli Point
Via Ghibellina 32 – Messina
Converseranno con l’autrice
Luigi La Rosa, scrittore e Carmela Mento, ricercatrice di psicologia clinica – Università di Messina
Con la partecipazione di Carmen Panarello, attrice, e Francesco Mento, chitarra.

Muraiola è un libro di poesie, muraiola è un’erba, una lucertola, un’ape… una creatura che trova una casa per sé, “un posto che ha il potere appagante di una ricompensa, “dove ogni stagione/ha suoni di mare” e “il giorno/è sciamare di nuvole”. Dimora di ogni ritorno e domicilio di riti ordinari: un luogo in cui ci si sente invitati, adatti e si può posare l’anima disarmata, in buone mani.”

 

Dalla quarta di copertina

Ci sono luoghi sontuosi e seducenti, spazi trascurati e ammorbanti; posti da cui si passa con noncuranza e altri in cui si sosta con circospezione; terre sorvolate, quasi per gioco, e paesaggi inghiottiti, da mozzare il fiato. E poi c’è un posto che ha il potere appagante di una ricompensa, “dove ogni stagione/ha suoni di mare” e “il giorno/è sciamare di nuvole”. Dimora di ogni ritorno e domicilio di riti ordinari: un luogo in cui ci si sente invitati, adatti e si può posare l’anima disarmata, in buone mani.

Francesca Panarello è autrice del libro di poesie Nel segreto del cuore (Ed. Il Gabbiano 2009). Alcuni suoi componimenti sono stati selezionati per la raccolta Il Segreto delle Fragole, Poetico Diario 2011 (Lieto Colle 2010). Negli ultimi tre anni ha pubblicato quattro racconti nelle antologie L’arte di perdere, Aurore, Zenith e All’imbrunire (Algra Editore). Vive a Messina. È giudice di pace e libera professionista esperta in mediazione familiare e dei conflitti. È alla sua prima pubblicazione per Eretica.

 

 

Prefazione

 

Per entrare nella silloge di Francesca Panarello bisogna essere pronti a farsi sorprendere.

Il percorso che l’autrice propone al lettore è infatti caleidoscopico, non lineare, svolto nelle trame di una materia varia e vibrante su differenti registri tematici e stilistici.

Dagli strappi dolenti d’un io “separato” e ardentemente lirico della prima parte il lettore si confronta, nella seconda, con il mistero e il fascino della natura, in un luogo di sperimentazione ritmica resa vivida da giocose contaminazioni linguistiche.

Nella terza parte la poetessa si ferma a guardare sé stessa, lasciando che la realtà la attraversi e la interroghi, negli oggetti, negli animali, nei ricordi d’infanzia, in un’alternanza di componimenti brevissimi ad altri d’una estensione ampia, prossima alla prosa.

Chiudono la raccolta due sezioni atipiche, proposte quasi giocose, un’Appendice culinaria e una sezione di Quasi degli… haiku. Qui, come in un salottino, si è invitati a prender posto, a lasciarsi deliziare dai sapori e dai profumi dei cibi che le parole, con sapiente potere evocativo “nerudiano”, portano ai sensi. Come in un cerchio che si chiude, i brevi componimenti in forma di haiku accompagnano il lettore per mano in un luogo nuovo, pacificato, contemplativo, dove la natura agisce il suo karma di riconciliazione e lentamente, come in finale dissolvenza, mette a tacere e a riposare gli ardori incontrati sul cammino.

Di riconciliazione e, ancor più, di resilienza, è esperta la nostra autrice, giudice di pace, che ai temi della mediazione e della risoluzione dei conflitti dedica una buona parte della propria attività professionale.

Quale maestro di resilienza più autorevole della natura? Sembra chiedersi Francesca Panarello, che dissemina le poesie di fiori  (bouganvillee, hibiscus rossi, magnolie secolari, solo per citarne alcuni), di alberi e paesaggi marini ispirati dalla sua terra, la Sicilia.

Nonostante il dolore dell’abbandono, nonostante le lacrime, “Se il mare s’increspa/ posso ancora nuotare”, si legge nella poesia Ultime come le prime. Nella poesia Ho amato al caos del cuore umano si contrappone, nell’ultima strofa, la quiete dei fiori “Fuori (…) lo spatifillo è rifiorito/e la guzmania cresce”. Così la “triassica” muraiola, la lucertola comune che dà il titolo alla raccolta, “campestre” e “lunare” diventa simbolo di resistenza, scampa, risorge sui “freddi lastrici/di notti insonni”.

Il viaggio del poeta è un cammino faticoso e dolente verso sé stesso (non è un caso che l’autrice proprio a sé stessa dedichi quest’opera), in un costante, sofferto anelito di libertà.

Ne La casa al faro, la poesia più “montaliana” della raccolta, la salvezza da una realtà esterna percepita come “barbara” è possibile grazie a “un albero”, a “un guscio”, al rifocalizzarsi sensuale e spirituale al tempo stesso sui miracoli di bellezza della natura e sui doni della propria vita interiore. Perché “la casa/è lì dov’è il cuore”.

Solo intraprendendo “viaggi che sollevano” l’autrice può arrivare a  dire “Mi sento possibile” nella poesia Attraversando la luce solare; solo quando il cuore si apre (“del cuore aperto è suono/ sinfonia di rondini”, nella bella poesia Il cuore si apre) il poeta diventa strumento e filtro della realtà che lo circonda, può farla sua, accettarla, rispecchiarcisi, come nelle baudlairiane correspondences.

“Si avvicini alla natura” suggeriva Rilke al giovane poeta che lo interrogava. Sembra proprio questo lo sforzo costante di Francesca Panarello, che, fedele ad un sentire mediterraneo, molto lontano dagli echi “nordici” di correnti contemporanee, quali gli estremismi del realismo terminale o un verseggiare per suggestioni astratte, predilige una poesia dal carattere sensuale, quasi “carnale”: si pensi alla forza d’immagine del “fico scamiciato” o della “lupa che allatta”, quali metafore dell’intimità nella poesia La cosa più bella, o alla danza seduttiva e fugace dell’insetto in Sfasamenti.

La lingua scelta è raffinata (si noti l’uso di termini ricercati o desueti, come la “luscinia” per dire l’usignolo, la “muraiola” per la lucertola) e giocosa (inserti dialettali si accompagnano a citazioni latine, al lieve ammiccare colto del greco, alla licenza dello spagnolo – nella poesia Te quiero).

Che il lettore si lasci affascinare dalla distesa quotidianità di Certe giornate gioiose, dove nella ricorrente forma poetica “a scalini” e giocando con ripetizioni e accumulazioni in un ritmo veloce, l’autrice libera il proprio anelito creativo. Quando il poeta riesce a dar corpo alla visione, sembra qui ricordarci, tutte le cose comuni, dalle teiere di coccio, agli appunti sulle contese da dirimere, alle tazzine, al sapone, splendono nel ricordo felice, impilate, affastellate “come i piatti della cucina”.

Solo allora l’armonia è raggiunta, l’ironia salva e il dolore, come sul muso del cane accarezzato, può diventare sorriso.

 

Anna Maria Di Brina

 

 

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