Il suicidio del Pd

Personalmente credo che:

1 Il Pd si stia suicidando. Non solo alle elezioni ha raggiunto il minimo ipotizzabile, ma ora sta cercando di scavarsi la fossa con le proprie mani. Non sta facendo opposizione, si sta annullando. Non s’è mai vista una formazione politica così contenta di essere messa ai margini della politica, senza che proponga nulla di alternativo. Invoca il governo delle altre forze parlamentari, convinto che faranno male e verranno punite dagli elettori. Non si rende conto che, se nel frattempo continuerà a fare come ora, ossia a stare guardare, senza fare l’opposizione, che di suo ha il diritto-dovere di ostacolare (opporsi) all’azione del governo e di proporre qualcosa di alternativo.

2. Il Pd è senza un capo, e conta di starci fino al prossimo autunno. Questo è un altro atto del suicidio. Martina è ben voluto da tutti per i suoi modi pacati, ma come leader vale zero, senza contare che ha la stessa immagine denutrita di Fassino. Fassino 2.0 la vendetta. Perfavore, non può essere lui l’immagine del Pd. Occorre un leader a pieni poteri subito. Il migliore sul campo è Richetti per forma a sostanza. Datevi una mossa.

3. Il Pd si sta suicidando perché continua a ripetere di aver perso e che gli elettori hanno chiesto che faccia opposizione. Sbagliato. E anticostituzionale. Così come è sbagliato che Di Maio vada in giro a dire che tocca a lui governare. Il Pd è il secondo partito. Non ha perso, perché nessuno ha vinto. Questo dovrebbero dire i piddini. Nessuno ha vinto. E governa chiunque trovi una maggioranza parlamentare, questo dice la Costituzione.

4. Il Pd ha tutte le carte in regola per prendere in considerazioni le offerte di Di Maio. Dire che il Pd è alternativo sia al centrodestra che al M5S è un altro atto del suicidio. C’è un sistema tripolare in Italia senza ballottaggio senza premio di maggioranza, finora, quindi nessuno dei tre poli è alternativo a nulla perché si impone di dare un governo alla nazione. Questa legge senza premio di maggioranza voluta anche dal Pd impone a tutti di allearsi con gli altri schieramenti.

5. Il Pd deve rispondere a Di Maio. C’è chi sostiene come Cacciari e Bettini di sostenere dall’esterno un governo Di Maio. Continuando a contrattare su certi temi. Io non capisco perché si crede che il Pd possa a riuscire a contrattare su tutto con il M5S, come vorrebbe Bettini, ma poi si dice che è escluso un governo politico con il M5S. E’ assurdo, sembra che occorra preservare l’immagine: io mi accordo in tutto e per tutto il programma di governo ma… resto fuori dal governo. E perché? Io credo che occorra che il Pd entri in un governo, con i suoi ministri, insieme al M5S, e che imponga al M5S di non avere come presidente Di Maio. Fatto sta che, come chiede Bettini al suo partito, è necessario che il Pd dialoghi col M5S e valuti quanto meno il sostegno esterno, e che poi si riformi del tutto. Nei giorni scorsi abbiamo assistito alla proposta di Bettini, cui oggi ha risposto Martina. Riporto entrambi gli interventi.

BETTINI

Un organismo politico si giudica non tanto dalle vittorie che ottiene, ma da come reagisce alle sconfitte. Il Pd ha reagito nel modo peggiore alla drammatica sconfitta delle ultime elezioni politiche.

Non c’è stata nessuna vera analisi collegiale e sincera su ciò che è accaduto. Un segretario sconfitto, che ha dato le dimissioni, continua a voler essere il dominus improprio della situazione. Attorno a lui un arcipelago di correnti o mezze correnti agiscono, nella maggior parte dei casi, con superficialità e tatticismo. Nel complesso non si avverte alcun cambio di stile rispetto al passato. Ai civili e sacrosanti rilievi politici avanzati da Orlando, la Paita ha risposto con un attacco personale di inusitata violenza. Non solo non si rimarginano vecchie ferite in uno sforzo unitario: le divisioni, al contrario, si acuiscono ancor di più, in un quadro di complessiva irresponsabilità. Esse, ormai, riguardano le stesse prospettive di fondo del Pd, chiamando in causa con estrema improvvisazione modelli estranei alla sinistra e alla nostra collocazione storica, come nel caso di Macron e del suo movimento.

È del tutto evidente che tale marasma sia destinato a paralizzarci, togliendo ogni possibilità di iniziativa politica. Anche nella discussione sul rapporto con il Movimento 5 stelle, al di là di ogni legittima opinione, emerge la realtà di un Partito democratico che per debolezza non si può permettere alcuna interlocuzione; non perché forte delle sue ragioni, ma perché in questo momento privo di qualsiasi sua ragione unitaria, di qualsiasi forma di sicurezza in sé stesso, di consapevolezza della propria funzione, di fondamento della sua esistenza.

Ribadendo la nostra opposizione, la nostra diversità e alterità, si poteva dire (e si può dire, tanto più in queste ore) ai 5 stelle: noi non entriamo al governo, non vogliamo posti, non possiamo con voi condividere programmi e ministri. Ma se il Presidente della Repubblica ci chiede di aiutare l’avvio di un governo presieduto dalla forza uscita vittoriosa dal confronto elettorale, noi siamo disponibili, ad alcune condizioni. No alla lotta contro l’Europa e all’uscita dall’euro. Sì ad un cambiamento profondo di questa Europa, nel senso di una maggiore unità politica e di una prospettiva economica di giustizia e di investimenti. Sì ad una fiscalità progressiva, che riequilibri la distanza abissale tra i redditi più alti e i profitti (soprattutto finanziari) cresciuti a dismisura negli ultimi anni e i redditi da lavoro, da tempo ridotti e compressi. Sì a forme di sostegno ai giovani per la formazione, per l’inserimento nel mondo del lavoro, per sostenerli quando passano da un lavoro ad un altro. No all’assistenzialismo politicamente furbesco. Sì ad una politica di accoglienza degli stranieri, regolata, umana e sicura. No alla demagogia xenofoba e fascista. Sì ai diritti civili e individuali. No alla demagogia moralista. Sì al riconoscimento della “differenza” di genere. Potrei continuare. Ci siamo capiti: un modo di sfidare il Movimento 5 stelle su politiche utili all’Italia. Difficilmente accettabili. Ma se accettate capaci di neutralizzare gli aspetti più negativi, ed alcuni inquietanti, della loro politica mantenendo una nostra libertà in Parlamento nel giudicare i provvedimenti che via via verrebbero proposti.

L’anatema improduttivo è puro ideologismo, che purtroppo si è impadronito ormai da tempo di tutta la sinistra e anche del renzismo: che non è più l’adesione ad un programma, ad una linea politica ma si è trasformato in una acclamazione fanatica del capo. Togliatti, dopo la caduta del regime di Mussolini seppe rivolgersi anche ai giovani fascisti della Repubblica sociale. Non avevano, essi, lanciato solo invettive e insulti contro la democrazia e la sinistra; avevano combattuto con le armi facendo strage di partigiani e di civili, sotto il comando dei nazisti, invasori stranieri. Eppure Togliatti rivolgendosi a loro disse che molto probabilmente tra il Pci, le forze di liberazione e quella parte di nuova generazione che scelse Salò, vi era stato un “fraintendimento”. Capite? Un “fraintendimento”. Per dire che al di là dell’aberrante pensiero al quale questi giovani avevano aderito, c’erano da indagare e persino da accogliere la parte buona delle loro motivazioni: il perché del loro agire. E tentare una loro inclusione in un nuovo cammino.

Se il Pd non esce dal suo attuale pantano, sarebbe difficile, anzi impossibile, per uno come me riprendere la tessera. Non si aderisce al nulla. Si aderisce ad un organismo che, seppure in modo travagliato, doloroso e non scontato negli esiti, continua a voler combattere, tentando di svolgere una funzione democratica e nazionale. O c’è una svolta (che significa un salto di consapevolezza di tutti) o è meglio prendere atto delle reciproche disaffezioni. Ognuno prenda la sua strada. Dissi in un’intervista di qualche mese fa: se Renzi vuole fare Macron, lo faccia liberamente e serenamente. Nello stesso tempo il campo progressista e della sinistra ritrovi la voglia di riorganizzarsi per una via del tutto nuova, sbaraccando tutte le attuali formazioni politiche che la abitano: verticistiche, autoreferenziali, prive di qualsiasi radicamento nella società. Non vedo perché ci dobbiamo continuare a trattare nel Pd come acerrimi nemici, con punte di vero e proprio odio, tenendoci l’uno con l’altro prigionieri e immobili, quando potremmo benissimo nel futuro allearci in una coalizione democratica di governo avendo sperimentato, ognuno, per vie diverse, le proprie convinzioni e il proprio progetto politico e ideale.

Se nel panorama politico italiano un movimento alla Macron riuscisse a convogliare pezzi importanti dell’elettorato rubandoli anche a Forza Italia, al populismo e alla destra, questo non potrebbe che venire utile alla democrazia italiana. Ed anche a quel lavoro autonomo che la sinistra dovrebbe compiere per raccogliere un enorme elettorato che negli ultimi anni ha deciso di non votare o che ha votato con rabbia contro di noi.

Ma è inevitabile questa fine ingloriosa del Pd? Penso di no. Anche se, francamente, pur essendoci tante energie intellettuali e politiche anche nei gruppi dirigenti, non vedo la voglia dello sforzo comune che sarebbe necessario.

Quale la strada da imboccare? Tre questioni sono a mio avviso preliminari. Recuperare l’empatia perduta verso la gente che soffre e subisce ingiustizie. Se è vero che le distanze tra chi ha e chi non ha, non solo sul piano del reddito, sono tanto aumentate, il nostro compito è accorciarle. La sinistra è questo. Tuttavia è decisivo il modo nel quale ti porgi. Noi anche quando parliamo della povera gente, o dei più deboli, appariamo benevolmente estranei. Non avvertiamo più dall’interno il sentimento di insopportabilità della prepotenza e dell’ingiustizia. Anzi la nostra cifra è il successo, la forza che ti dà la posizione del vincente; l’adesione emotiva verso i talenti che emergono e le personalità che comandano e impongono i costumi e i modi di fare; l’ammirazione per i grandi manager dell’industria e della finanza; la mancanza di sobrietà nelle apparizioni televisive e nei messaggi che si lanciano. Vai a convincere, poi, che come governo hai fatto provvedimenti importanti sul piano sociale! Cosa vera. A nessuno arriverà, però, nell’animo la tua partecipazione alla propria condizione difficile. Ci vorrebbe un collettivo elogio della debolezza. La commovente identificazione con gli ultimi, caratteristica per tanti decenni dei leader della sinistra, dalla quale partire per ricostruire le ragioni di una società in grado di liberare anche le energie di maggiore capacità e in grado di procurare la ricchezza alla nazione.

Poi è indispensabile vedere dentro noi stessi. Che cosa siamo diventati? Di cosa ci occupiamo per il 90% del nostro tempo? Quale utilità concreta rappresentiamo per i cittadini? Diffusamente governiamo meglio dei nostri avversari. C’è una generazione di giovani amministratori per bene, intelligenti e volenterosi. Ma essa è soffocata da un partito che non esiste più come comunità unitaria, seppure plurale. Il grande tema della maggior parte dei nostri dirigenti è come mantenere o conquistare le posizioni istituzionali e di potere che ha conquistato. Occorre azzerare, sottolineo, azzerare, queste superfetazioni che ci impediscono di rivolgerci in modo sincero e convincente agli elettori italiani.

Infine, è urgentemente necessario tornare ad indagare sulla società italiana. È evidente che le sconfitte sono la conseguenza di una mancata lettura di ciò che è cambiato. I conflitti non si definiscono più tra classi omogenee. Sono conflitti di tutti contro tutti. Recuperare la comprensione di dove effettivamente sono i forti e dove sono i deboli è estremamente difficile. Le categorie generiche e del passato non reggono più. E non di rado nascondono conservatorismi, paure, rendite di posizione e di reddito coltivate nel nostro campo.

Quando si è di fronte a fenomeni nuovi di tale dimensione ci sarebbe bisogno di intellettuali e di una avanguardia popolare omogenea e consapevole. Tutto ciò, purtroppo, è progressivamente scomparso. Gli intellettuali sono diventati esperti, al servizio dei governi o del proprio successo scientifico ed editoriale. Il popolo si è atomizzato e, sempre più, appare un nugolo di identità spaesate e sole.

Nonostante tutto ciò, occorre provarci. Ecco cosa farei nelle prossime settimane.

Manterrei gli organismi dirigenti attuali per affrontare il lavoro corrente e di emergenza. Per me Martina va benissimo. Nello stesso tempo metterei in campo nella società un lavoro di almeno nove mesi, prima di arrivare ad un vero congresso che elegga un segretario in grado di prospettare e realizzare una strategia di lungo periodo. Annuncerei ai cittadini italiani che il Pd nella forma attuale non esiste più. Il Pd si trasforma in “luoghi” aperti e democratici che diventano l’elemento costituente di una nuova forma partito. Tali “luoghi”, non i nostri attuali circoli, sono destinati ad una partecipazione democratica dove ognuno può incontrarsi con l’altro, in un rito collettivo destinato a decidere. Non solo, dunque, partecipazione ma sovranità. Farei una campagna di massa, martellante, sul tema che la democrazia italiana tra il web, il populismo e il burocratismo ha eliminato ogni vera possibilità delle persone di discutere, di controllare e di deliberare sulla politica e sul merito dei grandi problemi che ci stanno dinanzi. L’adesione a questi “luoghi” dovrebbe coincidere con un tesseramento aperto, spontaneo e facile da realizzare. Comincerei a sottoporre ai cittadini che si incuriosiscono e si avvicinano a questi luoghi alcuni grandi temi al centro dei prossimi mesi. Vi risparmio l’elenco.

Per la scelta e la direzione di queste campagne di confronto e di deliberazione metterei a capo un comitato misto costituito per il 25% da intellettuali e personalità del mondo della cultura e della scienza, per il 25% da rappresentanti del mondo del lavoro e delle attività produttive, per il 25% da persone indicate dalle più qualificate associazioni impegnate nell’attività di massa, nel volontariato e nel sociale, per il 25% da compagne e compagni indicate dai circoli e dagli organismi dirigenti dell’attuale Pd. La composizione dovrebbe realizzare la parità di genere. Metà donne e metà uomini.

Tali comitati provincia per provincia, città per città o regione per regione dovrebbero svolgere un confronto plurale, che può concludersi con documenti alternativi, da sottoporre ai “luoghi” che via via riusciremo a costituire in ogni parte d’Italia. A questo lavoro dei comitati dovrebbero partecipare le aree politiche e le fondazioni solo in termini di un contributo di idee, di programma e di analisi.

In questi mesi si dovrebbe dunque costituire una platea larga, la più larga possibile, di iscritti. Tale platea dovrebbe eleggere, al prossimo congresso nazionale, il segretario del partito con primarie da svolgere nell’ambito esclusivamente degli aderenti a questo nuovo Pd. Il segretario non deve essere obbligatoriamente la personalità che indichiamo come capo del governo.

Il congresso, nella sua parte più prettamente politica, dovrebbe confrontarsi su “tesi”. Con la possibilità di costruire su singoli emendamenti maggioranze fluide, che si determinano attraverso la volontà delle singole persone e non delle correnti e dei gruppi di potere. Dal congresso nazionale in poi, il Pd coincide con la rete dei luoghi realizzati e vive sul rapporto diretto tra le leadership scelte con le primarie degli iscritti e la nuova democrazia diffusa e deliberativa.

Sono spunti, idee. Ma è chiaro in che direzione penso di debba andare. Si approfondiscano i tecnicismi e le regole. Si mettano in campo altre ipotesi. Ma si apra, comunque, la stagione di un Pd in grado, per il suo stesso modo di esistere, di gettare semi e gli antidoti indispensabili per contrastare l’involuzione drammatica della Repubblica italiana e per rilanciare le ragioni di una sinistra moderna e innovativa.

MARTINA:

A stretto giro la risposta del segretario reggente, Maurizio Martina: “La sconfitta del 4 marzo segna un passaggio radicale che siamo chiamati ad analizzare con grande rigore. E’ doveroso che il nostro confronto sia franco e che ciascuno dica la sua con spirito costruttivo e con lealtà. Fammi dire che tanto più per il momento di difficoltà unico che stiamo vivendo a sinistra, c’è bisogno del contributo di pensiero e azione di tutti e certamente c’è bisogno del tuo apporto”.

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