di Lorenzo Galbiati
In Occidente si raccontava una favola.
C’era una volta Israele, stato che dal 1967 occupa militarmente e con colonie illegali di civili (in numero sempre crescente) la terra dei palestinesi, la Cisgiordania, e c’era una volta la resistenza palestinese, che usava il terrorismo verso gli israeliani, sia all’interno dei confini dello stato ebraico, sia in tutta Europa.
Ora tutto questo non esiste più e in Israele vivono felici e contenti.
Agli occhi dell’Occidente Israele non è più uno stato occupante. E i palestinesi non sono più pericolosi terroristi. Israele è uno stato sicuro, che ha risolto la minaccia terroristica palestinese – e quindi islamica. E non potendo più essere né nazione occupata né terroristi, i palestinesi agli occhi dell’Occidente oggi sono un popolo fantasma. La loro sorte è segnata: non hanno futuro.
Per l’Occidente, nel presente l’unico dato rilevante è la minaccia terroristica islamica (prima Al Qaeda, poi Isis) contro l’Europa – e forse contro gli USA. E l’Europa è indifesa, ostaggio dei terroristi islamici, come al Bataclan.
L’Europa ha preso il posto di Israele, l’Isis quello dei palestinesi.
Israele, lo stato reietto fino all’altro ieri, esulta. Non è più l’anomalia, è la normalità. L’Europa, che criticava tanto l’occupazione israeliana, il razzismo dello stato ebraico, la costruzione del Muro che separa israeliani da palestinesi, si è israelizzata.
Non le resta che seguire le orme di Israele per sconfiggere la minaccia terrorista.
Come ha fatto lo stato ebraico a uscire indenne dall’era del terrorismo palestinese?
Innanzi tutto ha tolto di mezzo la sinistra dal suo arco parlamentare. In Israele la sinistra non esiste più. Se c’è, è camuffata, è una sinistra che scimmiotta la destra. E quindi ha poche chance di durare al potere: la gente preferisce sempre l’originale a chi scopiazza. E infatti dopo presunti governi di sinistra Israele è saldamente nelle mani di una destra razzista di stampo messianico che considera nemici e antisemiti ogni sorta di oppositori, e non prende nemmeno in considerazione la creazione di uno stato per i palestinesi. I territori occupati non esistono, sono semmai occupati dai palestinesi, perché la Destra israeliana li chiama Samaria e Giudea.
Quindi, se l’Europa vuole seguire Israele, si faccia governare da una destra razzista, identitaria, nazionalista, legata alla terra, alla stirpe, e alle tradizioni religiose (interpretate in modo strumentale). Una destra simile è già presente in Europa, quindi siamo a buon punto sotto questo aspetto.
Ma a parte questo, come ha fatto Israele a sconfiggere i terroristi?
Israele ha recluso il loro capo, Arafat, nella sua residenza di Ramallah, che veniva bombardata dall’IDF un giorno sì e l’altro pure. Arafat è morto per cause ancora non del tutte chiarite. Israele si è trovato contro Hamas, una resistenza non più laica bensì religiosa, e ha costruito il Muro, la Barriera di separazione (dell’Apartheid), che ha contributo a fare diminuire in modo notevole gli attacchi di kamikaze palestinesi su suolo israeliano.
Riassumendo.
Uccidere i capi dei terroristi: l’Occidente lo ha fatto con Osama Bin Laden e con altri. E continua a tentare di farlo.
Costruire un Muro: ecco cosa manca all’Occidente.
Il Muro israeliano, criticato dall’Europa e considerato illegale dalla Corte penale dell’Aja, ora è una realtà. Una realtà silenziosa. E chi tace, acconsente. Una realtà invisibile. E chi non vede, passa oltre. Obama, nel suo tour europeo del 2008, quando era candidato presidente, a Berlino disse che occorreva abbattere tutti i muri che dividono popoli e razze: eppure pochi giorni prima era stato in Israele, poco distante dal Muro, e non aveva detto nulla, nemmeno una parola sul Muro dell’apartheid.
Dal 2008 al 2016: da Obama a Salvini e Trump. Salvini in Israele, davanti alla Barriera di separazione, a fine marzo ha twittato che trentamila miliziani di Hamas tengono in ostaggio milioni di persone israeliane. Eppure il Muro l’ha costruito Israele per confinare i palestinesi, controllarne il passaggio e, non ultimo, per impossessarsi di certe zone di terra ben oltre i confini del 1967. Non è Hamas a tenere in ostaggio Israele, è Israele a determinare la vita degli abitanti della Striscia di Gaza controllando il passaggio di viveri, materiali, persone, e gestendo a suo piacimento la fornitura dell’energia elettrica per i gazawi, il cui tenore di vita da molti anni è tenuto al limite della catastrofe umanitaria.
Ma tutto questo non conta oggi agli occhi dell’Occidente.
Il Muro è una misura giusta contro il terrorismo, il Muro determina chi tiene in ostaggio chi: è chi lo costruisce la vittima. Donald Trump contemporaneamente a Salvini ha dichiarato che costruirà un grandissimo muro in America al confine con il Messico. Così eviterà l’immigrazione clandestina dei messicani, che se non genera terrorismo, negli USA genera comunque violenza e disordini. In Europa invece l’immigrazione, clandestina o no, genera anche terrorismo. Ed ecco allora la logica del paradosso di Salvini: meglio trasformare le frontiere in un muro per i musulmani che essere loro ostaggi. Verso i musulmani, Trump è stato chiaro, ha dichiarato (dicembre 2015) che vorrebbe vietare loro l’ingresso negli USA.
Israele è stato profetico. Costruiamo un muro: se non fisico, burocratico, alle frontiere, per impedire il terrorismo islamico a “casa nostra”.
In Italia, però, ci siamo spinti oltre. L’israelizzazione italiana ha superato Israele, che è uno stato “modello”, secondo Renzi. Dopo i fatti di Bruxelles, il Giornale ha titolato: “Cacciamo l’Islam da casa nostra”. Non solo, quindi, erigiamo un muro per impedirgli l’ingresso, ma cacciamo anche quelli che sono già in Italia. Una pulizia etnica, insomma. Che peraltro è considerata un crimine contro l’umanità. In Israele l’idea di cacciare i palestinesi israeliani, cioè i musulmani, è ben presente, come testimoniano vari sondaggi, ma non viene spiattellata sui titoli dei giornali.
Ora Israele guarda con compiacimento ai problemi che ha la vecchia Europa, senza muri, indifesa, ostaggio del terrorismo islamico, o di “bastardi islamici”, come titolava Libero dopo gli attentati in Francia, e come ha ribadito dopo Bruxelles.
Israele oggi è uno stato sicuro. Nessun caso di terrorismo qaedista o dell’Isis al suo interno. Il Muro è servito, ha costituito un’ottima prevenzione verso i terrorismi. E lo stesso dicasi per le misure che Israele adotta negli aeroporti. E infatti, notizia recente, anche in Europa si sta pensando di mettere dei controlli all’entrata degli aeroporti, non solo ai check-in, sulla scia di quel che fa Israele da molti anni. Poi occorrerà potenziare i servizi segreti: a quando un servizio segreto europeo, da molti già caldeggiato, che sia all’altezza del Mossad?
L’israelizzazione dell’Occidente è appena cominciata.
Bravo Lorenzo Galbiati! Mi piace lo stile e il contenuto, ed entrambi mi sono congeniali.
Non fa una piega. Perché quello che serve ora – se serve – è lo sguardo laterale (o di sbieco, come lo chiamo)
D’accordo su tutto, a parte l’aggettivo terrorista, affibbiato ai palestinesi. Li considero semplicemente dei partigiani, combattenti contro uno stato invasore: Chi è il vero terrorista??
Alì cerca di cogliere l’ironia.
Alì, non penso che i palestinesi siano terroristi, intesi come popolo. Ma così vengono o venivano percepiti dai più. Da qui il paragone con l’Isis.
La lotta di liberazione palestinese, poi, può venire considerata “resistenza”, come infatti ho scritto, e la resistenza è fatta dai partigiani. Detto questo, non si può negare che la resistenza armata palestinese (c’è anche quella nonviolenta) ha usato come strumento principe il terrorismo, e ancora adesso Hamas lo usa. Anche i partigiani italiani praticarono il terrorismo in certe circostanze, e Mazzini era considerato il più grande terrorista europeo a metà Ottocento (del resto passava il tempo a progettare insurrezioni armate). Ma nel caso dei partigiani palestinesi, il terrorismo è parte integrante della loro lotta armata perché le circostanze sul campo, l’asimmetria totale che vi è tra i mezzi dell’IDF e quelli dei palestinesi non permette a questi ultimi di confrontarsi alla pari, anzi non permette di confrontarsi proprio, se non coinvolgendo i civili.