Frida Kahlo: corpo ed anima in frantumi #CornicidArtista

di Marta Cutugno

Donna, artista, corpo ed anima in frantumi, Frida Kahlo fu una delle maggiori pittrici del XX secolo. Nacque nel 1907 in una facoltosa famiglia medio – borghese, da padre immigrato ebreo-tedesco e da madre cattolica messicana. Città del Messico ne raccolse i natali e l’intero popolo messicano iniziò presto ad amarla senza riserve, adorandone l’immagine di donna lacerata nel corpo ma elevata nello spirito, come metafora, in carne ed ossa, di un paese la cui memoria e le cui speranze vantavano dolorose radici. Il suo meraviglioso mondo di bambina era allietato dalla presenza di un’ amica immaginaria, una piccola creatura sempre viva nei ricordi per l’allegria, perchè “rideva molto, senza suoni“. Quando nel 1910 scoppiò la rivoluzione, benché molto piccola, Frida capì subito da che parte stare:

“Ricordo che avevo quattro anni all’epoca della “Decena Tragica”. Vidi con i miei occhi la lotta contadina di Zapata contro le forze di Carranza. La mia posizione fu molto chiara. Mia madre, su Calle Allende, aprendo i balconi dava accesso agli Zapatisti di modo che i feriti e gli affamati potevano saltare attraverso i balconi di casa nella sala. Lei li curava e e li sfamava con “gorditas” di mais, l’unico cibo che in quei giorni si potesse reperire a Coyoacán”.

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A soli tredici anni entrò a far parte della gioventù comunista unendosi così alla lotta del popolo “non da operaia ma da artigiana“. Non sapeva ancora che il 17 settembre del 1925 la sua vita avrebbe incontrato la tragedia. Diciottenne liceale con il sogno di diventare medico, si trovava sul bus che, come ogni giorno, la riconduceva a casa. Un impatto fortissimo contro un tram: fratture multiple e diffuse alla clavicola, alle costole, alla spina dorsale ed il corrimano dell’autobus le trapassò il bacino perforando un fianco fino a raggiungere la vagina. Dopo un mese di immobilità ospedaliera dentro un calco di gesso, proseguì la convalescenza presso la Casa Azul che oggi ospita il suo museo.

Frida Kahlo, La colonna rotta
(La columna rota – The broken column )
Olio su tela montato su fibra dura, 40 x 30.7 cm, 1944.
Città del Messico Collezione Dolores Olmedo

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Per scacciare la noia le vennero in soccorso tele, colori ed uno specchio montato sul baldacchino del letto. Compì così i suoi primi passi da artista tramutando la sventura in arte, prima indispensabile cura. Per lei l’isolamento non era cosa nuova: a sei anni aveva trascorso otto mesi di solitudine perché affetta da spina bifida curata per poliomielite e per questo la sua gamba destra era rimasta claudicante. La sua produzione conta innumerevoli autoritratti e non perché Frida fosse ossessionata da se stessa: “Dipingo me stessa perché sono sola. Sono il soggetto che conosco meglio”. La sua condizione le fece, spesso, fervere il desiderio di condurre una vita normale che associava alla “pazzia“. In lei, dolore e voglia di vivere convivevano in parti uguali:

Vorrei poter fare quello che mi gira – dietro la cortina della “Pazzia” così: sistemerei i fiori, tutto il giorno, dipingerei, il dolore, l’amore e la tenerezza, riderei a mio agio della stupidità degli altri e tutti direbbero: poveretta! È pazza”.

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Durante i fermenti politici del 1920, Frida incontrò Diego Rivera e i due si sposarono nel 1929 dopo un anno di frequentazione. Diego, tra i più grandi artisti messicani del suo tempo, era un uomo con il doppio dei suoi anni, poco piacente e con due matrimoni finiti alle spalle. Molto apprezzato dalle donne per carisma ed intelligenza, le fu ripetutamente infedele – disse: “Più l’amavo, più volevo farle del male” – e tra le sue amanti figurò anche la cognata Cristina Kahlo. Frida – che si disse “uccisa dalla vita” – imparò a ricambiare con la stessa moneta, concedendosi numerosi amanti, uomini e donne. Tra questi il fotografo delle celebrità Nicolas Muréi, lo scultore modernista Isamu Naguci, la stella del cabaret Josephine Baker. Nel 1939, dopo aver scoperto il tradimento di Frida con Leon Trotsky, l’ideologo del comunismo, idolatrato e protetto durante l’esilio iniziato in Messico nel 1937, Diego chiese il divorzio. Frida si ritrovò sperduta e fissò il dolore di quel momento nel dipinto “Le due Frida” (173 cm x 173 cm, colore ad olio, 1939).

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La separazione durò soltanto un anno. Nonostante tutto, non riuscirono a stare troppo lontani l’uno dall’altra. Diego non era stato solo il suo più grande amore ma suo primo sostenitore, migliore amico, confidente, mecenate. Il personale surrealismo messicano che Frida trasferì nelle sue tele -riconosciuto alla prima occhiata da André Breton, poeta surrealista suo amante – le consentì di giungere al vasto pubblico negli anni 30/40. Chi ha avuto l’onore e il piacere di frequentarla racconta di una donna travagliata ma felice nonostante le immani sofferenze. “La sua voce, ce lo dicono tutti quelli che l’hanno conosciuta, era profonda, ribelle, rotta da caracajadas, risate viscerali, e da leperadas, parolacce“. I suoi abiti divennero leggenda e, considerati sacri come seconda pelle, coprivano quel corpo martoriato, “oggetto in riparazione“.

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I diari intimi di Frida custodiscono fiumi di parole, scarabocchi involontari, disegni spontanei, lettere intrise di insopportabile afflizione ed esacerbata malinconia. Segni, lettere, forme e colori evocano la sua anima cristallo e roccia insieme e tutti i suoi tormenti: Diego, il desiderio di maternità e i tre aborti, la fertilità, le angustie del corpo e dello spirito attraverso connessioni tra inchiostro e sangue:

Chi direbbe che le macchie vivono e aiutano a vivere? /Inchiostro, sangue, odore, / non so che inchiostro userei / che voglia lasciare la sua impronta in tal forma…”

L’abbraccio amorevole dell’universo, la terra, Diego, io e il signor Xolotl, 1949, 61 cm x 71 cm.

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Nel 1938 venne inaugurata la prima personale a New York e nello stesso periodo alcune sue opere vennero acquistate dal Louvre di Parigi. Picasso ne restò talmente colpito da farle omaggio di un paio di orecchini a forma di mano. Quando giunse il grande successo, le sue condizioni di salute peggiorarono irrimediabilmente, venne operata diverse volte alla spina dorsale e costretta ad indossare un busto. Nel 1953 i suoi più cari amici organizzarono per lei una mostra, la prima nel suo paese: Frida non rinunciò a parteciparvi e giunse in ambulanza, distesa su una lettiga. Ineguagliabile genio, narratrice del dolore, morì l’anno seguente di polmonite.

Bibliografia

“Il diario di Frida Kahlo – Autoritratto intimo” introduzione di Carlos Fuentes, a cura di Sarah M. Lowe, Edizioni Electa

Ruda Jamis “Frida Kahlo, La donna e l’artista, selvaggia, visionaria e seducente”, ed. Tea

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