InVersi Fotografici IX – Peccatori, Santi e Passanti: Cesare Pavese Vs Lee Jeffries

L’inVerso fotografico di oggi accosta l’uno e l’altro. Nel volto degli altri ritroviamo l’uno, il singolo, e gli altri che in lui hanno lasciato una traccia. L’altro è lo specchio dell’uno e gli restituisce giudizi e pregiudizi. L’uno si specchia nell’altro e ne riceve un’immagine collettiva di vizi e mali che ci accomunano rendendoci simili nel dolere l’esistenza. Gli uomini soffrono similmente a prescindere dal tempo e dallo spazio che li accoglie. E questa sofferenza si fa più lieve nello sguardo dell’altro che restituisce il medesimo tormento. Come se soffrire in due dimezzasse il peso del fardello. Nonostante tutto siamo tutti sopravvissuti.

Ogni rado passante ha una faccia e una storia.

(Cesare Pavese)

Vagando per le strade degli Stati Uniti (New York, Miami, Los Angeles, Las Vegas) e dell’Europa (Londra, Parigi e Roma,  dove sono state scattate molte delle immagini più significative della sua ricerca), Jeffries fotografa uomini e donne, variamente esclusi dalla società, realizzando ritratti in bianco e nero con sfondi monocromatici scuri, elaborati con un complesso lavoro su luci e ombre. L’artista si avvicina alle persone, si accosta alla loro sofferenza facendo dei suoi scatti uno specchio della propria compassione, un “urlare l’ingiustizia“, nella speranza di “scattare un fotogramma che abbia alla fine il potere di influenzare, di rendere l’attenzione dello spettatore abbastanza forte per volere conoscere e fare di più.

Ha scritto Giovanni Cozzi, il curatore della mostra tenutasi a Roma nel 2013, che la “Luce” di questi scatti “è la stessa che affiorava dai volti dei peccatori, dei santi, degli uomini e delle donne del popolo dipinti o scolpiti nel marmo ai piedi della Divinità, sia essa Cristo o Madonna, da Caravaggio, Leonardo, Michelangelo, Bernini, e nelle opere più grandi dell’arte rinascimentale e barocca europea. Più che di fotografia, è di Arte Sacra che si tratta”.

Ed è questo, ciò che resta della divina tragedia di Jeffries: il Sacro, il senso vero dell’essere Umano, troppo Umano, nella discesa agli Inferi e nella risalita al Cielo.

Mi è venuto in mente Pavese per il suo cantare la solitudine e la fragilità dell’uomo, più volte paragonato alla terra brulla e desolata (Vivi come vive una pietra, come la terra dura – Sei terra che dolora e che tace) solcata da crepe e inaridita come un volto piegato dal sole e dagli stenti. L’io narrante cerca la chiave dell’altro, assente e distante.

« La poesia partecipa di ogni cosa proibita dalla coscienza – ebbrezza, amore – passione, peccato – ma tutto riscatta con la sua esigenza contemplativa, cioè conoscitiva »

Poesie dell’incomunicabilità e del vuoto lasciato dall’abbandono. Così “lo sguardo dell’uomo non muta nell’ombra” e ci rende distanti, barricati nella propria solitudine (O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla).

 

Lee-Jeffries-Homeless-620x372

Anche tu sei l’amore

Anche tu sei l’amore.
Sei di sangue e di terra
come gli altri. Cammini
come chi non si stacca
dalla porta di casa.
Guardi come chi attende
e non vede. Sei terra
che dolora e che tace.
Hai sussulti e stanchezze,
hai parole – cammini
in attesa. L’amore
è il tuo sangue – non altro.

Due

Uomo e donna si guardano supini sul letto:
i due corpi si stendono grandi e spossati.
L’uomo è immobile, solo la donna respira più a lungo
e ne palpita il molle costato. Le gambe distese
sono scarne e nodose, nell’uomo. Il bisbiglio
della strada coperta di sole è alle imposte.

L’aria pesa impalpabile nella grave penombra
e raggela le gocciole di vivo sudore
sulle labbra. Gli sguardi delle teste accostate
sono uguali, ma più non ritrovano i corpi
come prima abbracciati. Si sfiorano appena.

Muove un poco le labbra la donna, che tace.
Il respiro che gonfia il costato si ferma
a uno sguardo più lungo dell’uomo. La donna
volge il viso accostandogli la bocca alla bocca.
Ma lo sguardo dell’uomo non muta nell’ombra.

Gravi e immobili pesano gli occhi negli occhi
al tepore dell’alito che ravviva il sudore,
desolati. La donna non muove il suo corpo
molle e vivo. La bocca dell’uomo s’accosta.
Ma l’immobile sguardo non muta nell’ombra.

 

5517652504_6f6bc92f1b

 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

 

article-2608543-1D2A4DF000000578-993_964x998

 

Due sigarette

Ogni notte è la liberazione. Si guarda i riflessi
dell’asfalto sui corsi che si aprono lucidi al vento.
Ogni rado passante ha una faccia e una storia.
Ma a quest’ora non c’è più stanchezza: i lampioni a migliaia
sono tutti per chi si sofferma a sfregare un cerino.
La fiammella si spegne sul volto alla donna
che mi ha chiesto un cerino. Si spegne nel vento
e la donna delusa ne chiede un secondo
che si spegne: la donna ora ride sommessa.
Qui possiamo parlare a voce alta e gridare,
chè nessuno ci sente. Leviamo gli sguardi
alle tante finestre – occhi spenti che dormono
e attendiamo. La donna si stringe le spalle
e si lagna che ha perso la sciarpa a colori
che la notte faceva da stufa. Ma basta appoggiarci
contro l’angolo e il vento non è più che un soffio.
Sull’asfalto consunto c’è già un mozzicone.
Questa sciarpa veniva da Rio, ma dice la donna
che è contenta d’averla perduta, perchè mi ha incontrato.
Se la sciarpa veniva da Rio, è passata di notte
sull’oceano inondato di luce dal gran transatlantico.
Certo, notti di vento. E’ il regalo di un suo marinaio.
Non c’è più il marinaio. La donna bisbiglia
che, se salgo con lei, me ne mostra il ritratto
ricciolino e abbronzato. Viaggiava su sporchi vapori
e puliva le macchine: io sono più bello.
Sull’asfalto c’è due mozziconi. Guardiamo nel cielo:
la finestra là in alto – mi addita la donna – la nostra.
Ma lassù non c’è stufa. La notte, i vapori sperduti
hanno pochi fanali o soltanto le stelle.
Traversiamo l’asfalto a braccetto, giocando a scaldarci.

*
E allora noi vili
che amavamo la sera
bisbigliante, le case,
i sentieri sul fiume,
le luci rosse e sporche
di quei luoghi, il dolore
addolcito e taciuto ‒
noi strappammo le mani
dalla viva catena
e tacemmo, ma il cuore
ci sussultò di sangue,
e non fu piú dolcezza,
non fu piú abbandonarsi
al sentiero sul fiume ‒
‒ non piú servi, sapemmo
di essere soli e vivi.
(23 novembre ’45)

*

Sei la terra e la morte.
La tua stagione è il buio
e il silenzio. Non vive
cosa che piú di te
sia remota dall’alba.

Quando sembri destarti
sei soltanto dolore,
l’hai negli occhi e nel sangue
ma tu non senti. Vivi
come vive una pietra,
come la terra dura.
E ti vestono sogni
movimenti singulti
che tu ignori. Il dolore
come l’acqua di un lago
trepida e ti circonda.
Sono cerchi sull’acqua.
Tu li lasci svanire.
Sei la terra e la morte.
(3 dicembre ’45)

*

Che diremo stanotte all’amico che dorme?

La parola più tenue ci sale alle labbra
dalla pena più atroce. Guarderemo l’amico,
le sue inutili labbra che non dicono nulla,
parleremo sommesso.

La notte avrà il volto
dell’antico dolore che riemerge ogni sera
impassibile e vivo. Il remoto silenzio
soffrirà come un’anima, muto, nel buio.

Parleremo alla notte che fiata sommessa.

Udiremo gli istanti stillare nel buio
al di là delle cose, nell’ansia dell’alba,
che verrà d’improvviso incidendo le cose
contro il morto silenzio. L’inutile luce
svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
taceranno. E le cose parleranno sommesso.

lee-jeffries-1140x688

 


 

Biografie

Cesare Pavese nacque a Santo Stefano Belbo (Cuneo) nel 1908, da una famiglia piccolo borghese di estrazione contadina; seguì gli studi a Torino gli studi liceali ed ebbe come professore l’antifascista Augusto Monti. Laureato, cominciò a lavorare come traduttore scrittori americani (Lewis, Melvile, Anderson) e diventò direttore della rivista Cultura.  Arrestato nel 1935 con l’accusa di attività antifascista viene mandato al confino a Brancaleone Calabro dove soggiorna per un anno. Sono questi i mesi in cui maturano le prime pagine de Il mestiere di vivere e l’intera esperienza verrà poi trasposta nel racconto lungo Il carcere. Nel 1936 vedono poi la pubblicazione, grazie alle edizioni della prestigiosa rivista “Solaria”, le poesie di Lavorare stanca pur colpite pesantemente dalla censura.  È del 1941 la pubblicazione del suo primo romanzo, Paesi tuoi, e dell’anno successivo La spiaggia.
Negli anni del dopoguerra si dedica a un’intensa attività letteraria pubblicando romanzi e saggi sul rapporto tra letteratura e società. A Lavorare stanca seguì una seconda edizione accresciuta (Einaudi, 1943). Postuma, giunse la raccolta Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (1951); a Viareggio viene premiato nel 1947 Il compagno, e diviene promotore di una collana di antropologia culturale per Einaudi, in collaborazione con lo studioso Ernesto De Martino. Gode di un riscontro positivissimo del pubblico e della critica Prima che il gallo canti, 1949, Il carcere e La casa in collina. Del 1950 sono invece La bella estate e La luna e i falò. Nel 1950 ottenne il premio Strega. Pavese morì suicida a Torino nel 1950.

Lee Jeffries è un fotografo nato a Bolton nel Regno Unito, vive a Manchester. Ma “vive” anche a Londra, Parigi, Las Vegas, New York, Roma. Ha un fratello gemello. Maratoneta e appassionato ciclista. Con la contabilità paga le bollette e i fondi dei progetti fotografici. Tutto è cominciato nel 2008 quando, ancora interessato alla fotografia sportiva, si trova a Londra per una maratona, e passeggiando per le vie della città decide di scattare qualche foto. Nei pressi di Leicester Square si imbatte in una giovane diciottenne senza fissa dimora. La passione di L.J. è diventata la sua missione: usa le sue fotografie per far conoscere questa delicata realtà riuscendo a conquistare testate importanti come l’inglese “The Indipendent”, o raccogliendo fondi attraverso la vincita di concorsi artistici (come il “Photographer of the Year Award” della rivista Digital Camera).

Homeless

Michele Sciancalepore incontra Lee Jeffries per commentare alcuni dei suoi scatti in bianco e nero di homeless, raccolti vagando per le vie di Londra, Parigi, Roma, New York, Miami, Los Angeles o Las Vegas.

Rispondi