di Diego Conticello
I
nei tre giorni di sola grazia che seguirono
furono scavate caverne per noi
e nessuno che volesse entrare
nella stanza del nostro motel
nessuno che minacciasse
la nostra insicura costanza
(sebbene non smettessimo di temerlo)
IV
c’è una voce che non smette
non frena l’imperversione della caccia
avanza insensatamente alta
come l’acrostolio di una nave in secca
si aggira tra gli hoodoos del Bryce
quasi cercandosi nelle stasi di una necropoli
subito celebra di me
pasqua feroce
VI
ἐκένωσε ὁ οῤανός
e la mano che rantola sull’autoradio
cascàmi di pneumatici e pitture nere
sotto le froge dilatate di una mesa
e la strada
miglio per miglio trascurata
tutto ritraevamo e tutto si ritraeva
ciò che lasciavamo indietro
ci dava per conquistati
X
“vi prego rimanete nell’ombra”
urla grassa sulle cosce e disperata
dentro la forra modanata
dell’Antelope
mentre lancia manciate di sabbia
profilando le filze di luce
“per rapire la luce che trapela
con le vostre compatte cinesi
per sortire un effetto migliore
perfavore rimanete nell’ombra”
Si avverte, in queste poesie tratte dall’ultimo volumetto di Bernardo Pacini, un senso di svuotamento e insieme di catarsi derivati da uno scavo figurale a sua volta scaturente da un attento sguardo riflessivo indirizzato – per tramite figurativo dei “vuoti” fisici – alla medesima interiorità del soggetto il quale, divenuto ricevente, può tralasciare la propria spinta egoica e defilarsi in una marcata quanto necessaria mise en abîme che esalti la luce, leggasi bellezza anche e soprattutto simbolica, emanata dal paesaggio, dalla realtà circostante.
Motivo conduttore diviene pertanto questa moderna e umanissima kenosis, declinata da quelli che Cattafi avrebbe definito ‘oggetti di natura’ (si noti la valenza di lemmi quali: caverna, necropoli, froge, forra, filze) sino a provocare il parziale o quasi totale eclissarsi dell’io in un sapienziale correlativo soggettivo al servizio dei circostanti dati fisici i quali, spinti da tale innalzamento, assurgono a mappe della mancanza, ad allegorie dell’abisso che avvolge quel pronome così “luridamente” e “dolorosamente” gaddiano (curiosa ma non diretta la somiglianza tra il titolo del libretto di Bernardo Pacini e un volume di interviste al romanziere de La cognizione del dolore, intitolato appunto: Per favore, mi lasci nell’ombra).
Questa messa in ombra del soggetto, che si trasforma metonimicamente in puro sguardo contemplativo, descrivente da una zona di buio quanto accade di fronte alla bellezza sublime e terribile che è la natura americana (si noti l’accenno al famoso canyon Antelope dei Navajo, nell’attuale Arizona), spalanca la metafora del certosino e straniante svuotamento esistenziale cui esso è sottoposto, restituendoci non solo e non soltanto porzioni di senso ma strappi di vita, quell’e-sistere che è luogo-non luogo di puro “sacrificio” da dove contemplare una luce risolutiva, constatandone – mai rassegnati – l’imprendibilità.
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Bernardo Pacini (1987), vive a Firenze. Ha pubblicato Cos’è il rosso (Firenze, Edizioni della Meridiana, 2013; con una introduzione di Gianfranco Lauretano) con cui ha vinto, tra gli altri, il premio “Sertoli Salis Opera Prima”, il premio “Antica Badia di San Savino” e il premio “Beppe Manfredi”. È stato finalista del premio “Ceppo under 35 – Luca Giachi”. È inoltre incluso nell’antologia La consolazione della poesia, uscita per Ianieri Edizioni nel 2015. Attualmente collabora con le riviste on-line «Quid Culturae», «Atelier» e «ClanDestino». La sezione qui presentata è parte della suite Per favore rimanete nell’ombra pubblicato nel maggio 2015 per Origini edizioni d’arte, Livorno.