CON IDENTICA MANO – poesie di Antonia Gaita

copertina Gaita piccola

Antonia Gaita, Con identica mano, Book Editore, 2011

nota di Daniela Pericone

È il segno di un rinnovato stupore quello che illumina la raccolta Con identica mano di Antonia Gaita, conferma di un dire poetico nutrito al fuoco vivo, mai ustorio, di un colloquio ininterrotto tra sensi e ragione. Con una tonalità riflessiva e venata di un pacato disincanto la sua poesia ha il passo discreto ma preciso di un continuo disvelare il senso dell’esistere, quale si annida negli oggetti e nelle forme del quotidiano così come negli spazi siderali e nel moto dei pianeti. Tutto avviene al fluire di un “tempo mansueto”, sotto un sole che si posa sul variabile mondo “con identica mano”, richiamo speculare solo in parte alla sapienza millenaria di Qohélet e del suo “nulla di nuovo sotto il sole”. Al lavorio del Tempo muta invece l’uomo e l’universo in cui si trova ad agire, là dove persino “le pietre di casa / … / deluse d’abbandoni / e ritardati ritorni /apprendono l’arte di mutare”. Ma non cede allo sconforto la visione del poeta, che si offre come “dorso di canna / all’urto della gioia”. La parola e la sua musica sono il suo talento, trucco da illusionista da giocare con misura, senza indulgere agli impeti del cuore, perché “accade al verso come all’anima / si salva per vie strette”.

 

VECCHIO AUTUNNO

Contro il parere di molti
nulla ho da segnalare. L’autunno
è ancora nelle foglie accartocciate
che il vento contende alla ramazza.
In questo sole un po’ lunatico
che scotta come febbre o finge
un cerchio bianco di satellite.
Con identica mano
toccava i pruni dell’orto
e illividiva la sera nel tempo
dei giochi di cortile.
Conforta riconoscerne il vólto
potergli dire come a un vecchio amico
che il tempo per lui non è passato.

 

FIN CHE DURANO STUPORI

Ora che il vento rade l’orlo dei colli
e lucida la sera equinoziale
sei docile preda. Dorso di canna
all’urto della gioia. I gesti inavvertiti
rispondono a richiami quiescenti:
la sfera del tarassaco staccata dal ciglio
si spiuma nel respiro
come srotola fumi l’ombra viola dei tetti.

E scatta una trappola d’inganni
ai dischi cervicali. Il rachide disarma
morde a segmenti sommessi.
Anche il Tempo è mansueto. Senza voglia d’attacco
allunga fiacca l’unghia irrispettosa.

 

APPUNTI

Su come si orchestrano i suoni
non esistono manuali consultabili.
Troppo dure le dentali. E qui l’articolo
rompe il fluire delle liquide.
Si allarga il senso di essere soli.
Forse è bene non indulgere
all’urto impositivo
della frase nominale.
Meglio la parola stesa
lo stilema leggero
col volto della casualità.
E giocare sottotraccia
imporre il silenzio alle sirene
costringere a effetti sorprendenti
parole che non sorprendono.
Accade al verso come all’anima
si salva per vie strette.

 

CONFESSIONE

Come si squarcia dopo un volo vano
il pellicano di Lamartine
il poeta si offre a cuore aperto.
Non io che chiedo alle parole
trucchi illusionisti.
Mi diverte il gioco degli ossimori
dei fonemi scambiati
rimossi riproposti.
L’uso avveduto dello STOP.
Centra il bersaglio tacere al punto giusto
porre la chiusa agl’impeti di piena.
Mi appaga l’innocenza spudorata
del testo ben riuscito.
Un abile tessuto sapiente d’artifici
l’erompere illusorio di sorgiva.

Secondo una leggenda, ripresa da Lamartine in una sua poesia, se il pellicano non trova cibo per i suoi piccoli si squarcia il petto perché possano mangiargli il cuore. 

 

DISCREZIONE

Dovrei essere l’altro
perché non risulti inutile e sciocca
la mia parola. O peggio sentenziosa.
Non varco recinzioni
né forzo specole gelose
mi tengo discreta al di qua.
Mai per mossa maldestra
ho incrinato cristalli.
So quanti ignorano il danno
d’insegnare le cose che non sanno.

 

AUTUNNO

Non occorre far visita
agli amici di campagna
che ci portino lungo le carraie
perché s’accenda la vigna rossa
negli archivi ordinati della memoria
e brilli sull’aia il mezzogiorno chiaro.
Ma un pensiero impigrito
(complici forse i vasti silenzi
e i tonfi rari sull’erba)
addebita tristezze gratuite
alla dolcezza quieta
di questo tempo penultimo
lo inscrive d’ufficio
nel cerchio della malinconia.
L’ombra si posa, se mai ci sovrasti una nube
sull’intera giostra
delle nostre Rivoluzioni
che ha scarsa conoscenza d come si proceda
nella successione dei numeri
se sbaglia i calcoli entro il centinaio.

 

RIFIUTO

Astratta. Non persuasiva
o noi non adeguati,
la Promessa è un appiglio cedevole.
L’Orlo fa paura. Ognuno arretra
s’appoggia a distanze anagrafiche
conduce sguardi che svagano
dalla cresta del cratere.
Il batterio s’affianca solidale.
Alla forza coesiva che contrasta la Spinta
allinea scaltrezze di teatrante.

 

QUALE COERENZA

Il moto obliquo di una sfera
un punto casuale del Tempo
e fu decisa la nostra collocazione.
Imparammo la fatica del passo
e del respiro e un nodo ci avvinse
con forza gravitazionale
a questa dimora terracquea
non chiesta, assegnata in sorte. Acqua e zolla
che poi ci dissero di non amare.
Di avere pronte radici, persuase
all’espianto dal suo grembo.

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Antonia Gaita vive a Parma, dove è nata nel 1935. Ha insegnato nella scuola elementare del Convitto Nazionale “Maria Luigia” di Parma. Sue poesie figurano in antologie poetiche e nel volume a due voci (con Paola Càsoli) Chiarori (Parma, 1997). Con l’editore Battei ha pubblicato i volumi: I giorni che abbiamo attraversato (1989); La casa del diavolo e altri racconti (1992); Il piacere di scrivere (1998); Il piacere di leggere (1999).
Con Book Editore ha pubblicato le raccolte di poesie Un punto d’orizzonte (2005, nota di Alberto Bevilacqua), Transito di luna (2008, prefazione di Alessandro Quasimodo), Con identica mano (2011, nota di Daniela Pericone) e A fiamma raccolta (2014, nota di Alessandro Quasimodo).

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