Doppia presentazione di libri a Messina con al centro il tema della scuola e della formazione delle nuove generazioni. Il tutto con particolare attenzione alle zone a rischio, lì dove lo Stato e l’istruzione sono decisivi per vincere la sfida educativa contro la criminalità e la dispersione scolastica.
Venerdì 3 dicembre, alle 18:00, alla Feltrinelli Point, in via Ghibellina n. 32, sono stati presentati il libro ““La vita insegna. Dalla Sicilia al ministero il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto” di Lucia Azzolina, Baldini+Castoldi, con prefazione di Liliana Segre, e il romanzo ““Duecento giorni di tempesta” di Simona Moraci (collana “Il portico”, pagine 304, € 16,90, marlineditore.it), Marlin editore, casa editrice fondata da Tommaso e Sante Avagliano, III Premio “L’Iguana Anna Maria Ortese”. Un incontro con le autrici a cura del giornalista Marco Olivieri, dopo i saluti del libraio Salvo Trimarchi e dell’editore di Marlin Sante Avagliano, e con letture dell’attore Stefano Cutrupi.
Intervista con Lucia Azzolina: il libro “La vita insegna”
Lucia Azzolina si racconta. “La vita insegna. Dalla Sicilia al ministero il viaggio di una donna che alla scuola deve tutto”, Baldini+Castoldi, con prefazione di Liliana Segre, è appena approdato in libreria. La parlamentare 5Stelle si difende dagli attacchi politici e rivendica con orgoglio la sua azione, partendo dalle sue origini e dal suo percorso umano e politico.
Onorevole Azzolina, la sua vita e la scuola, in un montaggio parallelo in forma di scrittura, si alternano nel libro “La vita insegna”: dall’esperienza come docente fino a quella di sottosegretaria e ministra. Per lei che cosa è la scuola? Una vocazione, un destino?
«Un modo di vivere, prima di tutto. A scuola si impara la convivenza civile, l’impegno, l’inclusione, il rispetto delle regole. Se posso, con un gioco di parole rispetto al titolo del mio libro, le dico che la scuola ti insegna a vivere.»
Perché raccontarsi in un libro?
«La scuola, sotto il mio mandato da ministra, è tornata al centro del dibattito. E lì deve restare. Il libro nasce per raccontare il primo anno di pandemia e per capire come uscirne con scuole migliori di prima. Dopo anni di tagli selvaggi il Paese deve tornare ad investire. Le famiglie questo lo sanno, la politica ancora non l’ha capito. I cenni autobiografici nel libro sono funzionali a questo racconto. Perché parlare della mia infanzia è parlare di come la scuola possa essere un ascensore sociale.»
Che cosa rappresenta per lei Liliana Segre, che firma la prefazione?
«Un grande onore prima di tutto. Ho conosciuto Liliana prima di diventare ministra e l’ho subito amata. Ogni commento è superfluo rispetto allo spessore della persona. Quello che posso ricordare è che Liliana ha dedicato una vita intera ai ragazzi, incontrandone migliaia nelle scuole per raccontare il suo viaggio all’inferno. Le sue parole di umanità hanno cresciuto una generazione.»
Nel suo libro si sottolinea l’importanza che la scuola abbatta le barriere sociali ed economiche che dividono gli alunni, partendo dalla sua esperienza e dalle sue origini. Che cosa deve avvenire perché la scuola diventi strumento reale d’integrazione nei confronti di chi ha di meno?
«Per me è stato così. Una condizione umile di partenza non mi ha impedito di costruirmi un futuro. Tutto grazie alla scuola. Questo è il senso di ascensore sociale. Ci sono territori in questo Paese in cui bambini riescono a fare un pasto completo solo se vanno a scuola. La politica in primis deve averne consapevolezza. La ricetta è una e una soltanto: investire. Fino a poco tempo fa, al contrario, la scuola veniva usata come bancomat.»
Nella parte finale, lei delinea i cambiamenti necessari in campo scolastico per il futuro. Li vuole sintetizzare?
«La premessa è che le risorse del Pnrr aprono davvero a una possibilità di grande rinnovamento. Sono orgogliosa di aver scritto il progetto Istruzione finanziato dalla Ue. Riassumo così gli interventi principali da mettere in campo: servono più asili; serve più digitale in classe, anche per parlare lo stesso linguaggio dei ragazzi; formazione costante dei docenti che vanno selezionati per merito; middle management, cioè nuove figure professionali perché i docenti oggi hanno troppi impegni e invece devono dedicarsi solo alla didattica; investire sulle scuole professionali e gli Its, in grado di avvicinare gli studenti al mondo del lavoro; potenziare l’insegnamento delle materie Stem, cioè le discipline scientifiche; e poi l’edilizi: servono più scuole, più accoglienti e più sicure.»
Lei ha la scorta: una donna in politica subisce spesso attacchi violenti e sessisti. Cambiamento giuridico, sociale e culturale devono procedere insieme?
«Nel libro parlo di un Paese avvelenato, per colpa di una parte politica che ha usato la pandemia – e la scuola in particolare – solo per fare consenso, e anche a causa di una deriva scandalistica di alcuni media. In questo clima essere donna è ancora più complicato. Io ho subito attacchi fin dal principio solo per il colore del mio rossetto. Da quel giorno ho deciso di non toglierlo più. C’è una proposta di legge a cui ho lavorato sull’educazione all’affettività nelle scuole. Ma le leggi da sole non bastano, serve un rinnovamento culturale che parta proprio dalla scuola. E poi c’è solo una cosa da fare di fronte ad un insulto e un’aggressione: denunciare.»
Di recente ha presentato in streaming il romanzo “Duecento giorni di tempesta” di Simona Moraci, Marlin editore, dove si affronta il tema dell’insegnamento nelle zone a rischio criminalità. Che cosa l’ha colpita di questo libro?
«La storia così vera, anche così cruda, dei tre protagonisti. La violenza che si trasforma in ricchezza emotiva, la scuola come salvezza dei più fragili. E poi mi è piaciuto molto il modo non consueto in cui è dipinto l’amore. Ho apprezzato tanto quel libro.»
In una o due righe, chi è Lucia Azzolina?
«Una donna semplice e riflessiva. Sincera, e questo in politica spesso è un limite. Fiera come la sua terra d’origine, la Sicilia. Umile, perché ho sempre cercato di mantenere l’equilibrio.»
Marco Olivieri
Il romanzo “Duecento giorni di tempesta”: intervista con Simona Moraci
“Duecento giorni di tempesta” scolastica, amorosa, esistenziale, tra violenza e possibile riscatto. In primo piano la storia della giovane insegnante Sonia, catapultata in un quartiere a rischio di una città di mare siciliana in mano alla criminalità. Una “terra straniera” ma anche una sfida per Sonia, in fuga dal passato. La scuola è fatta da classi “esplosive”, così chiamate dai professori per il livello disturbato e disfunzionale dei comportamenti degli alunni. Da qui una narrazione incalzante che lascia spazio alla capacità da parte dei docenti di entrare in relazione con i ragazzi e anche a un complicato triangolo amoroso che coinvolge la protagonista con due suoi colleghi: Stefano e Andrea.
“Duecento giorni di tempesta”, nelle librerie e store on line, è il terzo romanzo di Simona Moraci, messinese, giornalista e insegnante, ed è pubblicato da Marlin editore (collana “Il portico”, pagine 304, € 16,90, marlineditore.it), la casa editrice fondata da Tommaso e Sante Avagliano.
Simona Moraci, come nasce questo suo terzo romanzo?
«Questo libro deriva dalla mia esperienza maturata negli ultimi anni sulla “frontiera”, nelle scuole di quartieri a rischio. È come un universo a sé stante: tutti i sentimenti, le emozioni sono amplificati e occorre trovare un equilibrio “nuovo”. La mia passione per la scrittura e il mio amore per l’insegnamento mi hanno spinto a raccontare di rabbia e innocenza, di pianto e risate, di questi bambini straordinari e fuori da ogni schema. In particolare, l’affetto nei confronti dei ragazzi è stato uno stimolo potente. L’amore è l’unica via per uscire dal buio».
Simona Moraci
Come si è evoluta dentro di lei la voce interiore della protagonista, Sonia?
«La voce di Sonia è quella del mio cuore. Il suo viaggio di donna in cerca di sé è anche il mio. L’ho ascoltata nelle fughe, nei silenzi, nei sussurri dei suoi fantasmi, nella ricerca dell’altro. In questo percorso di crescita che ho vissuto assieme a lei».
Stefano e Andrea sono due personaggi non meno importanti, in un triangolo sentimentale…
«Andrea e Stefano sono differenti, quanto indissolubilmente legati. Andrea ha un passato difficile ma un animo immenso. Stefano è come lo Scirocco: passa attraverso e non se ne cura. Fugge e ritorna. Sonia, in un contesto difficile che la lascia senza fiato, con ancora addosso le ferite del passato, trova questi due uomini pronti a aiutarla e ne rimane affascinata.»
Educazione sentimentale ed emergenza scolastica in periferia: come si intrecciano i due temi?
«Sono complementari. Questa scuola fuori da ogni schema è un luogo in cui ogni persona cerca attenzione. I bambini chiedono amore, nei banchi scagliati o nei sorrisi timidi, gli insegnanti cercano di stare loro accanto, come possono. I docenti sono in cerca di un ruolo ma anche di sé: credo che l’amore sia il legame e l’intreccio alla base del romanzo.»
Che cosa significa per lei la scuola in un luogo periferico, da scrittrice e insegnante?
«La scuola è una parte importante della mia vita, ovunque si trovi. È la mia forza: stare con i ragazzi è straordinario. Imparo da loro ogni giorno. Quando ho cominciato a insegnare nelle scuole a rischio è cambiata tutta la mia percezione della realtà: dopo lo smarrimento iniziale, ho compreso che una strada per arrivare al cuore dei ragazzi si trova sempre. Come insegnante la percorro ogni giorno. Come scrittrice desidero raccontarla.»
Modelli nella scrittura?
«Più che modelli, parlerei di suggestioni. Sono cresciuta, grazie a mia sorella, tra gli spettri di Emily Brontë, il fascino di Oscar Wilde e l’orgoglio di Jane Austen. Amo Dante, Leopardi e Pascoli e mi piace perdermi tra le maschere di Pirandello. Leggere è alla base di ogni scrittura.»
Sonia ripercorre con dolore il proprio passato. Quanto è importante la scrittura per fare i conti con il buio e le zone d’ombra?
«La scrittura è catartica. In questo senso, attraverso Sonia, anch’io ho affrontato i miei fantasmi, le paure, le ferite antiche. Ma come lei mi sono innamorata di Stefano, Andrea, della vita e ho affrontato le mie zone d’ombra. Per uscire dal buio, per emozionarmi, ancora, al tocco del sole e al sospiro del vento.»
Questo libro è dedicato a sua figlia e ai suoi alunni: che cosa vorrebbe trasmettere alle nuove generazioni?
«A mia figlia, ai miei studenti ho provato a raccontare un po’ di me, come donna, non solo come madre o insegnante. Ho cercato di mostrare loro come vedo il mondo che, rimane, un posto meraviglioso malgrado tutte le difficoltà quotidiane. Vorrei che si prendessero cura di loro e dei loro sogni: forse il futuro rimane una terra straniera, ma ognuno di noi può scegliere di essere felice.»
Marco Olivieri