di Ilaria Grasso
Questi versi di Bajec rappresentano e incarnano con sfrontato e doveroso sarcasmo tutta la rabbia che manca al corpo collettivo oggi. O meglio è una forte denuncia su come la rabbia è come una bomba disinnescata che non sa più detonare al cuore le questioni. I diritti ci hanno dato la capacità di custodirli ma non la utilizziamo a regola d’arte. Nei populismi, nei fanatismi vari e nell’idolatria abbiamo perso la cognizione che a ogni diritto corrisponda un dovere civico e civile perché reputiamo il dovere come un limite o come un ricatto a seguito del “favore” ricevuto. Questo è il vento sotterraneo che Bajec sembra intercettare. Come dargli torto? Non abbiamo più la cognizione dello spazio pubblico, del bene comune perché totalmente presi dall’ego e da una nuova forma di istinto di sopravvivenza. Ci soverchiamo provando a difenderci con le unghie e con i denti (quando li abbiamo come leggiamo sotteso nei versi di questa poesia). Si sente parlare tanto in giro di innovazione o allargando ancora più il senso di evoluzione o di estinzione. Stiamo andando nella giusta direzione? I versi in conclusione ci interrogano feroci. Dovremmo partire da ciò che ci ha fatto fallire, elaborare lutti e mancanze, far saltare processi di rimozione e decostruire fino a giungere al rimosso. Un rimosso individuale e collettivo. Ce la faremo? (uso un “noi” ma siamo sicuri che esista ancora un “noi” politicamente efficace?) Esiste ancora un concetto di classe tale da generare un movimento nel sentire comune fino a farsi popolo?
INVESTIREMO LO SPAZIO PUBBLICO
che non abbiamo mai posseduto
è bella la forza del diritto
non il suo limite – un’impostura
prendiamocela coi loro simboli
lasciamoli al buio decadenti
Se moriamo perderanno i denti
come noi gli sdentati gli ignobili
E una volta passata la soglia vergognosa
eccola la lezione di Storia
chi lavora ha ancora una classe
ma l’interesse comune la concerne?
Da La collaborazione – MarcosYMarcos