Autori estinti, n. 11: Johannes Bobrowski (seconda e ultima parte)

Leggo sulla Treccani on line queste poche parole su Bobrowski:

“Bobrowskibobròfski›, Johannes. – Poeta tedesco (Tilsit 1917Berlino 1965). Legato alla natura e alla terra, innova radicalmente nella ricca tradizione tedesca, in quanto la sua terra è quella ormai solo ideale Sarmazia che, al di là di confini linguistici più ancora che politici ormai consolidatisi, concilia in sé cultura tedesca e cultura slava, provocando una poesia tutta di memoria dai toni insieme lineari e singolarissimi. Tappe fondamentali della sua breve ma intensa esperienza poetica le raccolte Sarmatische Zeit (1961, pubblicata dapprima in Germania Occidentale, anche se B. viveva e operava in Germania Orientale),Schattenland, Ströme (1962), Wetterzeichen (post., 1966). Inferiore la sua opera di romanziere, ancora sulla stessa linea di ispirazione: Levins Mühle (1964) e Litauische Claviere (post., 1966).”

Della sua poesia abbiamo già discusso. Del fatto che sia morto troppo presto, quando stava cominciando ad aver successo, pure. Parliamo di un uomo che ha fatto la guerra, ed è rimasto 4 anni prigioniero dei russi. Eppure non c’è questa eco biografica nella sua produzione. C’è, invece il riverbero di una terra ideale, la Sarmazia, dove tedeschi, polacchi e lituani vivevano fianco a fianco.

Di questo parla Il Mulino di Levin, anno 1964, tradotto da Garzanti nel 1968. Ho la fortuna di avere una collana della Garzanti di quegli anni, con il volume in questione. La Treccani dice che la sua opera di romanziere è inferiore rispetto a quella poetica, ma a me Il Mulino di Levin è piaciuto molto, e mi rammarico che non ci sia più stata alcuna edizione dopo quella della Garzanti del 1968.

Forse è sbagliato se racconto come mio nonno ha fatto spazzar via dall’acqua il mulino, ma forse non è neppure sbagliato. Anche se ricade sulla famiglia. Se una cosa è conveniente o sconveniente, dipende da dove ci si trova – ma dove mi trovo io? – e quanto al racconto, non c’è che da cominciare. Sapere per filo e per segno che cosa si vuole raccontare e quanto, penso io, non è bello. O almeno, non porta a niente. Cominciare si deve, e certo si sa con che cosa cominciare, questo sì, ma non di più, solo la prima frase, e tuttavia ambigua.

Ecco allora la prima frase.

La Drewenz è un affluente in Polonia.

Ecco la prima frase. E mi par subito di sentire: allora tuo nonno era polacco. E io dico: no, non lo era. Come si vede, sono già possibili degli equivoci, e questo non è un buon inizio. Quindi, un’altra prima frase.

Nel corso inferiore della Vistola, su uno dei suoi piccoli affluenti, c’era, negli anni settanta del secolo scorso, un villaggio abitato in prevalenza da tedeschi.

Bene, questa è la prima frase. Ora però si dovrebbe aggiungere ch’era un villaggio fiorente con fienili grandi e stalle solide e che alcune fattorie, intendo la fattoria vera e propria, lo spazio tra casa, fienile, stalla, scuderia e cantine e granaio, erano così grandi che in altre zone ci sarebbe potuto stare mezzo villaggio. E dovrei dire che i contadini più floridi erano tedeschi, i polacchi nel villaggio erano più poveri, anche se non proprio poveri come nelle baracche di legno che sorgevano intorno al villaggio grande. Ma questo non lo dico. Invece dico: i tedeschi si chiamavano Kaminski, Tomasckewski e Kossakowski, e i polacchi Lebrecht e Germann. E difatti era così.

Resta ancora da rendere plausibile che la storia debba essere raccontata perché è conveniente raccontarla, e gli scrupoli familiari sono senza importanza. Se sia conveniente dipende, l’ho detto prima, da dove mi trovo, cosa quindi da stabilire in precedenza, e poi devo proprio raccontare tutta la storia, altrimenti come farse un’opinione?”

Così inizia questo straordinario romanzo. Che pochi possono leggere in Italia. Provate a cercarlo al Libraccio, su amazon, alle bancarelle dei libri usati. Ne vale la pena.

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