InVersi Fotografici: Dies irae: il varco, la luce e il perdono – Paolo Pellegrin Vs Derek Walcott

L’InVerso fotografico di oggi dirada il fumo della scena per mostrare la realtà della natura umana. A volte mi chiedo quale sia il senso dell’arte, del fare arte e del commentare e divulgare l’arte. La chiave deve essere nella parabola, nel mostrare che è comunicare. Diffondere il più possibile un medium che aiuti a decifrare meglio il mondo e se stessi.

Oggi 17 marzo 2017 è morto Derek Walcott, premio Nobel per la Letteratura nel 1992. Per ricordarlo ho creato questo dialogo immaginario tra la sua poesia e le immagini di Paolo Pellegrin.

Non siamo al cinema e la nebbia che satura la scena non è un effetto speciale. Siamo in Libano ed è il 2006.

Ed è tutto vero.

Lo sguardo vaga di volto in volto. Noi così abituati alla violenza, esibita sui giornali o in tv. Eppure quel braccio cattura l’attenzione e chiede aiuto.

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Sono sempre più interessato ad una fotografia “non finita”, una fotografia che possa essere allusiva e scatenare conversazioni e dialoghi. Ci sono fotografie chiuse, finite, in cui non esiste nessun possibile “varco” che, come un invito, allunghi la mano verso lo spettatore per impegnarlo in uno scambio. possono anche essere immagini belle e complesse ma a me interessano meno. Mi interessa di più una fotografia in grado di suscitare delle domande.

 

Per il suo impegno a Beirut Pellegrin riceve il premio Robert Capa “per l’estremo coraggio dimostrato”. La città è distrutta, la popolazione stremata, lo stesso Pellegrin viene ferito.

 

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Ogni volta che apri l’otturatore dai voce a un tuo pensiero sul mondo, prendi posizione e lo sguardo diventa la somma dei tuoi pensieri. Fotografare non è solo testimoniare una serie di fatti, ma anche filtrarli attraverso la tua esperienza.

 

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C’è tanto in queste immagini. Potremmo rintracciare lo sfumato di Koudelka, l’eleganza di Salgado, il realismo del dolore della Battaglia, la composizione di Giacomelli.  Ma ciò che mi colpisce di più è che, ogni volta, il fotografo si fa portavoce del dolore degli altri. Non cerca di filtrarlo o ammansirlo, non lo amplifica e nemmeno ne fa una caricatura di se stesso, semplicemente lo restituisce, esattamente con la stessa intensità. Sembra dire: ecco questo è il nostro mondo, tu che ne pensi?

Lo spettatore – se ci riesce – è libero di voltare la faccia e tornare alle proprie faccende. Più spesso scaturisce l’auspicato dialogo.

 

INDONESIA. Tsunami.
INDONESIA. Tsunami.

Considerato il più grande e importante poeta e drammaturgo delle Indie Occidentali, Derek Walcott indaga ed esprime il conflitto tra l’eredità della cultura europea e quella originaria delle Indie Occidentali.

da “Mappa del nuovo mondo” di Derek Walcott, Adelphi Milano 1992.

 

EPILOGHI

Le cose che non esplodono:
vengon meno, sbiadiscono,

come il sole sbiadisce dalla carne,
come la schiuma esala nella sabbia,

anche il fulmineo lampo dell’amore
non ha un epilogo tonante,

muore invece con un suono di fiori
che sbiadiscono come fa la carne

sotto la pietra pomice sudante,
tutto concorre a dare questa forma

finché restiamo soli col silenzio
che circonda la testa di Beethoven.

 

INDONESIA. Tsunami.
INDONESIA. Tsunami.

AMORE DOPO AMORE

Tempo verrà
in cui, con esultanza,
saluterai te stesso arrivato
alla tua porta, nel tuo proprio specchio,
e ognuno sorriderà al benvenuto dell’altro,

e dirà: Siedi qui. Mangia.
Amerai di nuovo lo straniero che era il tuo Io.
Offri vino. Offri pane. Rendi il cuore
a se stesso, allo straniero che ti ha amato

per tutta la tua vita, che hai ignorato
per un altro che ti sa a memoria.
Dallo scaffale tira giù le lettere d’amore,

le fotografie, le note disperate,
sbuccia via dallo specchio la tua immagine.
Siediti. E’ festa: la tua vita è in tavola.

Anti Mubarak demonstrations in Tahrir square. Cairo, Egypt. 2011
Anti Mubarak demonstrations in Tahrir square. Cairo, Egypt. 2011

 

STELLA

Se, alla luce delle cose tu scolori
vera, eppure debolmente sottratta
alla nostra determinata e giusta
distanza, come la luna lasciata accesa
tutta la notte tra le foglie, possa
tu invisibilmente allietare questa casa;
o stella, doppiamente compassionevole, venuta
troppo presto per il crepuscolo, troppo tardi
per l’alba, possa la tua pallida fiamma
dirigere il peggio in noi
attraverso il caos
con la passione del
semplice giorno.

 

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Perché la memoria è meno del posto che vagheggia,
da nessun luogo deriva la sua forma
se non per dire che perfino con la merda e l’affanno
di quel che ci facciamo a vicenda con la beatitudine della corrente
contraddice la prosopopea della disperazione
con alcune scintillanti semplici cose, acqua, foglie, e aria,
che eccitano dissoluzione pronta ad andare oltre la felicità. (da Parang – The Bounty)

 

 

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LONTANO DALL’AFRICA

Un vento scompiglia la fulva pelliccia
Dell’Africa. Kikuyu, veloci come mosche,
Si saziano ai fiumi di sangue del veld.
Cadaveri giacciono sparsi in un paradiso.
Solo il verme colonnello del carcame, grida:
«Non sprecate compassione su questi morti separati!».
Le statistiche giustificano e gli studiosi colgono
I fondamenti della politica coloniale.
Che senso ha questo per il bimbo bianco squartato
nel suo letto?
Per selvaggi sacrificabili come Ebrei?

Trebbiati da battitori, i lunghi giunchi erompono
In una bianca polvere di ibis le cui grida
Hanno vorticato fin dall’alba della civiltà
Dal fiume riarso o dalla pianura brulicante di animali.
La violenza della bestia sulla bestia è intensa
Come legge naturale, ma l’uomo eretto
Cerca la propria divinità infliggendo dolore.
Deliranti come queste bestie turbate, le sue guerre
Danzano al suolo della tesa carcassa di un tamburo,
Mentre egli chiama coraggio persino quel nativo terrore
Della bianca pace contratta dai morti.

Di nuovo la brutale necessità si terge le mani
Sul tovagliolo di una causa sporca, di nuovo
Uno spreco della nostra compassione, come per la Spagna,
Il gorilla lotta con il superuomo.
Io, che sono avvelenato dal sangue di entrambi,
Dove mi volgerò, diviso fin dentro le vene?
Io che ho maledetto
L’ufficiale ubriaco del governo britannico, come
sceglierò Tra quest’Africa e la lingua inglese che amo?
Tradirle entrambe, o restituire ciò che danno?
Come guardare a un simile massacro e rimanere freddo?
Come voltare le spalle all’Africa e vivere?

 

INDONESIA. Tsunami.
INDONESIA. Tsunami.

 

MAPPA DEL NUOVO MONDO

Alla fine di questa frase, comincerà la pioggia.
All’orlo della pioggia, un vela.

Lenta la vela perderà di vista le isole;
in una foschia se ne andrà la fede nei porti
di un’intera razza.

La guerra dei dieci anni è finita.
La chioma di Elena, una nuvola grigia.
Troia, un bianco accumulo di cenere
vicino al gocciolar del mare.

Il gocciolio si tende come le corde di un’arpa.
Un uomo con occhi annuvolati raccoglie la pioggia
e pizzica il primo verso dell’Odissea.

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