Ad agosto Carteggi Letterari si prende una pausa e sospende la programmazione ordinaria. Riproporremo post apparsi nel secondo anno di attività. La prima parte della rubrica “Le parole della fine” ideata da Laura Liberale e Giovanna Zulian (pubblicato il 17 settembre 2015).
LE PAROLE DELLA FINE
Nella nuova rubrica quindicinale “Le parole della fine”, Laura Liberale e Giovanna Zulian tradurranno per i lettori di Carteggi Letterari una serie di brani tratti da un testo ancora inedito in Italia: Les mots de la fin (Hachette, Paris, 1957) di Claude Aveline (pseudonimo di Evgen Avtsine, 1901-1992), scrittore francese di origine russa, nonché poeta, saggista, editore, autore di opere radiofoniche e televisive, critico e conferenziere. I brani tradotti potranno ispirare le due curatrici alla divagazione o all’approfondimento dei temi via via emersi.
Claude Aveline ha redatto un dossier delle ultime parole pronunciate da personaggi più o meno celebri (…) Prima ne ha scelte centocinquanta, che ha commentato, poi seicento, elencate più brevemente. Potremmo dire che si esce da questa lettura come da una visita prolungata al Père-Lachaise.
Robert Coiplet, Le Monde diplomatique, ottobre 1957
Ecco un estratto della prefazione intitolata Il vivente e la morte, dello stesso Aveline (traduzione di Laura Liberale):
Un mot de la fin è, a seconda dell’uso, l’espressione che termina brillantemente un discorso, che dà il suo rilievo all’ultima replica di una conversazione, o che corona una “buona storia”, spesso concepita per essa. Ho ritenuto di estendere il termine alle frasi memorabili con cui si sono concluse, in ogni tempo e luogo, un gran numero di storie più o meno buone, ciascuna delle quali è ciò che si dice una vita.
(…) Salvo i casi eccezionali di parole dettate dalla paura – che sa come troncare l’ispirazione nell’agonia – niente di meno tetro, in effetti, di queste ultime parole (…) Ma per avere escluso il macabro, dobbiamo cedere all’aneddotica? (…) Io non disprezzo gli aneddoti, ho collezionato i migliori per un certo periodo. Ma non avrei mai pubblicato questa raccolta se avessi sospettato, parlandone con gli amici, leggendo centinaia di opere, prendendo migliaia di appunti, di cercare un semplice svago (…) Per me, come per tutti, il fascino di una simile ricerca dipende da una preoccupazione ben più seria. Ovvero che un mot de la fin, la parola della fine, come noi l’intendiamo, possa essere la versione valida di un’altra parola. La parola del passaggio. La parola dell’enigma (…)
L’enigma non si pone ai credenti. Essi hanno le loro parole del passaggio. Le conosciamo in latino; valgono in ogni lingua e in ogni religione: “Così sia”. I miscredenti, tra i quali figuro io, hanno la tendenza a pensare che una fede faciliti alquanto le cose. Conservare una parte di sé è assai meno terribile che perdere tutto! Il persistere di immagini ingenue ci mostra l’ascesa al cielo, la vertiginosa caduta nel nulla. Preghiere mirabili e preti compassionevoli ci sostengono nelle ultime ore. Ma questo passaggio alla vita eterna non libera nessuno dai problemi del suo singolo caso: la sofferenza della separazione, l’angoscia dell’accettazione. Malgrado tutti gli aiuti esterni, è un credente ad aver detto: “Si morirà soli”. Soli si verrà giudicati. La misericordia infinita e il Giudizio ultimo non sono delle nozioni strettamente sovrapponibili: quale delle due supererà l’altra? Quale margine di luce o d’ombra?
Il credente che teme un verdetto stabilito dalle sue prove terrene si unisce al miscredente che vede la sua unica ricchezza sparire per sempre: per entrambi, è troppo tardi. Il primo almeno ha la risorsa, nei minuti che gli restano, di celebrare più ardentemente la gloria di un Onnipotente e di gridare il suo grazie. Le parole della fine che ne risultano possono farsi veicolo di grande bellezza, non riservano quasi mai delle sorprese.
Ma vediamo l’uomo senza Dio. Non è necessariamente un materialista assoluto, come lo immaginano volentieri i credenti. Ho già evidenziato altrove che è l’imbecille a rimpiazzare Dio con il Nulla; il miscredente lo rimpiazza col mistero. Perdere la vita così come la conosciamo forse non implica la fine di tutto ciò che la compone. Si parla molto di un “principio energetico”, nuova definizione dell’anima, che preesisterebbe al corpo e a esso sopravvivrebbe. Quale ne sia l’origine, l’uomo senza Dio, semplicemente non può considerarla come una potenza morale, né fare di tale principio un mezzo per mantenersi cosciente dopo l’ultimo sospiro. Nessuna porta nel muro, nemmeno la più angusta. Nessuna speranza di nessun tipo. Quando sopraggiunge l’idea, poiché non di un pensiero continuo si tratta, egli avverte – già – come un arresto cardiaco. L’idea, o l’occasione (…)
Una sera, dopo una giornata che non era stata esente da incidenti, assaporando quel che si dice un meritato riposo, aprii un’antologia poetica. E lessi, al nome di Cécile Sauvage, da una raccolta intitolata Fumées, 1910:
Non cercare di afferrare
la luce con le tue mani,
nessuno ti trattiene
e quest’ora è l’ultima.
Anche tua madre è morta, anche lei.
Ti rivedi piccino?
Com’era verde il prato
sotto le finestre aperte!
Niente più. E fui preso da un terrore insormontabile, con dei forti colpi lenti che mi scuotevano il petto; udii un batter di denti in quella stanza in cui ero solo (…)
Per l’uomo senza Dio, l’enigma non è più nella morte, ma nella vita. E ciò che possiamo ottenere dai morenti, è che essi ne forniscono la parola. Hanno adempiuto il loro destino; noi disponiamo forse ancora del tempo necessario per migliorare il nostro. Possa la loro esperienza aiutarci! La morte improvvisa, la morte incosciente sono delle morti egoiste, non ci danno nulla. Noi abbiamo bisogno di rischiararci alle luci che vanno estinguendosi.
E tuttavia non speriamo più che una sola frase di un solo essere possa consentire a tutti insieme di vederci chiaro (…) Le lezioni dei migliori maestri giovano solo ai discepoli a loro simili. Le parole della fine sono soggette alla stessa legge. Ciascun lettore sa a quale famiglia spirituale appartiene (…) Se lo ignora, potrà rapidamente scoprirlo qui (…)
Circa i problemi posti al vivente dalla morte, la migliore conclusione è stata tratta da Leonardo da Vinci (…): “Come una giornata ben riempita dà un dolce dormire, così una vita ben spesa dà un dolce morire”. Aprendo questo libro in cui la morte non regna che in apparenza, non pensateci più. Vivete!
Sull’autore non mancano le notizie in Rete. A Liberale e Zulian piace soprattutto ricordarlo quale membro della Société Européenne de Culture, fondata a Venezia nel 1950 dal filosofo Umberto Campagnolo, sotto le cui insegne si riunì l’élite culturale europea e non solo, e che fu un “punto d’incontro internazionale fra uomini di buona volontà, impegnati in un dialogo fondato sulla cultura e sui valori dell’umanità, tale da andare oltre ai confini transeunti, ma pur terribilmente reali, tracciati dagli interessi politici e dai conflitti ideologici” (dalla rivista “Comprendre”, secondo numero nouvelle série, maggio 2010). Nel 1986, in occasione dell’assemblea generale a Belgrado, venne assegnato a Claude Aveline, il premio internazionale della Société per aver contribuito, con la sua azione di politica della cultura a promuovere la solidarietà tra i popoli.
In copertina: Foto © Despatin & Gobeli, Claude Aveline a Parigi (7 ottobre 1988).