Pierluigi Mele – Tramontalba

Tramontalba

Sud. Come termometri sigarette
al carbone fendevano la bocca
d’un nonno officiante di Gramsci
nella piazza, quando il tramonto
ravviava il monotono rosario
al passaggio delle devote. È questa
la mia prima immagine del comunismo.
Con quello mi raccontavano l’offesa
del tabacco malpagato, la vanga – la storia:
a caso prendi due uomini dal mazzo,
chi non sorride è sempre il boia.
Poi non so, si sparigliano le carte, i canti
e soffia falò nero di bandiere.

Maggio, afa di rose nel giardino.
Fuori i gatti salpavano da sotto
le automobili per l’umido mattino,
già squillando nell’azzurro le urla
sincopate del venditore d’angurie
come da un minareto il muezzin di Maometto.
Altra sorte quella d’un cane
a cui la legge dei padri negò i dadi:
sfortunato al gioco del vero, dalla malerba
venivo a darti fuga, ma randagio
è il sangue di chi dispera
libertà con la catena al collo. Certo
insieme avremmo annottato
a seguire il fiuto bavoso della lumaca
sui cardi, ignorando dove l’alba ci avrebbe
scovato, o che l’infanzia fosse il solo
mestiere di tutta una vita.

Ricordo una fontana di crocicchio
dove zingari intrecciavano coi giunchi e salici
i canestri; da lì tornavo con brocche
d’acqua tersa per la casa senz’acqua
domestica. E nel rione zitelle a turno
fare la ronda al cielo davanti agli usci:
per ogni stella una promessa di matrimonio
in soffice cantilena notturna
sotto la bianca scodella della luna.
Tutt’intorno bruciavano le stoppie
all’ombra degli ulivi, torsi
d’un Impero di baroni e grilli.
E il mare: “Chi conosce il Sud sa piangere la morte”,
mare saraceno che risucchia clandestini
amanti come in un film di Vigo.

Sì, tutto è stato digerito.
Come la terra dove nascere
e vivere a rate; là sono i miei risvegli
innevati sulla strasse a tornante d’una San Gallo
frontiera di visioni migrare
tra gli abeti, abbracciare la sera
scambiandola per madre – quando lepri
spuntavano alla tristezza come torce.
Inatteso il favonio arrossava poi
di follia composta le montagne, i volti
dei passanti, le strade – in Svizzera
l’ordine è solo un impiego della natura,
e festante trillava il merlo dal torrente
ovunque lasciando tracce del suo canto,
come il nostro sguardo sulle cose.
Allo stesso modo avrei invidiato
nella provincia da cui scrivo
muovere la rondine i primi richiami
utili alla vita per imballare la scuola
in un pallone, io vissuto nella lingua,
i colori, i giochi che non so, straniero
a me stesso come in grembo.

Sì, hanno gli uccelli tutte le chiavi
del nostro tempo; e come loro
torneremo un giorno alla terra delle zolle,
perché c’è un’età oltre gli atlanti e le stagioni
che resta, anche se noi andiamo.
Un tempo, credo, di tramontalba.


 

(Testo tratto da: P. Mele, Tramontalba, Edizioni Moscara Associati, Galatina, 2003).

Un grazie speciale a Daniele Greco per il dono.

Gianluca D’Andrea

 

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