di Daniela Pericone
Ottavio Leoni, Ritratto di Caravaggio, 1621 (Firenze, Biblioteca Marucelliana)
Negli ultimi anni del Cinquecento il genio di Caravaggio è ormai conosciuto in tutti gli ambienti romani, ma altrettanto diffusa è la fama del suo pessimo carattere e delle sue intemperanze, che tanti guai gli avrebbero procurato, pur in un contesto e in un’epoca in cui risse e duelli, soprusi e violenze sono all’ordine del giorno.
Così lo descrive il biografo Giovan Pietro Bellori:
“Tali modi del Caravaggio acconsentivano alla sua fisionomia ed aspetto: era egli di color fosco, ed aveva foschi gli occhi, nere le ciglia ed i capelli; e tale riuscì ancora naturalmente nel suo dipingere. La prima maniera dolce e pura di colorire fu la migliore […]. Ma egli trascorse poi nell’altra oscura, tiratovi dal proprio temperamento, come ne’ costumi ancora torbido e contenzioso […]. Non lasceremo di annotare li modi stessi nel portamento e vestir suo, usando egli drappi e velluti nobili per adornarsi; ma quando poi si era messo un abito, mai lo tralasciava finché non gli cadeva in cenci. Era negligentissimo nel pulirsi; mangiò molti anni sopra la tela di un ritratto, servendosene per tovaglio mattino e sera.”
Dello stesso tenore il ritratto delineato dal biografo fiammingo Karel Van Mander:
“A Roma c’è un certo Michel Angelo da Caravaggio che fa cose meravigliose […] egli è faticosamente uscito dalla povertà mediante il lavoro assiduo […] è uno di quelli che non fanno molto conto delle opere di alcun maestro, anzi non loda apertamente neanche se stesso […]. Egli dice infatti che tutte le cose non sono altro che bagatelle, fanciullaggini o baggianate – chiunque le abbia dipinte – se esse non sono fatte dal vero, e che nulla vi può essere di buono o di meglio che seguire la natura […]. Egli è un misto di grano e di pula; infatti non si consacra di continuo allo studio, ma quando ha lavorato quindici giorni, se ne va a spasso per un mese o due con lo spadone al fianco e un servo dietro e si porta da un campo di gioco all’altro; sempre pronto a duellare e ad azzuffarsi; tanto che non è facile che lo si possa frequentare.”
Caravaggio, Martirio di San Matteo, particolare dell’autoritratto, 1599-1600 (Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi)
Nel 1597 Caravaggio è coinvolto in una vicenda giudiziaria riguardante un’aggressione subita dal garzone di barbiere Pietropaolo. La testimonianza resa dal barbiere Luca, presso cui lavora il giovane, fornisce un’ulteriore colorita descrizione:
“[…] Questo pittore è un giovenaccio grande di vinti o vinticinque anni con poco di barba negra, grassotto, con ciglia grosse et occhio negro, che va vestito di negro non troppo bene in ordine, che portava un paro di calzette negre un poco stracciate, che porta li capelli grandi longhi dinanzi.” (Interrogatorio al Tribunale del Governatore di Roma, 11 luglio 1597)
La testimonianza dell’amico Prospero Orsi aggiunge dettagli sullo stile di vita, raccontando della consuetudine di Caravaggio di portare armi:
“[…] Detto Michelangelo è solito portare la spada, perché è servitore del Cardinale del Monte, et io gli l’ho vista portare assai volte. Anzi prima la portava di giorno et adesso non la porta se non quando va qualche volta fuori la notte.”
Lo stesso Caravaggio, quando un anno dopo (3 maggio 1598) viene arrestato per detenzione abusiva di armi, si dichiara libero di girare armato “per essere Pittore del Cardinale del Monte che io ho la parte del Cardinale per me e per il servitore et alloggio in casa”.
Spregiudicata esuberanza di un temperamento che non intende assoggettarsi a regole comuni e convenzioni, nella vita come nell’arte.