Aldo Busi – “Vacche amiche”

di Marco Malvestio

Di cosa parliamo quando parliamo di un libro di Aldo Busi? È un romanzo, un’autobiografia, un pamphlet, un manuale? Tutti noi lettori di Busi abbiamo ben presente il momento in cui, dopo tanto consigliarne, raccomandarne, prescriverne la lettura, ci siamo sentiti chiedere di cosa parlino i suoi libri – il Seminario, per esempio, o la Vita standard. Già, di cosa parlano? E di cosa parla Vacche amiche? Come al solito, di niente – e di tutto.

A volere ritrovare uno scampolo di trama, il libro racconta le storie di tre (ex) amiche di Busi (tre donne a priori, terribili, di quelle che popolano ogni suo romanzo da Genevieve nel Seminario alla Fata della candeggina ne L’especialista, passando per l’indimenticabile Jasmine Belart e per l’onnipresente madre) e l’impossibilità, per Busi, di mantenere relazioni di amicizia. È un’autobiografia, come suggerisce il sottotitolo? Naturalmente no; e naturalmente sì. Busi sull’argomento ha già detto la sua in Sodomie in corpo 11 e Casanova di se stessi, con lucidità e chiarezza eguagliate forse soltanto da Siti, ma ripete qui il suo giudizio proprio in riferimento all’autofiction (una delle parole d’ordine della critica letteraria recente: proprio Busi, che fa sempre lo gnorri e dice di non leggere niente di contemporaneo):

Non esiste l’autofiction degli scrittori veri, esiste solo l’autofiction dei non lettori. (…) Uno scrittore vero non è autobiografico neppure quando lo è, un non lettore lo è sempre e sovrappone la sua biografia – sempre immaginaria e consolatoria, sempre finzione di sé – all’autobiografia dello scrittore che, se è vero, non c’è”.

E in tutto questo, naturalmente, la grandiosa capacità affabulatoria di Busi, la capacità di costruire personaggi memorabili in poche righe (che cosa non sono queste tre “vacche amiche”? Chi in Italia sa fare così tanto con così poco?), che davvero, negli ultimi vent’anni di produzione busiana, si può paragonare solo a quel gioiello che è La signorina Gentilin, o ai momenti più alti di El especialista de Barcelona.

Ma non è solo il cortocircuito metatestuale a farci capire di essere al centro di un’opera viva e sofferta. Vacche amiche, come La signorina Gentilin dell’omonima cartoleria e El especialista de Barcelona, è un grande libro sulla solitudine, sulla malinconia di una vecchiaia da trascorrere da solo, senza una persona alla propria altezza che si possa chiamare amica. È un libro sulla propria ricercata, patita e continuamente messa in discussione diversità antropologica e politica: Busi è in polemica con tutti e su tutto, da sempre. Ogni volta che approda a una verità, la smentisce (siamo tutti memori delle contrastanti note a margine di Sodomie in corpo 11): non a caso la pagina di procede per paradossi e provocazioni, la contraddizione si fa struttura portante dell’andamento argomentativo. La polemica di Busi non è solo con gli altri (e qui sta la differenza grossa tra lui e gli altri collaboratori di una gazzetta di inquisitori come Il Fatto Quotidiano), è sempre innanzitutto con se stesso:

La libertà non è una convinzione interiore e un ornamento mentale, è una lotta sociale dalle ferite inguardabili che non si chiudono mai. Non è una ideologia che presuppone una disciplina durissima e un’esistenza marziale soprattutto in tempi di pace, poiché per essa la pace è sempre apparente, è un trucco perché si rammollisca”.

Per questo Busi è l’unico moralista che tolleriamo di ascoltare, perché ogni sua posizione, anche la più sgradevole (come quella recente sulla fecondazione in vitro o sulla transessualità, o, nel romanzo, sul movimento LGBT e su Israele), sono frutto non tanto di una lunga riflessione, ma di un coinvolgimento in prima persona che non ha paralleli con altri autori italiani. Siti sarà certo più acuto nel descrivere il dramma senza dramma dell’everyman occidentale, ma che boccata di ossigeno leggere che Busi se ne frega e continua a combattere, sempre.

Con Vacche amiche, Aldo Busi firma l’ennesimo, riuscitissimo tassello di una gigantesca opera mondo, che si sovrappone alla sua vita biografica, la ingloba e la risputa trasformata in diamante dalla forza tellurica della prosa, e che da questa vita biografica arriva a colonizzare le vite altrui, le vite degli amici che c’erano e che non ci sono più, il panorama politico italiano ed estero, i destini delle scienze e della letteratura. È vero, Busi è sempre più solo, sempre più privo di qualcuno con cui dialogare, se mai in vita sua ha provato a dialogare, ma questa solitudine aumenta l’ampiezza della sua dolorosa compassione per il prossimo, come testimoniano le bellissime pagine sulla madre. La tentazione del monologo, che, a dispetto della grazia e della forza della prosa busiana è sempre un monologo moralistico, è bilanciata in ogni momento dall’incredibile attenzione alla vita altrui, dalla capacità, affinata da decenni di scrittura, di metterla su pagina. Vacche amiche potrebbe non essere il migliore dei libri per cominciare leggere Busi, ma di certo, per chi avesse già cominciato (e fosse rimasto magari deluso dall’ultimo decennio abbondante della sua produzione), la lettura è consigliata, raccomandata, prescritta.

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