Jordi Doce, “Monósticos”
“Monósticos” di Jordi Doce è stato pubblicato nel 2012 da Del Centro Editores (Madrid) in un’edizione di soli 100 esemplari, firmati sia dal poeta che dall’illustratore Haritz Guisasola. I diciannove “monostici” raccolti nel libro sono da leggersi forzosamente nella loro progressione, poichè dispiegano una struttura piramidale e speculare di ascesa/espansione e discesa/compressione nel numero dei versi che compongono ogni testo. Il primo testo è dunque composto da un solo verso, il secondo da due, etc., fino al decimo, per poi ridursi progressivamente fino alla poesia di chiusura (composta ancora da un solo verso), con numerazione regressiva. Il vincolo dato dalla progressione sintagmatica nella lettura è senza dubbio rafforzato dalla mancanza di rilegatura, per cui al lettore viene chiesta cautela nel maneggio degli in folio, inibendo qualsiasi salto o disattenzione. (Stefano Pradel)
IV
Parpadeas igual que una pantalla en un salón vacío.
En el fondo del bosque las palabras no pesan.
Un niño se perdió volviendo a casa, y así comienza todo.
Tengo los ojos rojos de tanto hablar contigo.
IV
Le tue palpebre sbarrate come un televisore in un salotto vuoto.
Nel profondo del bosco le parole non hanno peso.
Un bimbo s’è smarrito tornando a casa e così inizia tutto.
Mi bruciano gli occhi a furia di parlare con te.
*
VII
Una casa. Un salón. Una pantalla.
Si no sabes qué ocurre afina los oídos.
Fuera, el viento sacude los pliegues de los toldos.
Vida es lo que se deja interrogar.
Unos dedos son unos dedos son unos dedos.
Fuera, el viento perturba el agua de los charcos.
Si pones atención, oirás voces.
VII
Una casa. Un salotto. Un televisore.
Se non sai cosa accade, aguzza le orecchie.
Fuori, il vento scuote le frange dei tendoni.
La vita è ciò che si lascia interrogare.
Delle dita sono delle dita sono delle dita.
Fuori, il vento turba l’acqua delle pozzanghere.
Se presti attenzione, udirai delle voci.
*
IV
No era el río lo que sonaba.
Era el viento en los árboles, su promesa de lluvia.
Vuelve de pronto, tras la cortina de los meses.
El color de los chopos era el color de la paciencia.
IV
Non era il fiume a mormorare.
Era il vento tra gli alberi, la sua promessa di pioggia.
Ritorna improvviso, da dietro il sipario dei mesi.
Il colore dei pioppi era il colore della pazienza.
*
VII
Si pones atención, oirás voces.
Eso decía el viento en los aleros.
La flauta viva del afilador.
Cosas del tiempo, piensas.
Nunca está donde se le espera.
Es el paso que das y la liebre que salta.
Quieres palabras que den la hora justa.
VII
Se presti attenzione, udirai delle voci.
Così diceva il vento nelle grondaie.
Il flauto vivo dell’arrotino.
Cose del tempo, pensi.
Non è mai dove uno se lo aspetta.
È il passo che fai e la lepre che salta.
Vuoi parole che diano l’ora esatta.
Sull’autore
Jordi Doce (Gijón, 1967) si è laurato in Filologia Inglese all’Università di Oviedo ed è stato lettore di spagnolo all’Università di Oxford (1997-2000). La sua raccolta poetica più recente è intitolata No estábamos allí (Pre-Textos, 2016; considerata come miglior libro di poesia dell’anno da El cultural). Ha tradotto William Blake, T.S. Eliot, W.H. Auden, Charles Tomlinson e Anne Carson, tra gli altri, e ne ha riunito di recente le sue versioni commentate in Libro de los otros (Trea, 2018).
Un pensiero su “CONSONANZE E DISSONANZE / Jordi Doce, “Monostici” (traduzione e cura di Stefano Pradel)”