Antonella Pizzo

a cura di natàlia castaldi

Antonella Pizzo nasce a Palazzolo Acreide nel 1954 e vive a Ragusa. Poesia: dialetto siciliano “Strati” (menzione speciale premio Montalbano Elicona e Città di Marineo); “E su paroli nuovi” 2004 (premio speciale Helikon, 2° classificato premio Poesia @ Rete); “Comu ‘n ciumi lientu” (2° classificato Trofeo Centro Studi Popolari Turiddu Bella);
Le raccolte di versi in lingua:
“A forza fui precipizio” Lietocolle, 2005 (Primo Premio Simone Cavarra, 2007 – 3° Class. Premio Giuseppe Sunseri). Catasto ed altra specie Fara Editore, 2006 (premiato al premio Acaja 2006 presidente della giuria Giorgio Barberi Squarotti). L’ebook I morti non sono nervosi, Feaci Edizioni, 2007. Partenope per Collana di inediti di Biagio Cepollaro. In stasi irregolare, 2007 –Premio Giorgi 2007- Le voci della luna. Il sogno è miele – Premio Elsa Buiese. Dentro l’abisso luccica la storia (L’Arcolaio, 2011). Sue poesie sono state pubblicate in riviste e rubriche on-line (tra cui Liberinversi, Poesia da fare, Absolute poetry, La costruzione del verso, Poiein, Niederngasse, Un poeta, Domist, Scriptamanent, Gas-o-line, Rottanordovest, poetilandia, Faranews, Nazione Indiana e altre) e in alcune antologie (tra cui Verso i bit: poesia e computer – Lietocolle, 2005 – Lo stormo bianco, Edizioni d’if, 2005 – Il segreto delle fragole 2007, il segreto delle fragole 2008, Lietocolle, e in Stagioni, Lietocolle, 2007. La poesia “I miei pensieri in orizzontale e in verticale” è stata pubblicata nella rubrica “scuola di poesia” dello Specchio della Stampa. Segnalata al premio Giancarlo Mazzacurati e Vittorio Russo “I miosotìs” (poesia e prosa) 2006 Edizioni d’if per la raccolta inedita Partenope. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti in concorsi letterari: Turoldo 2005, Palikè, Molino, Rocco Certo, La poesia oggi – Parole per Comunicare – Ibla bla – Premio Agorà – E-vviva sia nel 2004 che nel 2005 e molti altri, più volte premiata al Trofeo di poesia popolare siciliana Centro Studi Turiddu Bella. Ha vinto il premio migliore sceneggiatura I corti di Mauri con il cortometraggio “Il passaggio” – Segnalata nella XIX edizione del Premio Nazionale di poesia “Sandro Penna” 2007 sezione raccolta inedita. Vincitrice del Premio Giorgi 2007 – sezione raccolta inedita. Premiata al concorso Agavi 2007 nella sezione romanzo inedito per il romanzo “La Calzolaia” – Segnalata al Premio Turoldo 2007. Seconda classificata, con la silloge dialettale inedita Trapassi, al Premio Ischitella-Pietro Giannone 2008, Menzione d’onore al premio Lorenzo Montano 2008. Presente in poesia da fare, n. 24 – luglio 2007 – di Biagio Cepollaro. Vincitrice del premio Gorgone d’argento Gela 2009 per la raccolta In stasi irregolare – Vincitrice del premio di poesia Elsa Buiese con la raccolta “Il sogno è miele” – Vincitrice del premio Simone Cavarra 2010 Sez. Endas Libro con la raccolta Il sogno è miele.

Testi

come vorrei che venissi a trovarmi
di notte quando il fiato pesante
s’impicca alla finestra
quando all’aceto si fa l’abitudine e sotto le lenzuola
il dolore è recitato ora e per ore nel prossimo grano
se tu t’avvicinassi alla mia porta
con il vestito sporco di terra
nelle tasche i lombrichi grassi
con le tue quattro ossa in mano
nella mano d’ossa e le orbite vuote
con un pugno di denti da contare ad uno ad uno
non avrei paura del rumore delle nacchere
delle conchiglie spezzate sotto i piedi
t’abbraccerei piano
per non sconvolgere la tua struttura fragile
ma se tu tornassi di notte e vuota ti riempirei di foglie e paglia
e i vuoti e ancora nei capelli e ancora fiori a collane
ancora a fasci ancora intatti come quando
t’allontanasti senza chiedere se potevi
a lasciarmi gli occhi a rotolare e i baci di madre pure


tornai da mia madre a piedi scalzi, magra
con una camicia lunga, senza maniche
bussai alla sua porta
ella stava facendo un accurato pedicure
sotto una luce gialla d’acciaio la limetta
l’attenzione all’occhio di pernice
a un ricordo incallito, dolore mai estirpato
tornare a casa mia, di notte, svagata
sotto una pioggia d’acqua, poi indietro
a tempo cercare le chiavi
l’urgenza, potrebbero svegliarsi e non trovarmi
il mio morbido grasso
quel mio quieto girare nel letto che rassicura
tornare a casa con una canoa, una piroga
nel ventre di una grande nave
scivolo via in piena
il braccio teso
le chiavi sospese in aria


che non vi venga in mente di mettermi nel loculo
badate bene sono intransigente
l’ho scritto chiaro e l’ho pure detto
che voglio riposare in un bambù
sotto una quercia a germinare funghi
essere cibo grasso per i vermi, un cane, forse
dissotterrerà le ossa ma niente riuscirà a trovare
la notte le lepri passeranno e le volpi del bosco
dell’infanzia mia racconto, del libro delle favole
di grimm, la strega, la fata, lo gnomo curvo e lento
all’alba giungeranno i cacciatori cammineranno
sopra il mio costato, si fermeranno un poco
sulla tibia, nella mandibola lucideranno pietre
faranno dei discorsi di percorsi
di me non troveranno niente ma sentiranno
un canto e un salmo da quella terra smossa
proveniente, da un nido edificato dagli uccelli.

Da Il sogno è miele


Me l’ha detto pure il medico che non sto troppo bene
se ne è accorto ieri sera tastandomi il polso
il mio cuore pompava in malo modo
ogni tanto un colpo a perdere
un altro a ri-ferire
della morte improvvisa dell’amato cavallo
se n’è parlato tanto
al palio ci fu lo scandalo
gli animalisti gridavano vendetta
gli animalisti volevano giustizia:

si taglino le teste dei colpevoli
si taglino le feste
povero equino stramazzato al suolo
scivolato sul viscido bitume
si portino le prove, chi fu ad organizzare
lo scempio e lo spettacolo
lo show e l’esibizione
si provi la vergogna, si mettano alla gogna
povero cavallo morto in un pomeriggio
di settembre del duemilacinque e povera me
che perdo colpi e poi mi riferisco
che è tutto a posto, che è tutto a posto
il colpo a ferire è quello del cavallo
il colpo a perdere solo quello mio.

Da I morti non sono nervosi (Feaci Edizioni)


[mio fiume d’azzurro cielo]

come cade il fiume dal rilievo e come si forma
il torrente e la cascata e quanto è lungo il viaggio
e quanta l’acqua
che si riversa dalla scarpata in mille punti
grandi estensione di erba vergine
di ossido di ferro e tinta rossa
impetuoso arriva al salto e falce d’acqua in grande volo
in livello in grande gola
al ciglio e con gli spruzzi nebbia che ci avvolge
indossa il luogo dove nascono le nubi
mio fiume d’azzurro cielo e rosso terra e bianca schiuma.

da Dentro l’abisso luccica la storia, L’arcolaio


Sognammo nel 90 o giù di lì

Il sogno era di un campo coltivato a girasoli
quadro di Van Gogh o distesa gialla e nera
ma si piantarono a dimora carciofi e fave
broccoli e cavolfiori. e niente fiori
alla fine s’alluparono le fave e furono fusti alti
e bocche strette, e non ci fu il raccolto
ma lo stesso grandinarono uova sode
e pane e lo stesso risero per quella sputacchiera
con preghiera di centrare:
in cartella grigia a memoria futura
circolare n. 3 del dopoguerra.

Da Catasto ed altra specie


alla prima piaga ci prostrammo
in ginocchio
un po’ distanti per non toccare

soglia d’assalto ripulsa in estasi
la santa è spiga vuota  avena sfatta
oasi invertita sulle strade
confusa e sui raccordi sovrapposta
a peli e ciglia sporche consumate
di vene cinta
interseca le  braccia
si nutre a ghiande
che ai porci tanto piacciono

vedi di questo parlano le gambe
raccontano varici e di radici lì dove il blu
sembrava fosse stato
unico colore
nel cielo ora d’amianto

negli occhi larghi
ci abitavano le stelle, la luna al naso
le pendeva ai lobi strisce di galassie
insiemi lattescenti

ai seni pieni gocce di colostro
che del bambino la bocca satollava
s’allarga gola lingua lecca lecca
soddisfazioni  mugolii piaceri

se nel concepimento lei fu data e diede
se lei fu presa, ridiede e diede
le anche e i fianchi e i glutei smosse
mari e tempeste e baci di lascivia

ora si stende in questo letto sacco
sacro di plastic fiumane di rifiuti
mali leziosi decantano sul petto
la notte cani le fanno sinfonia
in questo strano mistero di distacco
senza pupille l’orologio muto
rende grazie  per il nostro pacchetto
colmo di bordi di pizza margherita.

Da Partenopesette piaghe e un segno Ed. Biagio Cepollaro


Prima che le porte s’aprano di botto e le cervella siano ingoiate
chiusi nel pugno al modo di fogliame speranze
e concepimenti secco sbriciolati. Che la capò distratta
dalla sopravvivenza dia il segnale dell’estremo
che è l’atteso. Si fiammeggino le ossa come pietra ollare si sfaldino
e s’infestino i cieli sopra e sotto l’ultima caduta
bianca che ridipinse il largo prato oltre il cancello
il filo e il ferro dove lo sguardo persi.
Capelli sottili e forfore velano i vetri e puzzo di piscio
acida la trachea. Ossidano a lutto i lastroni ferrosi.

Ante il fiore, ante il canto, ante il ballo
l’abito festoso
prima tu suonavi l’ottavino con delizia
io mi perdevo nelle languide narici e nella bocca

ante d’essere bile e fiele
ante d’essere mota nera.

Prima che mi conducessero a questo
luogo d’infamia impenetrabile
in questi giorni atroci e in questa notte
insensata di stamberghe e stoppie
d’infetti d’infettati d’infezioni
d’inferni
che oggi dalla prim’ora e fino all’ultima
considero.


Quando questo mio andare si compirà
il capo si svolgerà all’indietro
nei capelli si scioglieranno i nodi
polveri si solleveranno al vento
che a spirali nei luoghi designati
soffia dove nessuno è identico
dove saremo come piume d’ali
appartenenti allo stesso uccello.
Io non ci sarò a vedere cosa è stato
del mio guardaroba e della scarpiera
quando mi aprirete i cassetti
e sfoglierete le pagine spesse;
dove mi spalancheranno gli armadi
senza vergogna si allargheranno
gli spazi segreti e gli antichi lini
che ho ricamato a fasi alterne
e vi chiederete perché comprai
un maglione a righe arcobaleno
e a tinta a tinta lo coltivai
quando già vestivo a lutto.
Figli miei non so se capirete
ma non disfatelo a fili a fili
perché è un patto senza tempo
è un accordo di placenta
fra me e voi voluto
come un legato occorso.

Da A forza fui precipizio, Lietocolle, 2005

***

[L’ulivu crudu matri e lu vinu russu]

L’ulivu crudu matri e lu vinu russu
spuntatu
e la mantìgghia antuppa
curvi li spaddi e l’omeri scuagghiati
ne jorna a ruminari e a biascicari
palori e uri a cruoccu supra a petra
a soda e l’ògghiu e poi la sapunara
lurda la polla, lenta la correnti
e duoppu un tonfu, un corpu, na strizzata
un turciniari di visciri e poi lu nerbu
l’intrizzu di vuredda ca ni strazza
eccu la trama, eccu lu tilaru
ritortu ’u filu di lu squàrciu fattu.

L’olivo crudo madre e il vino rosso / spuntato / e la mantiglia copre / curve le spalle e gli omeri dissolti / nei giorni a ruminare e a biascicare / parole e ore china sulla pietra / la soda e l’olio e poi la saponaria / sporca la polla, lenta la corrente / e dopo il tonfo, il colpo, la strizzata / un torcere di viscere e ancora il nerbo / l’intreccio di budello che ferisce / ecco la trama, ecco qui il telaio / ritorto il filo della lacerazione.


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