Catalunya (continuo)

  1. Sabato 11 novembre a Barcellona hanno manifestato in 750 mila (vedi foto), chiedendo il rilascio dei leader indipendentisti incarcerati, considerati “prigionieri politici”. E inneggiando alla Repubblica.
  2. Rajoj, in visita a Barcellona, ha invitato la “maggioranza silenziosa” unionista ad andare a votare il 21 dicembre, in modo da porre fine a quello che ha chiamato il “delirio separatista”.
  3. Carme Forcadell, presidente del destituito Parlamento catalano, è uscita dal carcere pagando una cauzione, e grazie alla dichiarazione che la proclamazione dell’indipendenza catalana era solo un “atto simbolico”. I ministri incarcerati ora stanno pensando di rilasciare la stessa dichiarazione, in modo da sperare di essere scarcerati prima delle elezioni.
  4. Il Cup, partito anticapitalista indipendentista, ha deciso di partecipare alle elezioni del 21 dicembre, che pure considera illegittime. Insieme al partito moderato di Puigdemont e al partito socialista di Junqueras, costituisce il fronte indipendentista, che alle scorse elezioni, anno 2015, prese il 48% ma la maggioranza dei seggi (70) nel Parlamento catalano. Al momento i sondaggi registrano un testa a testa tra fronte unionista e fronte indipendentista. Non è detto che gli indipendentisti riusciranno a riconquistare la maggioranza dei seggi.
  5. Oggi Puigdemont in una intervista ha detto che la dichiarazione di indipendenza era un’arma per trattare con Madrid su un’opzione diversa da quella della secessione (quale? Non si sa), e che anche ora è possibile sedersi a un tavolo.

E’ difficile descrivere cosa sta succedendo e cosa succederà in Catalogna alle elezioni del 21 dicembre. Personalmente, non posso negare che tifo per gli indipendentisti. Sono infatti galvanizzato da una regione che riesce a produrre una partecipazione popolare di massa in nome dell’indipendenza. Ci sono popoli che ancora sono vivi, in Europa. Dico che “tifo” nel senso che mi auguro vincano. Perché sono curioso di quel che succederebbe. Non sono sicuro vincano, anzi, quelle elezioni potrebbero essere la pietra tombale per le speranze di indipendenza di molti catalani: se gli indipendentisti non otterranno la maggioranza dei seggi, gli unionisti potranno infatti dire che sono minoranza, e sancire la fine di ogni rivendicazione secessionista. Beh, che la democrazia prevalga.

Comunque andranno le elezioni, abbiamo assistito e stiamo assistendo, in questi mesi, a uno dei più grandi movimenti nonviolenti della storia europea. Il popolo indipendentista sta compiendo un miracolo usando solo le armi della democrazia e delle manifestazioni di piazza. Ha resistito alle cariche della polizia il giorno del referendum, senza rispondere con la violenza. Ha proclamato scioperi globali, come l’ultimo, di qualche giorno fa, che ha bloccato molti trasporti. Ha reagito con un corteo pacifico alle incarcerazioni dei loro leader, sia quelli politici sia quelli della società civile, e all’esilio del capo carismatico. Di fronte alla rozzezza fascista del governo Rajoy e della magistratura ad esso asservita, la maturità democratica e nonviolenta del popolo catalano indipendentista è una gemma rara che splende. E tutto questo è avvenuto senza una guida nonviolenta riconosciuta dal popolo, senza un coordinamento organico tra i partiti indipendentisti. Infatti, le posizioni sull’indipendenza non sono univoche. Puigdemont, che pure si proclama capo del governo repubblicano in esilio, oggi ha detto che la secessione non è l’unica opzione, rischiando di sembrare in contraddizione con se stesso. Forcadell ha dichiarato che la dichiarazione di indipendenza da parte del Parlamento catalano era un atto simbolico: ma sappiamo bene che la gente in strada chiede davvero l’indipendenza, reale, concreta. Lo schieramento indipendentista non ha saputo avere un obiettivo chiaro e condiviso dopo il referendum: Puigdemont in effetti non ha dichiarato esplicitamente l’indipendenza, e non ha risposto a Madrid che gli chiedeva un semplice SI’ o NO alla domanda se avesse dichiarato l’indipendenza. Puigdemont dopo quella non-dichiarazione aveva chiesto qualche mese di trattative con Madrid. Senza ricevere risposte. Ora, Puigdemont da un lato fa dichiarazioni sull’indipendenza come fosse un dato di fatto, dall’altro ricorda che lui ha sempre chiesto di sedersi a un tavolo con Madrid per trattare, e aggiunge che la dichiarazione di indipendenza era solo moneta di scambio. Il Cup, ossia gli alleati del governo catalano indipendentista Puigdemont-Junqueras, fanno invece alquanto sul serio, per quel che mi sembra: vogliono l’indipendenza. E del resto, se non è l’indipendenza l’obiettivo, quale è? Solo l’autonomia economica e fiscale come nei Paesi baschi, e il ripristino del termine “nazione” per la Catalogna? Non vedo altre opzioni intermedie. Quindi temo che neppure i leader indipendentisti abbiano le idee chiare, e questa è la loro principale colpa. Come hanno ammesso, con sincerità, i leader del Cup in visita a Puigdemont, il fronte indipendentista non si aspettava i metodi repressivi fascisti usati dalla Spagna, e pertanto non ha saputo rispondervi in modo unito ed efficace.

Una cosa è certa: nel centro dell’Europa la crisi catalana ha risvegliato passioni politiche che l’Europa non conosce più da vari decenni. Perché l’Europa unita pare aver abolito i popoli, altro che essere l’Europa dei popoli!, e vivere all’insegna dei “particulare” economico e politico.

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