InVersi Fotografici – Il boato, i frammenti e la somiglianza – Marina Ivanovna Cvetaeva Vs Rinaldo Prieri

L’InVerso fotografico di oggi parla del sentire la vita cosi ardentemente da bruciarne i momenti in ricordi di cenere. Il corpo è fatto a pezzi, letteralmente. Tale è la frenesia del sentirsi vivi e travolti dalla corrente delle emozioni che ogni singolo organo reclama la propria autonomia, fiotti di sangue ad alimentare il nutrimento di due anime inquiete. Una poetessa russa che ha fatto della poesia la propria vita e della propria vita una lunga poesia dove ogni verso è stato vero e sofferto. Un fotografo-industriale che si è rifugiato nel mondo inanimato degli oggetti alla ricerca del senso smarrito. Entrambi simbolisti, entrambi rinchiusi in una visione metaforica e metafisica della realtà.

 

«Io mi sono sempre fatta in pezzi, e tutti i miei versi sono, letteralmente, frammenti argentei di cuore.»

 

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«Nei miei sentimenti, come in quelli dei bambini, non esistono gradi»

 

INDIZI

Come spostando pietre:
geme ogni giuntura! Riconosco
l’amore dal dolore
lungo tutto il corpo.
Come un immenso campo aperto
alle bufere. Riconosco
l’amore dal lontano
di chi mi è accanto.
Come se mi avessero scavato
dentro fino al midollo. Riconosco
l’amore dal pianto delle vene
lungo tutto il corpo.
Vandalo in un’aureola
di vento! Riconosco
l’amore dallo strappo
delle più fedeli corde
vocali: ruggine, crudo sale
nella strettoia della gola.
Riconosco l’amore dal boato
– dal trillo beato –
lungo tutto il corpo!

 

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23 MARZO 1923

Mentre l’amico caro attraversava
l’ultimo viale (filare di nodosi
addii) – più grandi degli sguardi
erano gli occhi.

Mentre l’amico amato doppiava
l’estremo promontorio (di sospiri
della mente: torna!) – più grandi delle mani
erano i gesti.

Quasi le braccia volessero lasciare
le spalle e le labbra – indietro,
a supplicare! Lottava con la lingua
la parola, il palmo con le dita…

Mentre l’ospite tenero passava…
– Signore, posa lo sguardo su di noi! –
le lacrime erano più enormi
di occhi umani, e delle stelle
sull’oceano.

 

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PASSANTE

Cammini, a me somigliante,
gli occhi puntando in basso.
Io li ho abbassati – anche!
Passante, fermati!

Leggi – di ranuncoli
e di papaveri colto un mazzetto
– che io mi chiamavo Marina
e quanti anni avevo.

Non credere che qui sia – una tomba,
che io ti apparirò minacciando…
A me stessa troppo piaceva
ridere quando non si può!

E il sangue affluiva alla pelle,
e i miei riccioli s’arrotolavano…
Anch’io esistevo, passante!
Passante, fermati!

Strappa uno stelo selvatico per te
e una bacca – subito dopo.
Niente è più grosso e più dolce
d’una fragola di cimitero.

Solo non stare così tetro,
la testa chinata sul petto.
Con leggerezza pensami,
con leggerezza dimenticami.

Come t’investe il raggio di sole!
Sei tutto in un polverìo dorato…
E che almeno però non ti turbi
la mia voce di sottoterra.

 

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CIAO

Ciao! Né freccia né pietra:
io! – La più viva delle donne:
vita. Tutte le mie carezze –
al sonno incompiuto.
Vieni qui! (vale a dire:
Tienimi! – è questione di senso)
Afferrami tutta così felice
e semplice come mi vedi!

Stringimi! – che oggi lontano navighiamo,
stringimi! – che sciamo! – con un filo di seta!
Oggi porto una pelle nuova:
quella dorata, la settima!

– Mio! – altro che ricompense
in cielo, se tra le braccia, sulla bocca
c’è la Vita: la felicità sfacciata
di dirti ciao ogni mattina!

 

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I LETTORI DI GIORNALI

 

Striscia il serpe sotterraneo,

striscia, trasporta gente.

E ciascuno con il suo

giornale (con il suo

eczema!) tic da ruminante,

cancro osseo dei giornali.

Masticatori di mastici,

lettori di giornali.

 

Chi, il lettore? Un vecchio? Un atleta?

Un soldato? Né lineamenti, né visi,

né età. Scheletro – poiché non ha

viso: un foglio di giornale!

Di cui tutta Parigi

dalla fronte all’ombelico è vestita.

Lascia stare, ragazza!

Metterai al mondo

un lettore di giornali.

 

Dondolando – “vive con la sorella”

ruttano – “ha ucciso il padre!”

Si dondolano, il nulla

si pompano dentro.

 

Che sono per questi signori

il tramonto oppure l’alba?

Divoratori di vuoto,

lettori di giornali!

 

Di giornali, leggi: di calunnie;

di giornali, leggi: di sprechi.

Ogni colonna, una diffamazione

ogni capoverso: disgusto…

 

Oh, con che cosa vi presenterete

al Giudizio Universale, all’altro mondo?!

Arraffatori di minuti,

lettori di giornali!

 

“E’ partito, sperduto, sparito!”

E’ antica la paura delle madri.

Madre! Dei Gutemberg la presse

è più terribile della polvere di Schwarz!

 

Davvero meglio al cimitero

che nel marcio lazzaretto

dei grattatori di scabbie,

lettori di giornali!

 

Chi i nostri figli

fa marcire nel fiore degli anni?

I miscelatori di sangue,

sgi scrittori di giornali!

 

Ecco, amici – e anche

più forte che in queste righe! –

che cosa io penso quando

con il manoscritto in mano

 

sto davanti alla faccia

(posto – più vuoto non c’è)

sicchè dunque alla non faccia

di un redattore di giorna-

listica immondizia.

 

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Biografia

 

Marina Ivanovna Cvetaeva nacque a Mosca l’8 ottobre 1892. A soli sei anni cominciò a scrivere poesie.  Nel 1909 si trasferì da sola a Parigi per frequentare lezioni di letteratura francese alla Sorbona. Il suo primo libro, “Album serale“, pubblicato ne 1910, conteneva le poesie scritte tra i quindici e i diciassette anni, uscì a sue spese e in tiratura limitata, ciò nonostante fu notato e recensito da alcuni tra i più importanti poeti del tempo. In Crimea, sulle rive del Mar Nero, a Koktebel’ Marina s’innamora di Sergej Efron. Lei ha 19 anni, lui 18. Sergej trova sulla spiaggia una corniola che Marina tanto desiderava. Marina vede il segno del destino. Si sposano. Di lì a poco comparve la sua seconda raccolta di liriche, “Lanterna magica“, e nel 1913 “Da due libri“. Intanto, il 5 settembre 1912, era nata la prima figlia, Ariadna (Alja). Le poesie scritte dal 1913 al 1915 avrebbero dovuto vedere la luce in un volume, “Juvenilia“, che restò inedito durante la vita della Cvetaeva. Durante la rivoluzione di Febbraio del 1917 la Cvetaeva si trovava a Mosca e fu testimone della sanguinosa rivoluzione bolscevica di ottobre. La seconda figlia, Irina, nacque in aprile. A causa della guerra civile si trovò separata dal marito, che si unì, da ufficiale, ai bianchi. Bloccata a Mosca, non lo vide dal 1917 al 1922.  Durante l’inverno 1919-20 si trovò costretta a lasciare la figlia più piccola, Irina, in un orfanotrofio, e la bambina vi morì nel febbraio per denutrizione. Quando la guerra civile ebbe fine, la Cvetaeva riuscì nuovamente a entrare in contatto con Sergej Erfron e acconsentì a raggiungerlo all’Ovest. Nel maggio del 1922 emigrò e si recò a Praga passando per Berlino. Nonostante la propria fuga dall’Unione Sovietica, la sua più famosa raccolta di versi, “Versti I” (1922) fu pubblicato in patria. A Praga La Cvetaeva visse felicemente con Efron dal 1922 al 1925. Nel febbraio 1923 nacque il terzo figlio, Mur, ma in autunno partì per Parigi, dove trascorse con la famiglia i successivi quattordici anni. Anno dopo anno, tuttavia, fattori diversi contribuirono ad un grande isolamento della poetessa e ne comportarono l’emarginazione. Sempre più immersa nella miseria, si decise a tornare in Russia. Le furono procurati dei lavori di traduzione, ma dove abitare e cosa mangiare restavano un problema. Nell’agosto del 1939 sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag. Ancora prima era stata presa la sorella. Quindi venne arrestato e fucilato Efron, come “nemico” del popolo. Quando l’estate successiva cominciò l’invasione tedesca, la Cvetaeva venne evacuata ad Elabuga, nella repubblica autonoma di Tataria, dove visse momenti di disperazione e di desolazione inimmaginabili. La domenica 31 agosto del 1941 la Cvetaeva si impiccò. Avrebbe desiderato giacere a Tarusa, sotto un cespuglio di sambuco, «dove crescono le fragole più rosse e più grosse», ma viene sepolta in una fossa comune.

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Rinaldo Prieri è nato a Torino nel 1914. Dall’età di quindici anni si è dedicato alla fotografia e, parallelamente, a studi musicali (suonava il violino) ed umanistici. E’ vissuto a lungo a contatto con l’alta moda internazionale, ricevendo l’influenza determinante dalla fotografia americana, francese ed inglese. Dal 1963 è stato responsabile della Sezione Fotografica del Centro Culturale FIAT e, dal 1981, della Commissione Culturale della FIAF. Nel 1985 è stato collaboratore della Biennale Torino Fotografia. Ha curato inoltre l’attività critica, collaborando a varie riviste ed organizzando incontri e tavole rotonde, con speciale riferimento ai contenuti estetici ed espressivi dell’immagine. Dopo aver partecipato a mostre nazionali ed internazionali, nel 1965 ha abbandonato le esposizioni collettive per dedicarsi a personali in cui ha sviluppato una propria visione di fotografia creativa, partendo dall’oggettistica d’interno per arrivare ad una totale invenzione dei suoi soggetti ad indirizzo di volta in volta simbolistico, metaforico, metafisico. È stato insignito dell’onorificenza EFIAP dalla FIAP. Ha inoltre pubblicato quattro volumi di liriche, presentate nella collana Poeti Italiani Contemporanei. Nel 1994 la FIAF lo ha nominato Autore dell’Anno, primo di una lunga serie di mostre e pubblicazioni. E’ morto a Torino nel 1999.

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