Hidden Gems (a cura di Alessandro Calzavara) – 21) Chris Thompson

Chris Thompson

Chris_Thompson

Le note metronomicamente pizzicate d’una chitarra acustica mi rimandano sovente all’intarsio del capolavoro che ogni ragno è capace di produrre tra i gerani e il parapetto del vostro balcone. V’è la modesta ventosità portata da dita operose, e v’è la vibrazione d’una struttura geometrica perfettamente calibrata. Le dita sul legno imitano le distanze tra le stelle, e l’impeto d’un puero eterno vi soffia fremente, come a distillarne bolle di sapone, o liberarne denti di leone.
Come ogni chitarrista sa, nel tempo il legno diventa più saggio e profondo: e talvolta la materia vivente di quel divino strumento invecchia nel suo imperituro ritratto di Dorian Gray, catturato da microfoni ormai estinti e maturante nell’archivio immateriale del supporto fonografico. Così è, perlomeno, per quei dischi che la cattiva qualità della struttura non ha lasciato marcire nell’umidità d’una moda passeggera.
Come un investimento ben ponderato, certo folk matura interessi che solo un devoto trafugatore di ricordi può riscuotere. Il tempo si ripresenta, il sole riacquista una brillantezza ignara dell’entropia termica, le fasi del ciclo non sono distinguibili per le anime che in epoche diverse hanno saputo cogliere l’elemento invariante della Bellezza Armonica.
V’è anche che la vita è immagine in movimento della morte: e ogni tanto spara un razzo a smagliarne l’accorta tessitura di contenimento dimensionale. Separato dalle incombenze del corpo vorace, l’Orecchio coglie vibrazioni che dal moto approdano al Centro Immoto d’ogni farfugliamento. È illusoria, la musica – e operosamente trama contro tutto ciò che negandosi, ne ha usurpato la Verità: la bugia è che ogni cosa sia per sé, e che abbia corpo, e che se ne possa disporre fuori da un fugace (e spesso immeritato) noleggio.
Tutte queste cazzate mi germogliano tra le froge cerebrali mentre, appesantito da un pranzo di mezzo aprile, mi lascio andare, nelle siesta, all’ennesimo consolante, vibratile ascolto del disco omonimo di Chris Thompson, anno 1973. Vi venni in contatto quando, un bel po’ di anni fa, condussi ricerche su un curioso dischetto di folk psichedelico, opera dei Magic Carpet che, come il titolo sospetta, tentò di fondere il misticismo dei sitar e delle tabla indiani con strutture riconoscibilmente occidentali. Venni dunque a sapere che i tipi (autori di un disco che v’invito a rintracciare, e che potrebbe ben integrare questo in un equilibro più marcatamente spostato verso l’arrangiamento laddove qui predomina il songwriting) avevano prestato servizio nell’esordio di questo cantautore anglo/neozelandese. È loro quel quid che aggiunge riconoscibilità a un’opera che potrebbe sbadatamente essere catalogata come una “media uscita” della stagione d’oro del folk britannico. “Chris Thompson” invece merita di affiancarsi, nella vostra collezione, ai dischi più eleganti e forbiti dei vari Bert Jansch, John Renbourn, Martin Carthy etc. Direi inoltre che la voce di Thompson sia ampiamente preferibile a quella degli dèi summenzionati; la tecnica, nella sua minore funambolicità, permette di concentrarsi sulle composizioni piuttosto che sui riccioli floreali della cornice; l’elemento psichedelico spalanca invece connessioni con l’opera dei freak della banda della corda incredibile.
Ma è la compostezza, l’estrema ponderazione, l’eburnea luminosità delle armonie a costituire il punto di maggior pregio di questo lavoro. Ciò non deve essere sfuggito ai tipi della Sunbeam che, a cospetto d’un pur nutrito opus (amministrato in prima persona dall’autore stesso), hanno deciso di ristampare (ed espandere) proprio questo esordio in un ricco (e golosissimo) set di due cd. Provate a cercare un po’ in rete: vi basterà l’intro strumentale (“Hugo Spellman”) per presagire le delizie qui racchiuse. Ma già al secondo pezzo, la tradizionale ballata irlandese “Song of wandering aengus” (versi di Yeats… “the silver apples of the moon…) già incisa da Donovan, Christy Moore e Waterboys -giusto per dirne qualcuno- saprete che possedere questo disco sarà più che una sfiziosa aggiunta alla vostra discografia.
Un disco perfetto e non pretenzioso, in sé coerente, magnificamente cantato e fingerpickato ancora meglio. Non credo che serva molto di più per produrre un classico. Forse uno spot televisivo.

Alessandro Calzavara


In copertina: Chris Thompson (front cover, Chris Thompson , 1973).

Rispondi