IL CICLO MITICO DI CANDRA, IL DIO LUNA a cura di Laura Liberale − 1) I. Le nascite

Il ciclo mitico di Candra, il dio Luna
di Laura Liberale

I. Le nascite

Dopodiché dall’oceano emerse Colui che ha centomila raggi.[1]

 

Un celebre mito hindū fa della Luna, il dio Candra [dal verbo cand, ‟splendere”], uno dei “gioielli” sorti durante lo sbattimento dell’oceano di latte eseguito da dèi e demoni. Alcune fonti purāṇiche legano questo evento mitico a quello di Śiva-Candraśekhara, Colui che per diadema ha Candra, episodio solitamente fatto rientrare nell’ambito della narrazione del mito delle ventisette figlie di Dakṣa. In Skanda-purāa, VII, i, 18, 11-18, è infatti Śiva stesso a spiegare alla Dea il motivo della presenza ornamentale della Luna sulla sua testa: Candra servì al dio come antidoto divino, per neutralizzare gli effetti del veleno scaturito dall’oceano e da lui bevuto.
La Luna vanta però anche un’altra famosa nascita: quella dal saggio Atri.

Essendoci il desiderio di creare, per la continuità dei mondi, dieci figli nacquero a Brahmā, dotato della potenza del glorioso Signore: Marīci, Atri, Agiras, Pulastya, Pulaha, Kratu, Bhgu, Vasiṣṭha, Daka e Nārada per decimo. Nārada sorse dal grembo dell’Autogeno; Daka dal pollice; Vasiṣṭha dal respiro; Bhgu fu prodotto dalla pelle; Kratu dalla mano. Pulaha nacque dall’ombelico; Pulastya dalle orecchie; Agiras dalla bocca; Atri dagli occhi; dalla mente si originò Marīci.[2]

Atri si origina dunque dagli occhi di Brahmā, e proprio grazie all’intercessione di Brahmā gli nascerà un figlio che del dio sarà parziale manifestazione:

Anasūyā, la sposa di Atri, generò tre figli famosi: Dattātreya, Durvāsas e Soma[3], originati da Viṣṇu, Śiva e Brahmā [rispettivamente]. Spinto da Brahmā alla manifestazione, Atri, il primo fra i conoscitori del Brahman, insieme alla moglie, raggiunse l’eminente montagna ka [la catena dei Vindhya orientali], permanendovi nell’ascesi. Là, nella selva di Jonesia asoka e Butea frondosa fioriti, fra il suono ovunque [diffuso] dalle acque fluenti della Nirvindhyā, l’asceta silenzioso, dopo aver soggiogato la mente per mezzo del controllo del respiro, stette per cento anni ritto su un solo piede, nutrendosi [unicamente] di aria, indifferente alle coppie di opposti, così pensando: “Prendo rifugio in Lui, che invero è il Signore dell’universo. Mi conceda una discendenza uguale a Sé”. Dopo aver visto il trimundio riscaldarsi per mezzo del fuoco alimentato dal controllo del respiro e scaturito dalla sommità del capo del silenzioso, la triade di Eccellenze [Brahmā, Viṣṇu, Śiva], la cui gloria celebrarono ninfe e musici celesti, asceti, perfetti e altri esseri divini, si recò all’eremo di Atri. Il silenzioso vide i Migliori fra gli dèi, la mente illuminata dalla loro contemporanea apparizione. Dopo essersi prosternato a terra come un giunco, rispettosamente accolse Quelli – assisi sul toro, sull’oca selvatica, sull’aquila Garua, ciascuno contraddistinto dai propri simboli – recando oggetti di culto nelle mani unite a coppa. Visti i volti sorridenti e gli sguardi compassionevoli, il silenzioso, dopo aver chiuso gli occhi, abbagliato dal fulgore che emanavano, assorto nello yoga, la mente fissa su di loro, le mani nel gesto di omaggio, celebrò con dolce eloquio di prece, i più Venerabili di tutti i mondi.
Atri disse: “O Brahmā, o Viṣṇu, o Śiva, [che vi mostrate] in forme corporee diverse, essendovi distinti mediante le qualità della māyā al fine della manifestazione, conservazione e distruzione dell’universo, secondo la ciclicità delle ere cosmiche, io a Voi m’inchino, [e domando:] chi di Voi ho qui convocato a me? Un solo glorioso Signore è stato da me contemplato nella mente con svariati mezzi, affinché potessi procreare. Com’è che, allora, voi [tutti], trascendenti le possibilità di comprensione dei possessori di corpo, siete giunti fin qui? Mostrate compassione e ditemi, giacché la mia perplessità al riguardo è grande”.
Avendo udito il discorso di Atri, la triade dei Migliori fra gli dèi sorrise, poi rispose al saggio con voce gentile. Gli dèi dissero: “O brahmano, la tua volontà si è adempiuta. Sarà non altrimenti che come voluto dalla tua perfetta determinazione. Noi siamo invero ciò su cui mediti. Fortuna a te! Avrai dei figli, nostre parziali manifestazioni, che saranno celebrati in tutto il mondo e diffonderanno la tua fama”.
Così, dopo aver accordato il dono scelto, i Signori degli dèi venerati dalla coppia scomparvero alla vista e tornarono [al luogo da cui erano giunti]. Ecco che allora, come sua parziale manifestazione, da Brahmā sorse Soma, da Viṣṇu Dattātreya, il conoscitore dello yoga, e da Śiva Durvāsas.[4]

In un’altra versione, la nascita di Candra può direttamente realizzarsi grazie all’ascesi praticata da Atri, il quale, continuando la tradizione che lo vuole sorto dagli occhi di Brahmā, vede a sua volta nascergli Soma dagli occhi, stillante in forma liquida.

Un tempo Atri dal grande splendore, innocuo nei confronti di tutte le creature, d’animo virtuoso, fedele al proprio voto, con le braccia sollevate, diventato come un pezzo di legno, un muro, una pietra, praticò l’ascesi detta “invincibile” per tremila anni degli dèi, così abbiamo udito. Quindi il corpo di quel grande Risvegliato, sublimato l’istinto sessuale, gli occhi spalancati e fissi, attinse la condizione di Soma. Quella natura divina prodotta dal suo spirito si sollevò in alto e scaturì dai suoi occhi in forma acquea, illuminando le dieci regioni spaziali. Dopo averlo visto, le dieci dee [di tali regioni], riunitesi, presero l’embrione ma non furono in grado di tenerlo. Quell’embrione splendente cadde via da loro, a precipizio giù dal cielo, illuminando i mondi, lui dai freddi raggi, onniproducente. Poiché quelle dieci Potenze non riuscirono a tenerlo con loro, l’embrione precipitò a terra. Vedutolo precipitare, Brahmā, il Progenitore dell’universo, fece salire Soma su un carro, per il benessere dei mondi. Egli, essenziato dei Veda, dalla natura virtuosa, fedele alla verità, ebbe al carro aggiogati mille cavalli bianchi. Gli dèi e i sette famosi figli mentali di Brahmā celebrarono con inni di lode il figlio di Atri caduto, supremo Spirito; similmente i discendenti di Agiras, insieme ai figli di Bhgu, con inni, formule liturgiche, canti e incantesimi. Il fulgore dello splendido Soma, così celebrato, s’accrebbe e animò il trimundio. Egli, l’oltremodo Glorioso, con quell’eminente carro, circumambulò la terra, cinta dall’oceano, per tre volte sette. Quando il suo fulgore, riversatosi, toccò terra, nacquero le piante, dotate di [quello stesso] splendore. È con esse che questo mondo si sostiene, e da esse le quattro classi di esseri sono nutrite, perciò Soma è il glorioso Signore del mondo.[5]

Brahmā, l’Avo, figura qui come salvatore di Candra, colui che gli dona il mirabile carro a più riprese celebrato nelle fonti:

Il carro di Candra ha tre ruote; i suoi dieci cavalli hanno lo splendore del gelsomino e sono aggiogati a sinistra e a destra. Con esso il Facitore della notte si muove fra le costellazioni.[6]

Si deve sapere che il carro di Candra ha tre ruote e dei cavalli a entrambi i lati. Il carro, con destrieri e auriga, è sorto dal grembo delle acque, con tre ruote dai cento raggi a cui sono aggiogati dieci eccellenti cavalli bianchi, snelli e divini, che si muovono senza impedimenti con la rapidità della mente. Una volta per tutte aggiogati al carro, essi lo tirano fino alla fine delle ere cosmiche (…) Cavalli dall’unico colore, splendidi come conchiglie, lo tirano. Yajus, Caṇḍamanas, Vṛṣa, Vājin, Nara, Haya, il famoso cavallo Gaviṣṇu, Hasa, Vyoma, Mga, sono i nomi dei dieci destrieri.[7]

Oltre che padre di Soma, o proprio in quanto tale, Atri è anche colui che può assumerne natura e ruolo in tempi di difficoltà. In Mahābhārata, XIII, 141, 1 ss., la scena presentata è quella della lotta fra dèi e demoni, nel corso della quale Rāhu [“L’Afferratore”, ovvero il nodo lunare ascendente, miticamente ritenuto responsabile delle eclissi] colpisce con le proprie frecce Soma e Bhāskara, il Sole. Calano così le tenebre sul campo di battaglia, e gli dèi, abbattuti in gran numero dai nemici, si rivolgono ad Atri richiedendone l’aiuto.

A lui, dai sensi aggiogati e dalla collera estinta, gli dèi dissero: “Con le loro frecce i demoni hanno colpito entrambi, Luna e Sole. Avvolti dalla tenebra, veniamo sconfitti dai nemici e per noi non c’è possibilità alcuna di giungere alla pace. O Signore, liberaci tu dalla paura!”.
“Come posso aiutarvi?” [chiese Atri]. Essi risposero: “Sii Candramas[8] e Savitṛ [il Sole vivificatore]. Sii per noi artefice della rimozione delle tenebre e distruttore dei nemici!”. Così essi dissero. Allora Atri divenne Śaśin [Colui che reca il segno della lepre[9]], Colui che disperde l’oscurità. Egli assunse la natura di Soma e anche l’aspetto di Sūrya, il Sole.

Atri, colui che è nato dall’occhio, fuga le tenebre e riporta dunque nel mondo la visibilità.

Laura Liberale

 

[1] Mahābhārata, I, 16, 33; Matsya-purāa, 250, 2.
[2] Bhāgavatapurāa, III, 12, 21-24.
[3] A partire da alcuni degli inni più tardi del Ṛg-veda e in tutto il corpus mitologico successivo, Soma (dalla radice verbale su, ‟spremere”), la pianta sacra della liturgia vedica nonché il liquido inebriante che se ne ricava per spremitura (assimilato al nettare dell’immortalità), è stato identificato con la Luna.
[4] Bhāgavata-purāa, IV, 1, 15-33.
[5] Harivaśa, 20, 2 ss.
[6] Kūrma-purāa, I, 43, 32-33.
[7] Brahmāṇḍa-purāa, I, 2, 23, 53-58.
[8] Nonché Candramās e Mās/Māsa. La radice di questo nome del dio Luna è , col senso di ‟misurare”, la stessa di māyā.
[9] Nella macchia scura visibile sulla luna gli hindū riconoscono una lepre. Questo animale, per la sua fertilità, è un diffuso simbolo lunare archetipico.

In copertina: Candra.

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