Variazioni sul tema dell’ombra nella pittura di Caravaggio (12)

di Daniela Pericone

Testa di Medusa Uffizi

Caravaggio, Testa di Medusa, 1597 (Firenze, Uffizi)

Tra le opere che Caravaggio esegue su commissione del Cardinale Francesco Maria Del Monte figura uno scudo con Testa di Medusa, inviato in dono al granduca di Toscana Ferdinando de’ Medici e destinato all’armeria del palazzo ducale (ora agli Uffizi di Firenze). La Testa di Medusa è dipinta a olio su una tela poi applicata a uno scudo convesso ed è eseguita con l’ausilio di uno specchio (ne esiste una versione precedente legata al nome del poeta genovese Gaspare Murtola, che le ha dedicato un Madrigale, pubblicato a Venezia nel 1604).

L’opera si ispira alle Metamorfosi di Ovidio e al mito dell’eroe Perseo chiamato a uccidere Medusa, una delle tre Gòrgoni, che ha il potere di pietrificare chiunque la guardi in volto. Perseo riesce nella sua impresa grazie a uno scudo riflettente, che gli consente di evitarne lo sguardo e mozzarle il capo avvalendosi dell’immagine riflessa nello scudo.

Caravaggio ritrae con crudezza il volto dai tratti esasperati di Medusa, colta nell’istante cruciale in cui si specchia nello scudo, cadendo vittima di sé stessa, e viene decapitata.

L’orrore dentro gli occhi che storcono verso il basso, la bocca spalancata in un urlo che non udiamo ma preme alle tempie come un’esplosione muta, la violenza perentoria degli schizzi di sangue, il groviglio dei serpenti in danza terrifica sulla testa muovono la visione come un incubo di veglia, a dare corpo alle ombre, terribilità del male che s’impietra del suo stesso male.

Anche il poeta Giovan Battista Marino, che ha occasione di vedere l’opera a Firenze nel 1601, ne ricava tale dirompente impressione da dedicarle dei versi, poi inseriti nel poema La Galeria etc. Distinta in Pitture e Sculture (Venezia, 1620).

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La testa di Medusa in una rotella di Michelagnolo da Caravaggio, nella Galleria del Gran Duca di Toscana.

 

Hor qua i nemici fian, che freddi marmi
Non divengan repente
In mirando, Signor, nel vostro scudo
Quel fier Gorgone, e crudo,
Cui fanno orribilmente
Volumi viperini
Squallida pompa e spaventosa à crini?
Ma che! Poco fra l’armi
A voi fia d’huopo il formidabil mostro:
Ché la vera Medusa è il valor vostro.

 

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