Marco Palasciano

a cura di natàlia castaldi

Marco Palasciano, filosofo eclettico e artista multidisciplinare, presidente dell’Accademia Palasciania, è nato in Capua nel 1968. In campo letterario è stato tra i vincitori della Rassegna di poesia “Laura Nobile” 1995 con L’insectarium dei burattini e per tre volte tra i finalisti del Premio di narrativa “Italo Calvino”, l’ultima con Prove tecniche di romanzo storico (Lavieri, 2006); suoi testi minori sono stati pubblicati nelle antologie Mundus. Poesie per un’etica del rifiuto (Valtrend, 2008), Napoli per le strade (Azimut, 2009), Enciclopedia degli scrittori inesistenti 2.0 (Homo Scrivens, 2012) ecc.; altri sulle riviste «Sud», «Agorà del Vallo di Lauro» ecc.; altri ancora nel blog «Nazione Indiana», in «’tina» ecc.

SONATA

Analogo in versi di un quartetto di Marco Palumbo per clarinetto, fagotto, violino e pianoforte

1. Moderato

Tran tran. Tran tran. En attendant le Christ.
Tra Danti meditanti persi imperi
e Hieronymi Bosch
castigamatti.

__________Oggi
disboscamenti. Ieri
strage di gatti – o, a male dirne, bestie
da janare – donde il proliferare
di topi ballerini; e delle pesti; e
i cantastorie – umana cosa è
l’avere compassione degli afflitti –
a narrare, narrare.

Narrare. Ond’è rimosso l’incredibile
absurdum delle guerre, con le Iliadi;
del crimine, coi gangster movie; e
del mercato, con la publicité.

E gira il mitoscopio,
e ballano le ombre,
e del Mene e del Bale
si eternano le opre
da tre soldi.

__________Qualcosa di malato
è in monsieur; e è il suo stesso non curarsi.
Si confessa al pretonzolo allo strologo
allo strizza, mai sazio di catarsi,
il gonzo; e al gorgo torna, ad infinitum.

Ride, erra, crepa; crede riparare
a una follia opponendovene un’altra –
piú misurata, piú
graziosa, certo. En attendant le Christ.
Non debella alcun bellum: lo abbellisce.

Cantami, o diva, in rap e in gregoriano,
canta l’armi pietose e il capitano,
le donne i cavalier l’arme gli orrori;
refusa, o Musa, quelli, e falli onori.

Tra riso e rito e mito e sogno e giuoco:
la Virgo a opprimer l’angue,
la Pulzella arrostita a lento fuoco;
mistici camorristici nazistici
battesimi di sangue,
pupi rubelli immersi nel cemento,
pupe e rii bulli, immenso accecamento.

E vitreo l’occhio lampa tra le sincopi,
d’Olimpia: e tu ci balli balli e balli,
e intorno intorno ridono di te
che non sai che non è
la figlia del dottore
e che a farci l’amore diverrai
tu quoque un burattino
danzante, anch’esso in mano a Mangiafuoco
col suo allegro calvario
di legni in croce e fili.

E: l’opzione del sabba e del shabbàt.
Dio e Diòniso. Il vino dei beoni
e dell’eucarestia.

Cosí t’inchioda ogni dicotomia.
Nuovi ritmi, ma tasti sempre quelli.
Bianchi od oscuri. E giú
le scuri, giú, ché ormai
– o selve, belve, addio – rien ne va plus.
En attendant le Christ.

__________________Ave, Duemila:
l’evo dei nuovi media,
il nuovo medioevo.

2. Andante

Sogni in pillole, antidoto al tran tran
che t’avvelena il cor. Ne prendi un paio
e tutto è paradiso.
Ma se troppe ne prendi,
all’inferno discendi – Dante o Alice
precipite nel buco
d’una memoria ove ogni storia è scoria
riciclata, puntata per puntata.
Da chi contrappuntata non si sa.
Né se hanno senso i sensi
e realtà la realtà.

_____________Dio, dammi oblio.
Oh, orribile, orribile
tran tran. Sopra di me il cielo stellato,
dentro di me uno stronzo di formaggio.
Il tempo passa e caglia, passa e caglia.

Pure, bisogna organizzarsi, e spremere
da questo materiale spirituale
un filo che mi unisca alla Sofia –
bench’io, sul gelso mio strisciando, sbavi
non d’altro che follia.

Maestro, a voi correggermi le parti.
Non lo nego, c’è dell’ostinazione.
Ma chi è piú matto? il matto o la Ragione?

Bambina mia rinchiusa nella scatola
di Schrödinger, dammi un segno di vita,
grattami un poco il legno con le dita.
Mena uno strillo, un trillo,
un Kindertotenlied, anima mia.

Sento soltanto il Wunderhorn
aziendale, ahimè,
che mi richiama alla diritta via.
La qual giorno per giorno
ti storce, dentro. E non capisci un corno.

Tranne il tran tran. Che ha, sí, il piú alto senso,
in questo basso mondo senza senso
e – quel ch’è peggio ancor – senza dissenso.

3. Allegro con spirito

Come formiche intorno a un bruco morto
s’accalcan le comari,
scalcian come somari
per un posto piú avanti, a veder meglio
l’inguardabile.

____________Amor, dolce mia molla,
vedi, ogni tegumento mi si scolla.
Te franto, mi sfracello, uccello in schianto.
Ahi, che laboratorio di Mengele
è la vita. Ma adesso che è finita
questa guerra, sia festa. Un Carnevale.

Petruška è in terra, disarticolato,
immoto; freddo l’occhio
di burattino, aperto;
piú che mai burattino, piú che mai
aperto, questo povero pinocchio,
alla vita, quanto piú morto, ormai.
E un cantastorie intona i dolci lai.

Bambino/non-bambino,
ahimè, quanto somiglia al tuo destino
il mio.

______Un bimbo nel Limbo, un’ingiustizia
da impazzire. I dannati, al nuovo arrivo,
s’accalcano d’intorno e a veder meglio
scalcian come comari
dei lidi sublunari –
superne e inferne cose essendo speglio
l’une dell’altre, né sai qual piú è oscuro
e quale terso; solo che sei perso,
e che questo vetrato labirinto
da fiera è l’universo.

Tran tran. Tran tran. En attendant le Christ.
No, meglio prender armi
da sfidar l’oceàno.
Datemi una tempesta, una foresta
in cui possa iniziarmi. Una casina
su zampe di gallina. A me gli spiriti,
la strega Sicorace e Calibano.

Comari, state giú coi vostri piriti.
Orfeo, tirami sú con il tuo piano.

22-23 gennaio 2007


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