USTICA
Regia di Renzo Martinelli. Con Marco Leonardi (Corrado di Acquaformosa), Lubna Azabal (Valja), Caterina Murino (Roberta Bellodi), Tomas Arana (Fragalà), Enrico Lo Verso (Morabito).
Italia 2016, 106’.
Distribuzione: Indipendent Movies.
Marziale e dolente, statuario come la pittura murale celebrativa fascista, il cinema di Renzo Martinelli, pur nel filone dell’impegno civile e della cosiddetta “denuncia”, rappresenta ad oggi una singolarità piuttosto anacronistica, e forse anche abbastanza indigesta (si pensi all’enfasi filo-leghista di un progetto come “Barbarossa”) della produzione culturale nazionale. L’assoluta indisciplina deontologica nella ricerca e nell’esposizione delle fonti storiche, il tono assertivo e ampolloso della narrazione, il richiamo alla retorica populista, la ricercata e continua fuga negli accidentati territori degli effetti speciali, sono elementi che denotano senza ombra di dubbio una cronica incapacità di emancipazione linguistica e un discutibile senso del découpage, ma anche la strenua difesa di uno sguardo indipendente e fiero, straordinariamente libero dagli oppressivi legacci del giogo della critica e dei festival e sempre rivolto al grande pubblico in una sana ottica di mercato. Non sorprende, dunque, che confrontandosi con un evento storico così dibattuto e irrisolto come la strage di Ustica, il regista non abbia nemmeno preso in considerazione la possibilità di creare un ponte ideale con un classico della letteratura cinematografica d’inchiesta della fine della Prima Repubblica, “Il muro di gomma” di Marco Risi, che è essenzialmente un film di domande, e abbia invece deciso di riscrivere da zero quell’oscura e vergognosa pagina di storia italiana con la furiosa sicumera tipica dei fanatici del complottismo internazionale.
Sono pochissime, quasi invisibili e del tutto ininfluenti le immagini di repertorio che il film propone per dare maggiore adesione storica alla narrazione. Come già in “Vajont”, Martinelli preferisce intrecciare (e annacquare) gli eventi realmente accaduti – le 81 vittime del disastro aereo del DC9 Itavia al largo di Ustica il 27 giugno 1980, le cui circostanze ancora oggi rimangono misteriose, ma questo lo sanno anche le pietre – con trame ultraromanzate: una reporter che perde la figlia di 7 anni mentre cerca di metterla in salvo dal padre camorrista; un’elicotterista albanese trapiantata in Calabria con una grave ferita familiare mai rimarginata; il marito di quest’ultima, un parlamentare integro e ingenuo (erede di una tradizione di valori arcaici, non a caso nella lussuosa casa in pietra tiene in bella mostra una vecchia macina), tenuto dai compagni di partito al di fuori dai giochi che contano. Tra coincidenze inverosimili, forzate ellissi e lirismi di maniera, i fatti (che qui non racconteremo, in quanto da Martinelli utilizzati come elemento di suspense) vengono proposti agli spettatori con una linearità sorprendente, cancellando d’un tratto decenni di dubbi, depistaggi, mistificazioni.
Le scelte estetiche sembrano conseguenti. Bandita la presa diretta, il film vive dei primi piani dei protagonisti e delle lunghe ed elaborate scene di volo, senza quasi alcuno sconfinamento (qualche espressionismo nella composizione delle inquadrature) oltre i limiti della più marcata ricostruzione televisiva. Cinema didattico? Nella forma si direbbe di sì, ma nei contenuti un po’ meno: Martinelli piega un enigma tuttora insoluto della storia italiana alla logica deduttiva tipica del giallo in modo fin troppo funzionale all’intreccio (neanche fossimo all’interno di un romanzo di Chandler, dove tutti gli elementi della messa in scena devono necessariamente trovare una ricollocazione all’interno di un disegno criminale prestabilito), peraltro concedendosi eccessive libertà nell’utilizzo di stereotipi, frasi fatte e accuse non circostanziate.
Piccola nota a margine. L’indifferenza da parte dei media e, conseguentemente, del pubblico nei confronti di un film talmente perentorio, e per certi versi spregiudicato, nell’esplicitare una tesi (peraltro del tutto o almeno parzialmente plausibile) così diretta e irritante su un fatto di cronaca ancora oggi fra i più evocati tra i cosiddetti “misteri di Stato” (sono molto recenti i risarcimenti ai parenti delle vittime e le dichiarazioni di Carminati finite nel magmatico calderone giudiziario di Mafia Capitale), lascia riflettere: neanche 12.000 spettatori nel primo fine settimana sono davvero pochi, soprattutto in un paese in cui il programma tv di approfondimento giornalistico “Quarto grado” supera stabilmente 1,5 milioni di spettatori e il libro inchiesta “Via Crucis” del suo conduttore Gianluigi Nuzzi sulla gestione delle finanze della Santa Sede è stato venduto negli ultimi mesi del 2015 in circa 100 mila copie. Nemmeno la distribuzione indipendente del film può essere utilizzata come alibi di tale débâcle di mercato, in quanto “Ustica” è stato comunque proiettato in oltre 100 schermi in tutta Italia, e presente in tutte le città capozona. Dobbiamo dunque rassegnarci all’ormai totale irrilevanza del cinema nel dibattito sociopolitico del nostro paese?
La citazione: «In questo paese noi abbiamo una moglie americana e un’amante libica».
Francesco Torre
UNA PARTE DI QUESTO ARTICOLO E’ STATA PUBBLICATA SUL “QUOTIDIANO DI SICILIA” DEL 7 APRILE 2016